Nel febbraio 1982, la rivista del sionismo mondiale, Kivunim (Direttive, in ebraico) pubblicava un approfondito studio dal titolo “Una strategia per Israele negli anni ‘80”. Firmato dall’agente israeliano Oded Yinon, l’articolo notava come tutti i paesi islamici potenziali nemici di Israele fossero, al loro interno, minati da divisioni religiose ed etiche; e proponeva di istigare le discordie e le fratture, onde destabilizzare i paesi e spezzarli in piccoli stati settari, in lotta perpetua tra loro. Anzitutto, il piano Yinon citava l’Irak di Saddam: “l’Iraq, ricco di petrolio e lacerato internamente, è sicuramente un candidato degli obiettivi d’Israele. La sua dissoluzione è ancora più importante per noi di quella della Siria. L’Iraq è più forte della Siria. (…) l’obiettivo più importante, spezzare l’Iraq in domini come Siria e Libano. In Iraq, la divisione in province lungo linee etno-religiose, come in Siria durante il periodo ottomano, è possibile. Così esisteranno almeno tre Stati attorno alle tre principali città: Bassora, Baghdad e Mosul, e le aree sciite del sud si separeranno dal nord sunnita e curdo”. Ma anche Siria, Libano, Egitto, ed altri stati erano passati in rassegna come candidati alla destabilizzazione e frammentazione.
(Qui sotto il testo integrale del Piano:
http://www.reteccp.org/biblioteca/disponibili/guerraepace/guerra/yinon/yinon9.html)
Bisognò attendere l’occasione propizia, che si presentò con l’attentato di Al Qaeda del 11 settembre 2001 il Piano Kivunim, con le armi americane, l’espansione della democrazia o l’intervento umanitario, la formazione di gruppi jhadisti, Al Qaeda, ISIS, primavere arabe complicità europee, nonché l’aiuto di volonterosi sayanim, è in via di puntuale realizzazione. Irak, Afghanistan, Siria, Egitto, Tunisia sono stati sovvertiti, ridotti in macerie e guerra intestina, messi in mano a terroristi di un estremismo islamico folle. Pochi paesi sono rimasti (per ora) indenni dall’azione destabilizzatrice. Fra questi, il più importante economicamente l’Algeria, resiste – perché il regime ha combattuto negli anni ’90 una guerra di eradicazione dell’islamismo, e veglia con estrema attenzione alle infiltrazioni di jihadisti da oltre confine.
Adesso è scoccata l’ora per lo smembramento anche dell’Algeria. Il segnale viene da Bernard Henry Lévy (d’ora poi BHL) , l’ex “Nouveau philosophe” ora incartapecorito neocon. Il 17 aprile scorso, sulla sua rivista di lusso La Régle du Jeu, ha espresso il suo sostegno al MAK (Movimento di Autonomia della Kabila), un gruppo berbero indipendentista che da tempo conduce attentati ed attacchi ai militari algerini. “Kabili, un popolo senza riconoscimento in Algeria”, esordisce BHL; “come i curdi”, e dà il suo appoggio al preteso “governo provvisorio della Kabila” formato dal MAK (un movimento che è ben lungi dall’avere il sostegno della popolazione kabila), che secondo il philosophe lotta “per una società libera, aperta, democratica e laica”. BHL ha appoggiato una manifestazione del MAK che si è tenuta a Parigi il 17 aprile, dove si sono celebrate le vittime della “repressione” contro i kabili, e si sono invitate le organizzazioni per i diritti umani a interessarsi alle rivendicazioni dei kabili.
Ciò che rende pericoloso questo appello è il fatto che BHL, come personaggio televisivo di una certa “cultura” francese, e agente di una lobby, ha avuto una parte fondamentale nell’incitare Sarkozy a intervenire in Libia per rovesciare Gheddafi nel 2011. Oggi, ad anni di distanza, in occasione del suo ultimo libro (ne sforna uno all’anno: questo si chiama L’esprit du judaïsme) ha ribadito la sua ideologia di bellicista per i diritti umani: “Il ruolo degli intellettuali è dire che ci sono situazioni in cui la pace è peggio della guerra”. E quanto al fatto che la Libia è piombata nel caos più sanguinoso, ha detto di non avere “alcun” ripensamento: “Una democrazia non si costruisce in un giorno. Ci vuole tempo e pazienza. Ciò comporta sangue, lacrime, a volte dei ritorni indietro….”, ha detto filosoficamente il philosophe .
Benché sia un personaggio macchiettistico, BHL è anche un insuperabile promotore di sé stesso, e sa essere onnipresente sui media. Al festival di Cannes ha presentato perfino un su film, Peshmerga: girato fra Mossul ed Erbil, perché sì, BHL l’anno scorso è stato sul posto per dare appoggio con la sua luminosa presenza ai combattenti curdi che si battono per la democrazia e l’indipendenza. Ed ha inondato i media francesi di foto sue: mentre parla col comandante Barzani nascosto dietro una trincea di sacchetti di sabbia sempre esibendo la costosa camicia bianca aperta sul petto avvizzito; lui alla testa delle ragazze combattenti….
Perché sono decenni che accorre dovunque nel mondo sia necessario il suo sostegno per la democrazia e la civiltà contro la barbarie; naturalmente con un intero ufficio-stampa e propaganda al seguito, che diffonde le sue immagini ed esalta il suo mito, promuovendo i suoi libri.
E’ stato a Kiev, a sostenere i nazi contro Mosca….Non senza qualche cedimento alla “narrativa”, una specialità ebraica: come nel 1982 quando raccontò di essere arrivato, con marce forzate in Afghanistan, fino al covo del generale Massoud per consegnargli delle radio-trasmittenti: una balla. O quando nel ’93 si fece intervistare e fotografare mentre stava accovacciato dietro un muro, come fosse sotto il tiro dei cecchini; poi il Canard Enchainé mostrò la foto non tagliata, e fece vedere che dall’altra parte del muro passavano delle persone tranquille, perché nessuno stava sparando.
Apparentemente da quarant’anni BHL si reca nei luoghi delle guerre civili più sanguinose (in parte provocate da lui, o dal Piano Kivunim) allo scopo di farsi del selfie. In Francia è diventato lo zimbello dei vignettisti.
Ma sarebbe un errore sottovalutarne la pericolosità. L’accerchiamento dell’Algeria si stringe: la Tunisia, che aveva negato agli Usa una base militare sul suo territorio, dopo i sanguinosi attentati di “Al Qaeda” sulle spiagge che hanno rovinato per sempre il turismo, unica risorsa, ha capito la lezione ed adesso gli americani hanno la loro base. Nel Sud, guerriglieri berberi o “Al Qaeda” sono armati ed addestrati da chissà chi nell’amplissimo, incontrollabile spazio nord-sahariano.
E soprattutto, il fondatore del MAK, il movimento indipendentista kabilo appoggiato da BHL – si chiama Ferhat Mehenni, è esiliato in Canada – nel 2015 ha chiesto ufficialmente l’aiuto di Israele per “i diritti del popolo kabilo, una regione berbera occupata dagli Arabi”. Il sito ultra-sionista e neocon “EuropeIsrael” ha accolto e promosso con entusiasmo la richiesta.
Del resto sono anni che Israele coltiva le relazioni col MAK, opportuno strumento di sovversione. Nel maggio 2012 una delegazione di Movimento è stata ricevuta in visita ufficiale, su invito del capo delle relazioni estere del Likud, Jacques Kopfer. Ovviamente ciò ha suscitato i più vivi sospetti ad Algeri. Il portavoce del ministero degli esteri di Algeri disse allora: sappiamo che esiste “un tracciato di rotta” di “ progetti scellerati per attentare all’unità nazionale”. Un’allusione al Piano Kivunim. Adesso, BHL ha dato il segnale: dopo la Siria, la Libia, l’Irak, tocca all’Algeria?