Stavolta non c’è dubbio alcuno: a compiere il massacro di Dhakka è stato l’IS. Quello vero. Quello che pubblica la rivista DABIQ, patinata, hollywoodiana, tutta in inglese: che infatti ha pubblicato le foto dei morti ammazzati, di cui nove italiani e 7 giapponesi – il che vuol dire che lo IS era lì coi suoi inviati. Non c’è dubbio che è stato lo IS: lo assevera Rita Katz, unica fonte che l’ANSA adotta come certa, diramando addirittura le foto con il logo del SITE, la ditta Katz. Il capo dell’IS in Bangladesh è uno nato nell’Ontario, Canada.
Solo il governo del Bangladesh, come hanno rilevato i nostri media con giusta riprovazione, insiste a dire che l’IS non c’è nel paese, e che si tratta di avversari interni e internazionali. Ha addirittura imbastito una polemica con Rita Katz, che è sempre la prima a pubblicare le foto dei morti ammazzati dell’IS da quado detto IS è in Bangladesh; e Rita Katz ha risposto per le rime, come si evince da questo comunicato:
Il motivo per cui l’IS – quello vero – s’è dovuto espandere anche in Bangladesh è presto detto: questo stato di quasi 10 milioni di abitanti s’è fortemente legato a Pechino. Appoggia esplicitamente e “fortemente” la pretesa cinese sulle isole disputate del Mar Cinese Meridionale. Il 30 maggio scorso, quando il ministro della Difesa cinese Chang Wanquan ha incontrato a Dhakka il presidente del Bangladesh, Abdul Hamid, Hamid ha dichiarato che su quelle isole disputate la Cina ha ragione, ma anche che le parti interessate – vale a dire gli Stati Uniti, che sulle installazioni cinesi fanno continue provocazioni aeronavali devono risolvere le loro questioni con negoziati.
Chang Wanquan ha spiegato in quell’occasione che Pechino intende coinvolgere il paese nel “corridoio economico” Bangladesh-Cina-India-Birmania (BCIM), coi grandi investimenti infrastrutturali (canali, ferrovie, tunnel subacquei) che è pronta a mettere in campo per dare” prosperità significativa e stabilità” alla regione; ha coinvolto il Bangladesh anche nella ‘nuova via della Seta’; è interessata infatti allo sviluppo del porto di Chittagong, che è il terzo per importanza nell’area dopo Mumbai e Colombo, come parte della “Collana di Perle”, poetico nome dato alla fila di grossi porti che Pechino sta allargando e dragando onde renderli accessibili a mea-petroliere fra il Golfo Persico e la madrepatria, per garantire il traporto del greggio via mare ed altre merci sempre attraverso paesi amici.
Specie quest’ultimo progetto ha suscitato l’irritazione di Washington, che col suo alleato Giappone, contava di portare il Bangladesh sotto il controllo americano, dopo essere già riuscita con successo ad operare il “cambio di regime” in Sri Lanka, con la rimozione, nel gennaio 2015, del presidente Mahinda Rajapakse e la sua sostituzione con il filo-americano Maithripala Sirisena. Dell’irritazione americana ha reso conto la rivista europea Modern Diplomacy:
Lo stesso giorno il ministro cinese (che è anche generale) s’è incontrato col premier del Bangladesh Sheik Hasina, ed insieme hanno firmato un accordo di piena cooperazione militare. La Cina è già il primo fornitore militare del Bangladesh, come ne è il primo partner commerciale; il fatto che il generale-ministro cinese si sia voluto incontrare anche con l’intero stato maggiore bengalese, suggerisce che si sia stretta una vera e propria alleanza militare, come si desume dall’articolo di China Military:
Poteva il Califfo sopportare un simile affronto agli interessi occidentali? Ovviamente non poteva. Come hanno spiegato i nostri media, più l’IS è in difficoltà e sta per essere disfatto in Siria, e più si trasforma in un franchising mondiale, che aumenta e migliora prodigiosamente la sua capacità di condurre nei posti più lontani dalla Siria attentati terroristici clamorosi, che vengono puntualmente coperti da Rita Katz e dalla sua celebre ditta.
Eh sì, è così. Solo il ministro dell’interno bengalese, Asaduzzaman Khan, insiste a dire che gli attentatori non erano dell’IS; che erano ragazzi di ottime famiglie locali, benestanti, che parlano fra loro in inglese, studenti universitari, e nessuno di loro veniva da una madrassa. Alla domanda perché ragazzi simili abbiano potuto fare una cosa simile, ha risposto: “Perché è una moda”. Se vi sembra strano, è perché siete troppo giovani per ricordare come anche da noi quella delle Brigate Rosse fu una moda, che attraeva molti giovani nella scelta della lotta armata e nella clandestinità. Un état d’esprit collettivo, che evidentemente s’è instaurato in Bangladesh.
Resterebbe da sapere se la strage di italiani e giapponesi corrisponde a qualche tipo di messaggio che “Rita Katz” vuole mandare a questi due paesi, alleati della Superpotenza, oppure la Holey Bakery è stata scelta perché era un bersaglio facile e accessibile. Non siamo in grado di illuminarvi su questo. Lo sa il Katz.