Tre giorni al convegno della Fraternità San Pio X a Rimini, ed ecco una quantità di eventi da analizzare, tutti insieme: 1) lo pseudo-sinodo dello pseudo-papa, subito esaltato dai media come “Comunione ai divorziati” ; 2) la vittoria del partito euro-scettico, populista e filo-Orban a Varsavia; 3) La cattura di un colonnello israeliano che stava comandando i takfiri dell’Isis in Irak. Di questo, e degli eventi significativi che hanno accompagnato la cattura, i nostri media ufficiosi hanno, ovviamente, taciuto. Per il carattere urgente degli sviluppi, scelgo questo tema.
Il colonnello israeliano
Ormai è ampiamente confermato dall’agenzia Fars e riportato dai blog: l’ebreo che aiutava gli islamici a far la guerra si chiama Yusi Oulen Shahak, è colonnello della famigerata brigata Golani, e il suo numero di matricola militare Re34356578765az231434. Le forze irachene che l’hanno catturato hanno la prova di ciò che sostenevano da mesi, anche grazie alle confessioni che avevano strappato a jihadisti catturati: che nella fulminea e vittoriosa avanzata delle truppe del Califfato dell’estate 2014, quando presero Mussul quasi senza colpo ferire, erano comandati da agenti del Mossad o altri entità israeliane.
Si ignora se l’arresto del colonnello Shahak sia in relazione con l’altra notizia dell’agenzia iraniana Tasnin News, secondo cui le forze irachene hanno catturato non uno, ma quattro “consiglieri militari” a fianco dell’ISIS, tre “con doppia cittadinanza Usa e israeliana”, mentre il quarto è “di un paese del Golfo Persico”.
Adesso c’è la prova di ciò che i “complottisti” hanno detto da sempre dispregiati e scherniti dal “grande” giornalismo: che Daesh è una organizzazione e invenzione Usa-Israeliana e saudita per distruggere altri musulmani, sciiti.
Così gli Usa “aiutano” la lotta al Califfato
Per strana coincidenza con la cattura dell’ebreo, i corpi speciali Usa Delta Forces – dopo mesi e mesi di inazione – sono stati lanciati in una operazione sul terreno, in cui è morto uno di loro. Il primo soldato americano caduto in Irak dal 2011, ci hanno detto i media.
Qual era l’operazione? La “liberazione” di decine di ostaggi presi prigionieri dall’ISIS, a cui i tagliagole avevano già fatto scavare le fosse in cui li avrebbero gettati dopo averli trucidati, detenuti in un carcere takfiro nel nord-Irak, presso la cittadina di Hawaija.
Meritevole tentativo. Ma in realtà, a quel tentativo si stavano già preparando i Peshmerga, ritenendo che gran parte di quei detenuti fossero curdi, quando le forze speciali Usa (che erano presenti come consiglieri militari) si sono intromesse. Hanno salvato 69 prigionieri, assevera la Reuters, di cui alcuni “ex militanti dell’ISIS che Daesh pensava fossero spie”, venti membri delle forze di sicurezza irachene, e molti semplici cittadini locali…non si dice quanti degli ostaggi, invece, sono stati uccisi nella sparatoria. Era una operazione destinata a salvare, oppure – magari –a far tacere qualcuno che sapeva troppo sulla collaborazione tra Daesh e israeliani, o Cia?
Reuters dice testualmente che “la missione di salvataggio Usa ha avuto luogo data la preoccupazione di Washington per il crescente intervento russo in Medio Oriente”. Immediatamente, i comandi Usa hanno diramato un video, che sostengono preso da una telecamera presa sull’elmetto di uno dei loro uomini, dove è documentata l’eroica impresa. Un video che gli esperti giudicano un falso Made in Hollywood.
“Ormai tutto il mondo ha capito chi sono i padrini del terrorismo, e chi sono quelli che lo utilizzano per cambiare regimi”, ha scritto il direttore di Veterans Today,
Clamoroso rovesciamento di alleanze.
“Bagdad autorizza i russi a fare bombardamenti in Irak”, suona il titolo.
Il governo iracheno ha autorizzato i caccia russi a volare sul suo territorio “per inseguire i terroristi che scappano dalla Siria all’Irak”: il fraseggio iracheno è la foglia di fico per non dire che Bagdad ha chiesto l’assistenza delle forze di Mosca.Non è ancora abbastanza emancipata dagli Usa da poter fare una formale richiesta di aiuto, come ha fatto il siriano Assad.
Appena poche ore prima di questo annuncio, il generale Joseph Dunford, capo degli stati maggiori riuniti Usa, aveva detto al primo ministro iracheno Haider al-Abadi: “Non riceverete più da noi l’aiuto che vi diamo a combattere l’ISIS, se anche i russi conducono operazioni sul vostro territorio”. Patetico e ridicolo: il governo iracheno sa benissimo cosa pensare dell’ “aiuto” americano, dopo un anno di bombardamenti Usa che hanno reso l’ISIS più forte e meglio armato.
Per intanto, i Sukhoi hanno abbattuto un ponte sull’Eufrate ( in territorio siriano, a Deir ez-Zor) troncando i rifornimenti che l’ISIS dell’Irak mandava all’ISIS di Siria.
D’altra parte, ormai Bagdad è una succursale politico-militare di Teheran: governo sciita legato a filo doppio agli ayatollah, notevoli forze iraniane operanti sul terreno supportate dai Sukhoi in cielo, e a Bagdad la centrale di intelligence comune con personale russo e iraniano, iracheno e siriano a condividersi i dati. Il progetto neocon – 15 anni di guerre per destabilizzare i nemici potenziali di Israele, fino a destabilizzare ed attaccare l’Iran – non poteva subire disfatta più plateale: la detronizzazione di Saddam per mano neocon s’è tradotta nella consegna all’Iran della parte sciita dell’Irak, e dell’aumento d’influenza di Teheran nell’area.
Anche la Giordania và con Mosca
“Russia e Giordania si apprestano a creare un centro di coordinamento comune ad Amman, in cui i due paesi condivideranno informazioni sulle operazioni anti-terrorismo, ha annunciato il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov”: è lo stesso tipo di centrale d’intelligence comune che i russi hanno a Bagdad insieme agli irakeni, iraniani e siriani ora viene installata nella capitale giordana.
Attenzione, non è un coordinamento come quello fra russi e americani per scongiurare scontri “involontari”, ma ben altro: “In base all’accordo stretto fra sua maestà re Abdullah II e il presidente russo Vladimir Putin, le forze armate dei due paesi coordinano le loro azioni, comprese le missioni degli aerei militari sul territorio siriano”.
In pratica, un rovesciamento di alleanze. O, se vogliamo, l’innesco di un processo di liberazione anche della monarchia giordana.
La Giordania aveva dovuto far parte della coalizione anti-Daesh voluta da americani, unirsi a turchi e sauditi nella finzione di colpire l’Isis mentre era stata scelta dalla Cia come base base d’addestramento per i terroristi dell’ISIS. Re Abdullah ci aveva anche perso uno dei suoi piloti da caccia, Muad Kasasbeah (di una famiglia vicina al re) che poi l’ISIS ha mostrato mentre lo bruciava vivo in un video sulla cui falsità resta più di un dubbio. Ha anche fornito ai jihadisti (quelli che la coalizione si supponeva combattesse) 3500 Toyota pickup (i sauditi ne hanno dato oltre 30 mila).
Ciò perché, vicina alla strapotente Israele, che gli ha gettato nel territorio i palestinesi espulsi (a milioni), e viola la sua sovranità quando vuole, la Giordania non può fare una politica nemmeno lontanamente indipendente da giudei, americani e sauditi (che pagano). Almeno fino a ieri. Appena è apparso un’altra forza protettrice, re Abdullah s’è messo dalla parte di Mosca: credo, con molto sollievo, anche perché il comportamento russo è molto diverso da quello padronale ed umiliante Us-raeliano. Nel dar notizia dell’accordo, infatti, Lavrov ha sottolineato: “La Giordania svolgerà una parte positiva per cercare una soluzione politica al conflitto in Siria attraverso negoziati fra Damaso e le forze d’opposizione, uno scopo che anche la Russia persegue”. Non più un cameriere, il re giordano viene rispettosamente invitato, come decente stato vicino, a far parte della soluzione politica. Quanta differenza con la soluzione neocon, turca e saudita – usare i terroristi wahabiti e mercenari non-siriani per detronizzare Assad e distruggere la Siria – ciascuno lo può vedere.
E’ un ritorno alla ragione nell’area che Mosca sta palesemente cercando di instaurare, legando amichevoli relazioni diplomatiche con tutti i vicini e cointeressandoli alla stabilità della Siria, e non alla sua destabilizzazione. Almeno con quelli che ci vogliono stare: Putin ha rivolto insistentemente l’offerta a Washington, che ha rifiutato. Anche Ryad ha ovviamente rifiutato. Anzi, ha intensificato l’avvio di armamenti pesanti ai “ribelli”, con il pieno appoggio della Casa Bianca.
La monarchia saudita, che di suo non dispone di un gran numero di sudditi vogliosi di immolarsi, sta ricorrendo (si dice) a mercenari della Blackwater (o come si chiami adesso) per la sua guerra dello Yemen. Ai ribelli dell’ISIS ha promesso missili anti-aerei a spalla, contro i caccia russi. Gli americani, missili anticarro TOW; e ai primi di ottobre hanno paracadutato – come dono d’addio – 50 tonnellate di armi e munizioni ai ribelli in Siria.
Riorganizzano il terrorismo globale
Le due suddette potenze, colte di sorpresa, cominciano a reagire. Accelerano la riorganizzazione del terrorismo islamico ridotto a mal partito dall’intervento russo. A questo sembrano alludere le notizie che un migliaio di talebani operanti fra Pakistan ed Afghanistan, di punto in bianco, “hanno dichiarato fedeltà al Califfato”, e così anche noti gruppi terroristi come Lashkar-e-Taiba » e « Jhangvi ; già nel marzo – ha segnalato Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli esteri russo – il capo del movimento terrorista islamista dell’Uzbekistan, Usman Ghazi, “ha presentato giuramento ad Abu Bakr” (il califfo) e così il gruppo estremista “ Hizb ut-Tahrir » ».
Insomma i veri mandanti del terrorismo islamico, siano a Ryad o a Doha, a Washington o a Tel Aviv, ritengono necessario mettere i loro islamici sotto comando unificato: Non più funzione di Al Qaeda moderato contro ISIS estremista, sono tutti “nostri”.
http://fortruss.blogspot.fr/2015/10/militants-in-afghanistan-and-pakistan.html
Fatto interessante, il governo d Kabul – un altro suddito degli Usa – ha chiesto a Mosca armamenti contro questi Talebani diventati Daesh.
Erdogan ha dichiarato che non permetterà ai curdi di “impadronirsi del Nord della Siria, dove stanno combattendo i suoi terroristi.
Un principe saudita, Abdel Mohsena bin Waleed bin Abdel Aziz, è stato arrestato all’aeroporto di Beirut perché trovato in possesso di droga: 2 tonnellate. Non per uso personale, si spera, ma per i ribelli. Sono infatti due tonnellate di captagon, la super-anfetamina che rende feroci e insensibili i jihadisti. In questi giorni ne hanno bisogno in alte dosi.
http://www.kommersant.ru/doc/2840931
Insomma Saud e Washington fanno di tutto per impedire la soluzione negoziale che i russi promuovono, la transizione politica in Siria, e contano ancora di rovesciare Assad e precipitare il paese indefinitamente nel caos di tipo libico. Perché invece la situazione siriana si rasserena – secondo il gran muftì della Siria, Ahmad Badreddin Hassoun, centinaia di migliaia di profughi sarebbero già tornati perché i bombardamenti russi danno loro la speranza di una prossima pace – al punto che Assad ha annunciato che si presenterà alle prossime elezioni. Che le vinca ci sono pochi dubbi. Già nel 2012 il presidente siriano aveva proposto una riforma della costituzione che comprendeva il pluralismo politico; l’aveva proposta con referendum, e il referendum popolare l’aveva approvata; il 7 maggio, una consultazione elettorale aveva dato la maggioranza al fronte di unità nazionale raccolto attorno al suo partito, il Baath. Per mandare a monte la riforma e il consolidamento del regime, Usa ed alleati hanno dovuto inscenare la strategia della tensione, e la demonizzazione mediatica del presidente, cui Mosca dà, oggi, la battuta d’arresto.
Puniscono i siriani. Di nascosto.
“Aerei Usa hanno bombardato una centrale termoelettrica a Marea, Tal-Shaer, che dava elettricità ad Aleppo. L’attacco ha interrotto l’energia a molti quartieri di Aleppo”: così Veterans Today, il sito di Gordon Duff che dispone di font amiche in Siria e Iran (è stato il primo a dare la notizia dell’arresto dell’alto ufficiale israeliano in Irak)
E’ la seconda volta: otto giorni prima, due F-16 “appartenenti alla coalizione guidata dagli Usa” ha centrato due centrali energetiche di Al-Ramaniyeh, ad est di Aleppo, anche lì lasciando parte della città al buio. Siccome l’attacco è avvenuto in zone del tutto pacifiche, senza ribelli, anche la sorveglianza russa è stata sorpresa.
Sono F-16 americani? I russi – secondo Veterans Today che cita una sua “fonte affidabile” non la penserebbero così: “Mani nascoste dietro l’Amministrazione hanno conti in sospeso per distruggere le installazioni civili in Siria…Elementi sionisti stanno lavorando per rendere più tese le relazioni Usa-Russia; fanno di tutto per tagliare ogni possibile cooperazione tra le due potenze sulla Siria e nell’area”. Insomma Mosca sembra pensare che non sia Obama, ma altri annidati nel suo governo o sottogoverno a compiere questi atti di sabotaggio criminale.
Perché, dicono le ultime notizie, domenica John Kerry ha incontrato Lavrov ed avrebbe accettato di rendere parte al processo di transizione (e pacificazione) della Siria proposto dai russi; anche se la posizione americana resta quella: “Assad must go”.