Il dramma del terremoto. Di luciano garofoli
E finalmente anche lo spirito più profondo della laicità si è fatto sentire ed ha manifestato tutta la sua carica di nihilismo, tutto il suo mefitico alito di morte e di luciferina violenza.
Le vignette di Chalie Hebdo sui terremotati ci potevano essere anche risparmiate: nooo! Assolutamente, la “satira” deve essere libera, non altrettanto la giusta reazione di chi si sente offeso o che invoca tutti quei diritti che la “Persona Umana” figlia prediletta di quella infausta Rivoluzione francese, dovrebbe avere in quanto tale.
Due potevano essere le reazioni efficaci da parte di un Governo degno di questo nome: o il richiamo dell’ambasciatore a Parigi per consultazioni ed una veloce e violenta nota diplomatica che richiedesse spiegazioni e scuse formali al governo della République, oppure il silenzio totale sulla faccenda, un silenzio tombale, pesante come un macigno che doveva non dare nessun tipo di “pubblicità” alla cosa impedendo agli idioti vignettisti di potersi continuare a fare pubblicità.
Ovviamente nessuna delle due strade è stata percorsa: come al solito si è scelta la strada della grande publicizzazione del fatto sui soliti “giornalini” che parlano più o meno unanimemente la neolingua del regime, e naturalmente nessuna presa di posizione ufficiale del governicchio in carica. E poi l’Europa cosa avrebbe detto di noi? Siamo tornati a contare in Europa adesso basta che Renzi apra bocca e tutti fanno quello che ha detto lui.
In sostanza mica possiamo difendere i nostri interessi nazionali scadendo in un bieco nazionalismo, oppure imitando quello che Germania e Francia più o meno nascostamente fanno in continuazione. Noi siamo superiori e guardiamo tutto quello che avviene con il dovuto “sovrano disprezzo” dei nostri interessi.
Ho vissuto per più di venti anni in quelle terre martoriate dal sisma di fine agosto: conosco bene i paesi, tutti bellissimi, pieni di retaggi medioevali, romani od ancora più antichi risalenti, cioè, ai Piceni ed alla loro civiltà medio adriatica,
Ancora oggi, con un misto di orgoglio per le proprie radici e con un sacro rispetto delle proprie origini, da quelle parti si dice: Ascoli era Ascoli quando Roma era pascoli.
Bèh come dar loro torto quando i primi insediamenti di una civiltà che sapeva lavorare i metalli, costruiva armi davvero stupende per l’epoca e che riusciva ad esportare nel Nord Europa (Germania e paesi baltici) statue ricercatissime simili a quella del famoso guerriero di Capestrano, per intenderci. Tutti manufatti che venivano scambiati con l’ambra all’epoca materiale prezioso e ricercatissimo.
Ma andiamo siamo nel XXI secolo come si può essere attaccati alle proprie origini millenarie, come si può ancora sentire forte il senso di appartenenza alla propria terra di origine: come soprattutto si può seguire con fede, con ostinazione, quasi con maniacale gusto, una “religione dogmatica e repressiva”, quella cristiana, cattolica romana. Religione o meglio sistema filosofico religioso che ormai nemmeno il suo “liquidatore coatto amministrativo”, Papa Badoglio, vuole più nemmeno sentire nominare.
Eppure è così!
Tanto per capirci da quelle parti sperdute ed incassate tra il Gran Sasso d’Italia e la stupenda catena dei Sibillini tutte le volte che qualcosa viene imposto per forza trova una naturale e sana forma di rigetto. In fondo sono gli eredi di Vidacilio che osò affrontare la potenza romana ed andò a cercare aiuti presso i “fratelli” Piceni del Sannio ottenendolo.
Sono sempre quelli che si opposero, per difendere la loro Cristianità e la loro libertà di scelta politica a Federico Barbarossa prima ed a Federico II poi, guadagnandosi sì lo sfregio dell’abbattimento delle cento torri della città, ma anche l’ammirazione dello “Stupor Mundi”, per il loro alto grado di coraggio e coerenza.
Davvero bei tempi andati!
L’Imperatore in virtù di ciò magnanimamente concesse delle “patenti di commercio” esclusive con Francoforte, la nuova splendida capitale della Svevia costruita dai due Imperatori.
Ad Ascoli intorno al 300 dopo Cristo arrivò un certo Emidio dalla lontana Treviri nominato Vescovo da Papa Marcellino (altri dicono Marcello).
Arrivato nella città la trovò ancora quasi del tutto attaccata ai riti pagani: con il suo bastone non fece altro che percuotere il terreno suscitando un fortissimo terremoto che fece crollare tutte le are ed i templi pagani. Ma il Santo con lo stesso bastone i terremoti li faceva anche cessare percuotendo sempre la terra.
Sant’Emidio è il protettore di Ascoli che, sempre per caso s’intende, viene preservata dai terremoti o ne subisce dei danni molto lievi.
Tutti gli operatori televisivi, durante la celebrazione del funerale delle vittime ad Ascoli erano troppo impegnati a riprendere i grandi d’Italia arrivati a far passerella e poi magari concentrati di nascosto come al solito a maneggiare il telefonino o a versare calde lagrime di pura circostanza. Quasi nessuno di questi servi e seguaci dello “sbatti il dolore in prima pagina”, se non di sfuggita, ha inquadrato il reliquiario dell’orafo ascolano Pietro Vannini: uno stupendo blocco di “argentodorato alto 87 cm, forgiato a forma di avambraccio che termina con la mano benedicente,”e che racchiude al suo interno una reliquia di Sant’Emidio. Il braccio si erige in verticale poggiando sopra un ricco basamento che si eleva da un poligono esagonale stellato costituito da dischi sovrapposti. Un lavoro di cesello e bulino incredibile per realismo e senso estetico.
Cose che ormai non si fanno più: in quanto, come ripete sempre l’amico Blondet, ormai viviamo in un’epoca di barbarie e di cieco e tetro satanismo.
Forse non a caso quel reliquiario era lì davanti a quelle bare per benedirle e simbolicamente riaffermare che i Santi “non dimenticano” e continuano sempre ad intercedere e che nessuno, nemmeno il più piccolo e insignificante pusillus grex sfugge all’amore ed alla misericordia di Dio che non la disgiunge mai dalla sua infinita giustizia. Questa è la Vera fede indipendentemente da quello che dica, o pensi, Papa Badoglio.
Non nascondo che mi ha lasciato molto perplesso l’abbraccio prolungato che Cialente Sindaco dell’Aquila ha sciorinato nei confronti di Monsignor D’Ercoli attuale Vescovo di Ascoli Piceno. Ma come, quando lo stesso era ausiliario prima e Vescovo poi, di L’Aquila fu sottoposto ad un perfido linciaggio morale su come avesse speso certe somme affidate alla Curia e fu oggetto di “particolari ed intense attenzioni” da parte della Magistratura locale. Cialente fu al centro, tra l’altro, di varie inchieste per aver stornato soldi a società molto vicine a lui e successivamente diede anche le dimissioni da Sindaco tranne poi a ritirarle in maniera “clamorosa”
Signori politiconi usi ad ingannare e a circuire con le vostre parole da Vermilinguo i poveri fessi che ci ricascano in continuazione: non crediate che la compostezza e la pietas nel momento del dolore sia una manifestazione di dabbenaggine o peggio di fesseria.
Questa gente sa tacere ma sa anche agire e reagire fino all’estremo uso della violenza. Attenzione ciarlatani felices e vispe Terese varie!
Vidacilio docet!
Giunti a questo punto ci assale giustamente un dubbio: ma se Sant’Emidio è il protettore che salva dai terremoti, come mai è successo tutto questo scempio? E soprattutto se il Santo è anche cooprotettore di L’Aquila, Norcia, Gubbio, Napoli come mai ad esempio Norcia e L’Aquila non sono state risparmiate in altri momenti da terremoti devastanti?
Non mi addentro di certo nel campo della sismologia, materia già complessa ed ancora bisognosa di tanti studi ed approfondimenti, posso solo formulare e stimolare delle piccole ipotesi che di scientifico non hanno niente, ma che attengono più al mondo dello spirito, dove per fortuna, le leggi della materialità e del “mondo” non valgono un bel fico secco.
I monti Sibillini furono sempre luoghi di particolari culti esoterici pagani e già dai tempi dei romani erano sottoposti ad una speciale sorveglianza. Tanto per capirci molto simile a quella che fu esercitata, in maniera massiccia, nel sud della Francia per evitare la continuazione dei riti celtici. Eppure i romani erano sempre molto tolleranti nei confronti di qualsiasi tipo di forma religiosa: evidentemente in queste riscontravano qualcosa di molto più potenzialmente pericoloso per l’integrità del loro impero.
La leggenda della Sibilla è forse la più conosciuta grazie anche al racconto, a metà tra la favola ed il romanzo, scritto da Andrea da Barberino (al secolo Andrea Mengabotti) sul Guerrin Meschino. Essa abbandona la sua “manteia” e si ritira con le sue ancelle, le Fate (da Fatum destino) e si incista in una grotta sotterranea a più piani sotto il monte che attualmente prende il suo nome.[1] Questo passo lo fa in quanto sperava di essere lei la madre del Salvatore dell’umanità: scoperto che così non era si incista nel sottosuolo dedicandosi alla gnosi ed all’esoterismo.
Le sue ancelle hanno il permesso di frequentare le feste ed i balli che spesso vengono organizzati nei villaggi che contornano i monti, per fare proseliti: le ragazze sono stupende ed i giovanotti perdono spesso la testa. Ma la prudenza e la saggezza popolari li mettono in guardia da questi amori “fatali”: ma come riconoscere una ragazza “normale” da una Fata? Semplice perché queste ultime quando ballano emettono, battendo i piedi, un suono “caprino” e ciò le qualifica come seguaci del diavolo che viene sempre raffigurato sotto sembianze di un capro cornuto e con gli zoccoli al posto dei piedi!
Queste donne vengono spesso raffigurate nelle ceramiche ascolane: sono longilinee, bionde con gentili lineamenti, indossano un lungo peplo fermato da un nastro sotto il seno. In mano reggono sempre un librone: il Grimonio, libro di “antica sapienza” che permette sia di divinare il futuro sia di compiere magie straordinarie.
Bene sul monte Vettore esiste anche un singolare lago a forma di occhiali; il lago di Pilato, molto vicino ad Arquata del Tronto uno dei paesi ridotti in cenere dal terremoto.
Secondo la leggenda il corpo del Governatore romano, che consegnò Cristo alla morte, per sua volontà fu messo dentro un sacco e posto poi su un carro trainato da bufali i quali guidati dal loro istinto, lo avrebbero depositato dove il Destino voleva. Gli animali giunti ai bordi di questo piccolo lago si impuntarono facendo cadere in acqua il corpo di Pilato.
Il lago ebbe una reazione e divenne rosso sangue!
In realtà nelle acque esiste un piccolo crostaceo che nuota a pancia in su: Chirocefalo del Marchesoni che in primavera, quando si riproduce diventa rosso facendo tingere di questo colore le acque del laghetto.
Bene sulle rive di questo lago era comune la pratica di andare a “consacrare” a satana i Grimoni: il fenomeno era talmente esteso e comune che le autorità fecero erigere una forca come monito e circondare il lago da muri per impedire a streghe e negromanti di raggiungere i bordi e procedere alla consacrazione dei Grimoni stessi.
Parecchie furono le esecuzioni capitali, per impiccagione, che furono eseguite: i corpi venivano lasciati esposti per giorni come monito.
In vari posti, intorno alla catena dei Sibillini, sono state rinvenute steli, pietre piantate nel terreno spesso adornate di scritte di difficile decifrazione, quasi di carattere magico esoterico. Inoltre tutte queste pietre e steli avevano una caratteristica quella di formare delle traguardazioni sia astrali che geografiche formanti una specie di fitta rete che si interseca e si compendia: se si uniscono, infatti i vari punti in cui questi misteriosi piccoli dolmen sono posizionati su una carta geografica, tutti hanno la caratteristica di convergere sulla vetta del Vettore o della Sibilla i due monti più alti. La forma che si evidenzia da questa operazione è ben ordinata e forma una specie di tela di ragno regolare e geometricamente ben disegnata: tutti i vari siti cartografici sono intercomunicanti tra loro.
Cosa significhi tutto ciò è avvolto dal mistero dell’oblio che ha accompagnato la scomparsa di vestige di civiltà italiche pre romane: traguardazioni astrali? Mezzi per riconoscere la mappa celeste o astrolabi per studiarla meglio? Punti di riferimento meteorologico? Convogliatori di linee di forze positive erette a protezione dei luoghi e che creavano un ombrello protettivo contro le forze del male?
Nessun archeologo, nessun antropologo, nessun ricercatore è mai riuscito a spiegare questo piccolo ma avvincente mistero. Alcune delle steli più grandi fanno come da raccolta e smistamento di queste linee. La stele più importante. quasi fosse un punto nodale di sintesi, (non è detto che non ne esistessero altre non rinvenute o perdutesi nel passare del tempo) è quella rinvenuta in una campagna in comune di Castignano: essa è esposta nel museo archeologico di Ascoli, ma una copia dà il benvenuto a chi entra nel paese proveniente dal capoluogo di provincia. Paese per altro con un’accertata successiva presenza templare.
Altro piccolo tassello, questo, nella già complessa serie di interrogativi e di esoterismo che circonda la catena dei Sibillini.
Nella Rocca di Arquata, imponente castello fortificato, nella prima metà del XV secolo, soggiornò a lungo la regina Giovanna di Angiò. Questa regina era famosa per i suoi costumi libertini ed anche per essere una donna che spesso eliminava i suoi amanti.
E’ ben vero che sempre ad Arquata, precisamente nella chiesa di San Francesco veniva conservata una copia della Sacra Sindone di Torino.
Il cardinale Federico Borromeo fece voto che se la peste[2] avesse abbandonato Milano, come segno di ringraziamento avrebbe fatto un pellegrinaggio fino alla Abazia di Chambéry dove i Savoia conservavano la Sacra Sindone.
I Savoia, per fare una gentilezza al santo alto prelato, fecero trasportare la Sindone a Torino dove il cardinale Borromeo arrivò, come pellegrino, dopo quattro giorni di cammino.
Espresse il desiderio che cotanta reliquia venisse in qualche modo “duplicata”e conservata in una città di provincia, al riparo da eventuali rischi di profanazione o di furto.
Una pergamena datata 1º maggio 1655, redatta ad Alba, è firmata da Guglielmo Sanzia, cancelliere vescovile e notaio, e Paolo Brizio, vescovo e conte della città piemontese, che ne costituisce il certificato di autenticazione. Nel documento vi è scritto che nello stesso anno su “petizione del vescovo Massimo Bucciarelli, segretario del cardinale Federico Borromeo, alla presenza di una commissione incaricata, nella piazza di Castelgrande di Torino, un lenzuolo di lino di egual misura è stato fatto combaciare con la Sindone”.
Bene la sovrapposizione lasciò sul lino la stessa immagine della Sindone: un vero miracolo.
In fondo l’originale della Sindone era di proprietà di casa Savoia quindi una copia doveva essere anche in possesso della Santa Sede e quindi la copia miracolosamente ottenuta per “Extractum ab originali” fu portata ad Arquata, città piccola ben fortificata e posta su una roccia enorme, quasi imprendibile e conservata dai Francescani: ad un certo momento di questa reliquia si persero le tracce. Fu ritrovata solo nel XVII secolo piegata e chiusa in un’urna dorata nascosta dietro una nicchia di un altare.
Dopo il terremoto si era temuto per il destino di questa reliquia: è stata ritrovata intatta e guardata a vista da quella statua della Vergine rimasta intera tra le macerie della chiesa. Si erano però perdute le chiavi rimate sotto il crollo. Alla fine anche queste sono state ritrovate e la sacra reliquia ora è stata deposta nel Duomo di Ascoli nello stesso luogo dove ci sono anche conservati i resti di Sant’Emidio.
Ora questi sono i fatti che impongono delle riflessioni di carattere esclusivamente spirituale: tutta la riva sinistra del Tronto è stata letteralmente distrutta dal terremoto, la riva destra non è stata toccata.
Ma c’è di più: a Spelonga, un piccolo centro a pochi chilometri da Arquata nella locale chiesa parrocchiale c’è conservata una bandiera turca che un marinaio di Spelonga, imbarcato su una galea pontificia, staccò dal pennone di prua di una nave ottomana e che riportò al paese. Certo dei montanari non conoscevano il mare, ma erano avvezzi a salire scendere con la rapidità di gatti dagli alberi e quando dei francescani predicarono la Crociata contro i turchi si arruolarono mossi da tanta pura e cristallina fede.
Ogni due anni questo episodio viene ricordato da una festa che si chiama la Festa Bella: bene una cinquantina di persone per lo più giovani si sono salvati dall’effetto distruttivo del sisma proprio perché erano andati a questa festa.
Coincidenze? Non lo possiamo sapere: certo è che sia la copia della Sindone ritrovata intatta, sia la rievocazione storica della battaglia di Lepanto di Spelonga non hanno trovato grande spazio nei media troppo concentrati ad evidenziare il ritrovamento di cani e gatti tra le macerie del terremoto.
Forse che Dio ha toccato terra ed essa ha tremato?
“Il Signore tuona con forza
Tuona il signore con potenza.
Il tuono del Signore schianta i cedri,
il Signore schianta i cedri del Libano.
Fa balzare come un vitello il Libano
ed il Sirion come un giovane bufalo.”
Così il salmo 28.
Ed ancora dal Salmo 96:
“Le folgori rischiarano il mondo:
la terra guarda e trema.
I monti fondono come cera davanti al Signore,
davanti al Signore di tutta la terra.
I cieli annunciano la sua giustizia
E tutti i popoli contemplano la sua gloria.”
A pensarci bene il terremoto più che una catastrofe che ha raso al suolo tanti paesi, che ha gettato scompiglio, morte, desolazione tra quelle bellissime contrade è forse un preludio un annuncio ulteriore dell’imminente ritorno di Dio su questa terra. Una specie di richiamo alla conversione: una campanella dell’ultimo giro.
Egli dà degli esempi, manda dei messaggi chiari e forti a tutta l’umanità, perché sappia che sta per tornare con tutta la sua potenza per esercitare la sua giustizia ed applicare la sua misericordia che dalla giustizia non è mai disgiunta.
E questo nonostante quello che vorrebbe farci credere Papa Badoglio e la sua cricca eretica. Dobbiamo esserne certi l’essere gesuita, Papa e sedere sul Soglio di Pietro non lo esimerà dalle sue responsabilità ed avrà poco da “fare il furbo” davanti alla maestà del Re della Gloria.
Luciano Garofoli
[1]Le grotte in realtà sono due ed esistono realmente nel ventre della montagna.
[2]La peste è quella descritta da Manzoni nei Promessi Sposi, come lo stesso personaggio è anche il cardinale Federico Borromeo che nel romanzo converte l’Innominato e riprende e libera Lucia dalla prigionia. Al cardinale Borromeo capitò la sventura di far cadere a terra un’ostia consacrata. Dopo aver ripulito e leccato con la propria lingua il luogo dove era caduta, fece fare una settimana di penitenza e di riparazione per l’episodio accaduto con messe speciali e funzioni espiative. Egli stesso digiunò per molti giorni e vegliò la notte in preghiera per chiedere perdono di quello che aveva fatto: proprio come succede oggi in cui la presenza reale di cristo nell’Eucarestia comincia sempre di più ad essere messa in dubbio! A questo riguardo il buon esempio viene proprio dall’alto.