Do per dette le frasi di pietà (falsa) e le lacrime (di coccodrillo) che i media hanno sparso sul trentenne di Udine che si è ucciso, e la cui esacerbata lettera d’addio i genitori hanno voluto far pubblicare sul giornale. Mi preme arrivare alle parole che forse solo io trovo agghiaccianti:
«Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato».
La scelta delle parole così accurata riflette, temo, il sentimento di questa generazione dei disoccupati al 47%. Chi gli ha instillato l’idea che gli “doveva essere consegnato”, come una pizza a domicilio (perdonate), un mondo gradevole, giusto, secondo i loro desideri? Un mondo dove non si passa la vita a combattere “per lo spazio che sarebbe dovuto, quello che spetta di diritto”. Un mondo dove “la sensibilità” è una qualità ricercata, dove non “ conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni”?
Sogni?
Non c’è da fare rimproveri al suicida, non si tratta di una psicologia individuale, ma di una falla collettiva. Del resto anch’io, se vado con la memoria ai miei diciott’anni quando uscito da liceo cercai un lavoro, scoprii con rabbia e dignità offesa che “il mondo” non era lì ad aspettare e le mie sopraffine qualità e cultura; che non era paterno né cordiale; che non mi dava uno stipendio per i miei delicati sentimenti (che esprimevo in poesie e brevi racconti), ma solo se ero “utile”, se “rendevo”.
Naturalmente per me fu più facile perché era il boom, c’era bisogno di impiegati, trovai quasi subito lavoro, questa cura necessaria al male chiamato adolescenza; però ricordo ancora lo choc culturale di trovarmi in un ambiente di lavoro “brutale” dove i colleghi avevano scorza dura, e non parliamo dei superiori. Evidentemente anche a me, alla mia generazione, qualcuno aveva instillato l’aspettativa che mi “si doveva consegnare” un mondo ben disposto verso le mie qualità e giusto verso i meriti.
Cosa è quel qualcuno o qualcosa? Naturalmente si può rispondere: la scuola “facile” e “moderna, i genitori “amici” e di manica larga, o la società dello spettacolo che propone la vita come una festa e la soddisfazione dei desideri, la televisione…Ma tutte queste cose, ai miei tempi, non erano ancora così facili, pervasive, superficiali e scintillanti come oggi (la tv era in bianco e nero, e la mia famiglia andava da un vicino a vedere Lascia o Raddoppia, perché non l’avevamo).
Il problema è Politico
Quindi, se provo a chiedermi cosa mi aveva dato l’illusione che mi spettasse la consegna del mondo di mia scelta, come una pizza, devo rispondere: il sistema politico. Chiamato “democrazia”. Un sistema fatto apposta, dicevano, per dare sempre nuovi e più ampi “diritti” agli individui, specie a quelli “sfavoriti”. L’idea di uguaglianza, l’idea di giustizia come conquiste ormai conseguite. Una volta per tutte.
E’ questa assicurazione fasulla che ha disarmato il trentenne di Udine – voleva fare il grafico, poveretto, un mestiere superfluo in una società in recessione e calo da un decennio – e pensava di averne diritto. Si è trovato in una società dove i diritti li hanno i LGBT , o quelli che se li possono pagare; nessuno lo aveva avvertito in tempo.
Lui stesso, il suicida intelligente, evoca l’inganno di cui è stato vittima nel suo aspetto di Questione Politica: dice che la sua morte “è un’accusa di alto tradimento”, ed è giustissimo; dice: “Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità”. Butta la sua morte in faccia al ministro del lavoro ben noto: “Complimenti a Poletti. Lui sì che valorizza noi stronzi».
Bene, ma è una rivolta impotente. Avete visto i ceffi che inalberano i “governanti democratici” dell’ultima edizione di governo. E pensate che questi nutrano un qualche rimorso? Scrupolo di coscienza? Che abbiano la minima preoccupazione per i diritti della “generazione” che ha il 47 per cento di disoccupati?
I diritti, loro, li tolgono; li danno ai figli loro, ai compari e compagni di partito, ai LGBT, magari agli animali, ma a voi no. Danno 4 milioni l’anno a Bruno Vespa, un milione e 8 alla famiglia Angela, 400 mila a Pupo – soldi che prendono dalle vostre tasche – ma a voi no.
E questa classe, questi ceffi, hanno acquisito quella che “arroganza di casta” tipica delle oligarchie, quella che fa credere a un tizio che beneficia di privilegi indebiti, di meritarli in ragione del suo talento. Questa arroganza è una sorta di cecità che il sociologo Pierre Bourdieu (1930-2002) ritenne essere “la madre delle rivoluzioni”.
Questa è la situazione in cui doveva scoppiare la rivoluzione: quando la legalità è occupata da una casta illegittima che divora le risorse per sé e compari, vero cancro che consuma. Come mai non avviene? Perché quando il suicida proclama che “questa generazione si vendica di un furto”, la “generazione” non c’è, dietro di lui. Ci sono individui. Un formicolio di individualismi, di Io pigolanti che litigano incessantemente sul web o commentano e insultano, che si dividono di fronte ad ogni proposta, ma che sono incapaci di unità e disciplina – cioè di diventare, da formicolante pandemonio di amebe e vermi che brulica sulla Rete, una “generazione” decisiva. Sono gli “Snowflakes”, preziosi e delicati, che strillano e si traumatizzano perché il mondo non è come lo volevano consegnato; che magari si suicidano, sprecando l’ultima possibilità politica – che è fare paura a tutti quei ceffi.
Giusto con la speranza di dissuadere dal suicidio qualche altro snowflake, ricordo (soprattutto a me stesso) perché e quando una generazione giovane ha cambiato le cose. Anzitutto, perché era appena uscita dalla guerra e l’aveva combattuta. Un orribile bagno di realtà. Dove ti facevano sparire subito l’illusione che ci fossero dei “diritti” ad un mondo giusto che tenesse conto dei meriti o dei sentimenti. Il mortaio, nel 15-18, ammazzava i migliori e i peggiori senza distinzione; per questo le trincee erano scavate a zig-zag, perché le schegge non arrivassero fin dietro l’angolo. I superstiti fumavano e giocavano a carte e cadaveri di compagni restavano a gonfiarsi appesi ai reticolati, perché non li si poteva certo andare a prendere, c’era il cecchino che non perdonava; fra quei cadaveri c’era il giovane professore che sapeva il greco, speranza delle Lettere, oppure il sottufficiale carogna a cui aveva sparato, da dietro, il soldatino vendicativo. Poi le ore ed ore di bombardamento che facevano impazzire tanti, il pesticciare nel fango di piscio e di budella sparse…A Stalingrado, il commissario metteva le reclute a due a due ad avanzare. Le istruiva: “Tu stai dietro a lui. Appena lui muore, tu prendi il suo fucile”, non ce n’erano abbastanza per tutti, e non c’era nessuna selezione in base al merito, nessun diritto, e persino nessuna razione per calmare la fame. E non uno che si provasse a dire: “Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato”. Non sto vantando la guerra, da Stalingrado persino i cani randagi fuggivano, non potevano sopportare tanta misura di orrore.
Ma nella guerra questa generazione imparava due cose: che il Velo di Maya era stracciato, e che si sapevano usare le armi, e la disciplina e il coraggio salvano la vita, a volte.
Così, per esempio, la gioventù del 18 quando tornò a casa (molti altri morirono di Spagnola o dei postumi della trincea) e trovò che la prospettiva che gli veniva offerta nella “Pace” era il governo di una flaccida oligarchia parassitaria,incapace, superata, privilegiata e senza meriti, che si legittimava con false idee risorgimentali, massoniche; e disse di no. Ritrovò, ora in borghese, il capitano, il colonnello di cui aveva sperimentato il comando nell’odore di merda e sangue delle trincee; nacquero partiti che avevano autoblindo e armi; occupavano, sotto vari colori, rossi e neri, la “generazione” unita, politicamente cosciente, che sapeva usare le armi. E le usava. A squadre, manganellarono, bruciarono sedi di giornali, pugnalarono, guidarono le blindate e i tram durante gli scioperi degli avversari. In una parola: fecero paura alle oligarchie, strapparono loro il potere.
Naturalmente qualche furbo lettore dirà che parlo del fascismo. No, parlo della democrazia. Della democrazia senza il Velo di Maya. O credete che al popolo, i diritti, le libertà, la giustizia salariale, l’ equa distribuzione, i diritti di voto, siano stati regalati? Sempre, nella storia, i “diritti” il popolo li ha strappati. Con le armi, se necessario. Facendo paura ai parassiti, sgonfiando la loro arroganza di classe, rendendo la vista alla loro cecità, facendoli tremare nelle loro ville. Senza il Velo di Maya, la violenza è l’ ultima ratio della Politica. Quanto volte ve l’ho raccontato: nel cantone di Appenzel, la cittadinanza vota all’uso antico, ed ogni maschio porta, come tessera elettorale, la spada di famiglia: perché sia chiaro: i miei diritti di voto vengono dal fatto che sono pronto a versare il sangue per questo pezzetto di terra. E’ solo un’antica usanza. Ma è la memoria di cosa c’è dietro il Velo di Maya.
E veniamo a voi, snowflakes che non riuscite ad essere “generazione”. Che ad ogni proposta che vi si faccia, sapete fare una sola cosa: negare, protestare, distinguervi, trovare che in essa non va qualcosa, o qualcuno, quindi non ci state, non parteciperete al progetto, schizzate in tutte le direzioni invece che, unite, in quella giusta. Non avete fatto il servizio militare – e vi è andata bene così – quindi non avete imparato la disciplina, il sacrificio, l’uso delle armi. Non sapete usare la violenza in modo organizzato e controllato, non da teppisti del calcio ma da reparto politico-militare.
Avrebbero dovuto già i vostri genitori pretendere quella educazione di base che era il servizio di leva. No. Sono stati contenti di liberarvene. I politici ancor di più, perché così non gli fate più paura, non siete più un popolo armato. E voi anche: la guerra la facciano gli specialisti. Avreste dovuto invece gridare: vogliamo servire la patria! Dateci le armi! I capitani! I colonnelli! Le esercitazioni!
Adesso, capisco, è un po’ tardi , la guerra la fanno i mercenari specializzati (così come il sesso lo fanno gli attori porno, che sanno fare). Alla generazione è stata risparmiata la sanguinosa tosatura delle guerre, ed è una bellissima cosa.
Ma lo scotto è che “la soluzione è individuale”, come ripete Paolo Rebuffo, e so perché: dopo aver tentato invano di unire una generazione per una soluzione comune, la soluzione individuale è quel che resta. Uno trova in Svizzera il lavoro degno che gli è negato qui, l’altro si toglie la vita.
Faccio solo notare questa strana circostanza: che ogni generazione giovane deve pagare un prezzo. Quelli delle altre, tornavano decimate a prendere la loro parte nella civiltà, si assumevano compiti, si facevano famiglie. La mia, è stata decimata pro-quota dall’eroina, dal terrorismo rosso. La vostra non conta tanti morti – o così pare. Ma il prezzo che pagate, ha avuto ragione il suicida, è altissimo. La vostra tragedia è forse peggiore di quella dei giovani del 15-18,o del 39-44. Solo che il Velo di Maya, per voi, non s’è lacerato.
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Michele, disoccupato suicida: “Non posso passare il tempo a cercare di sopravvivere”
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Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.
Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene. Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
Ho resistito finché ho potuto
. “Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte”.
“Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.Tutte balle”.
Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile”.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
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Eh si. Questa è peggio di una guerra. Perché non sei in inquadrato in un battaglione in un conflitto dichiarato. E’ una guerra che non esiste. Perché sei un mario rossi qualunque, da solo. E da solo non puoi nulla. E poi tutto va bene, non c’è guerra, sennò non ci sarebbe San Remo e la televisione col suo “divertente” intrattenimento.
Che in primavera invece si sblocchi qualcosa…?
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Personalmente, e lo dico da vecchio ventenne che sta per giungere alla soglia dei 27, non provo alcuna pietà per quest’amalgama informe di “esseri unici ed irripetibili”(anzi, speriamo davvero che non si ripetano mai!). Lei Blondet cita il principe Borghese e secondo il celebre patrizio Romano (si fa per dire, non discende mica dalla Gens Anicia come i Colonna) questa gioventù marcescente sarebbe un ostacolo da abbattere, un nemico pubblico, un hostis publicus in piena regola. In un altro articolo lei afferma che i barbari, i nuovi barbari sono stra noi, li abbiamo in casa. E’ proprio così, sono un’orda rabida e ferocissima (altro che snowflakes) che si lascia alle spalle solo macerie e devastazione. Ma sarebbe ingeneroso prendersela con simili “animae lapsae”. Le masse, da che mondo è mondo, sono solo masse e, come tali, incapaci di qualsivoglia iniziativa politica. Ma che dico, incapaci persino di formulare un pensiero politico indipendente. Le masse non fanno la rivoluzione, le masse brulicano e pascolano nel virente prato dell’Elite di turno. La storia, lo sanno tutti (persino Marx, che come tutti i kazari si diletta a mentire ai goym creduloni), non è una lotta di “classi”, ma “un cimitero di aristocrazie”, come diceva qualcheduno per prendersi gioco proprio del “filosofo” (economista ? boh) di Treviri. Sempre secondo le teorie “elitiste”, le classi dominanti non sarebbero eterne, ma destinate ad essere soppiantate da altre Elites(ovvietà).Tuttavia, è proprio questo il vero dramma: non la degenerescenza (più o meno fisiologica) delle masse incapaci di autogestirsi, bensì l’impossibilità di scorgere all’orizzionte il levarsi di una nuova classe dirigente capace di irreggimentare la mandria inselvatichita. Inutile stare a disquisire sui vizi di un popolo abbandonato a sè stesso. Se un cane ci morde, è con il padrone che dobbiamo prendercela. Dobbiamo fare pulizia in casa nostra. Dobbiamo riprenderci Roma, perchè chi governa Roma (il Papato) governa l’Italia ( e quindi l’Europa). La “congiuntura” politica non è mai stata così favorevole per l’instaurazione di un nuovo centro di potere. Ma non vedremo mai, come in Iran, una Suprema Guida paludata e contorniata dalle alte cariche militari sbeffeggiare il Trump di turno. La Persia, la nostra civiltà “gemella”, ha ritrovato la sua dignità. Roma, in realtà, non è caduta (dato che l’Impero, formalmente non è mai venuto meno. Il Patrimonium Petri è il diretto discendente del Ducato Romano, dell’Exarcato e della Pentapoli), si è semplicemente dissolta come un fumoso sogno antimeridiano. Non dobbiamo perderci nei labirintici giochi di parole demokratici. Non dobbiamo farci trascinare nella loro “dialettica” massonica ed hegeliana. Non dobbiamo utilizzare la loro termonologia, i loro neologismi. Ne verremmo inevitabilmente assimilati tramite il processo sintetico di aufhebung hegeliana. Dobbiamo mantenere l’atteggiamento distaccato dei persiani tipico dei popoli “storici”, perchè noi siamo Roma e non abbiamo bisogno di prestiti culturali. Dobbiamo irriderli nella consapevolezza che deum irridere non possunt.
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Sante Verità… e lo dico da vecchio trentenne che sta per giungere alla soglia dei 35.
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illiberal è forse il nome del blog dove scrive? mi piacerebbe, se volesse, informarmi su quel ” Non dobbiamo farci trascinare nella loro “dialettica” massonica ed hegeliana”
cordiali saluti –
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E’ vero,Roma in realta’ non e’ caduta,nel senso che il tempo dei Gentili non e’ finito. Apocalisse17,9-18.Pero’ le interpretazioni di questi versetti che s’incentrano su Roma sono forzate.Anche se 7 sono i monti su cui sta assisa la donna.Ma su 7 monti sta assisa anche Gerusalemme e i 7 re non sono imperatori romani.L’unica interpretazione sensata che conosco,e’ una visione raccontata tenendo i piedi a Geruslemme.5 re gia’ caduti,cioe’ 5 dominii visti arrivare e finire da un israelita’ del tempo della visione di Giovanni,sono Egitto,Assiria,Babilonia,Persia,Macedonia,(Alessandro Magno),e il sesto presente al momento della visione di Giovanni e’Roma. antica.Il settimo,che allora doveva ancora venire ma sarebbe durato poco,e’ Bisanzio,che in quella regione cadde molto tempo prima della classica data della caduta di Bisanzio nel XVesimo secolo(ora a memoria non ricordo le date, ma si trovano facilmente ed e’ meglio che chi vuole controlli personalmente).A Gerusalemme il periodo di dominazione bizantina duro ‘ pochi secoli,inizio’ secoli dopo la visione di Giovanni e poi cadde per l’invasione dei maomettani.Bisanzio pero’ tornera’ quando il Grande Monarca stabilira’ a Costantinopoli la sua sede(non a Roma)ma governera’ in accordo col Papa Santo delle profezie.Per breve tempo, per poi vedere l’arrivo dell’anticristo finale(“andra’in perdizione” e quindi il Giudizio Universale e la fine del mondo.Tutto questo pero’ poco c’entra con la morte di quel ragazzo di 30 anni,forse.Forse.Se pensiamo a quanti stronzi veri ci sono tra quelli che aspettano la fine dei tempi dei Gentili,eppure crescono apparentemente forti e aiutati certamente,e che fin da bambini vengono istruiti ad aspettarla.A maggiore ragione dovremmo saper aspettare noi,su cui la protezione di Cristo ancora si protrae.Ma chi lo fa sovente lo ha imparato dopo, non da bambino,perche’ catechismo e famiglia incidono poco da molti decenni per i piu’,anche se ci sono stati di aiuto.Anche questa e’ una risposta davanti a quel dramma,e lo dico con tutto il rispetto per i genitori che con amore hanno condiviso pubblicamente la lettera del figlio .Vero che le esperienze concrete,anche tragiche come la guerra, rafforzano,se non travolgono,come le trincee del 15-18,ma anche molte altre.Pero’ una buona base di idealita’ di partenza,che vada al dila’ dell’individuale,vorrei che tutti contribuissero a darla ai giovani e ai giovanissimi.perche’ in fondo il senso di quella lettera,( e’ crudo dirlo,ma proprio perche’ siamo crudi sopravviviamo)e’ il bisogno di quel giovane di dare una dimensione collettiva o di riportare al collettivo una esperienza e una scelta individuali.,anche se certamente non priva di denominatori comuni.Come spesso succede, ha cercato di dare quello che non ha ricevuto da una societa’ troppo distratta e per questo indifesa e vulnerabile.Che Dio ne abbia Misericordia ,e di noi tutti.
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Scusi, non sono riuscito a trovare “cristiana pietà” nel suo articolo, evidentemente mi è sfuggita, se può segnalarmela, grazie.
In generale volevo far notare che quando una persona arriva al punto di decidere di togliersi la vita le motivazioni con cui poco prima di compiere il gesto sceglie le parole diventano un po’ complesse da interpretare.
Il senso della sua lettera, di cui lei nella sua cristiana pietà non ha detto nulla, era che questo sistema economico (in cui la democrazia, al contrario di quello che pensa lei, è solo apparenza, finzione totale) si fonda rigidamente su un presupposto: devono esistere dei disperati che si accollino il prezzo del benessere di una minoranza (che include la media borghesia dei piccoli proprietari).
È lo stesso criterio del marxiano “esercito di riserva” che tra l’altro si sta cercando disperatamente di ricreare tramite l’immigrazione forzata.
Allora Michele ha detto, al di là dei moralismi compiaciutamente spietati:
“Mi si sta dando come unica scelta quella di vivere come uno schiavo dell’ “esercito di riserva”.
Lottare significherebbe solamente far sí che un altro al posto mio prenda il posto che ho ora nel mio attuale inferno.
Non ho la forza di cambiare un sistema che si fonda sul dominio e lo sfruttamento, non voglio avere come unica alternativa quella di trasferire il mio dolore su un altro che soffra in mia vece, quindi non accetto questa unica possibilità che mi è stata concessa in sorte venendo al mondo”.
No ma avete ragione voi, era solo un debole e affronterà il terribile giudizio divino.
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Per la “cristiana pietà”, rivolgersi a Francesco. Ne ha autobotti piene, di viscida cristiana pietà.
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Infatti Padre Pio diceva: “I nostri figli non avranno lagrime per piangere gli errori dei genitori… Non vorrei trovarmi nei panni dei vostri figli e dei vostri nipoti”.
Altro che snowflakes.
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Ai giovani bisogna voler bene, tutto il resto se lo devono guadagnare.
Questo e’ l’insegnamento del mio maestro, professore russo nell’ ex Unione Sovietica, che ho ricevuto e che ora applico ai miei studenti ed ai miei figli. Lei, caro Blondet, non sembra amarli.
I giovani non lavorano non perche’ sono choosy ma per in Italia il lavoro non c’e’!. Ho conosciuto giovani italiani che fanno i lavapiatti in Inghilterra e puliscono i cessi. In teoria, provengono da un paese che ha nella costituzione il diritto al lavoro. Come ricorda spesso lei e’ il lavoro che forma l’uomo, ma di quale colpa li dobbiamo accusare? ed i loro genitori, che hanno fatto per migliorare il proprio paese e migliorarsi?
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E fa benissimo a non amarli. Ecco, lo sapevo che qualcuno avrebbe preso ad esempio i lavaplatos londinesi. Io, da jovane con due lauree (perfettamente INUTILI. Il mondo non ha bisogno di laureati, semmai di accademici…Considerando poi come stanno violentando la didattica con le loro cagate europoidi fatte di slide et similia. Ma all’estero è peggio, parlo per esperienza. Mi vergogno profondamente di essere laureato, essere laureato è sinonimo di ignoranza. Vuol dire che si è sottratto tempo allo studio -vero- per poter sostenere esami sul nulla cosmico.) non andrei MAI e poi MAI in Angliamerda a lavare i piatti, ma non perchè sono choosy o bamboccione o quello che ve pare. Per due semplici motivi:
1- Non vado a pulire il culo al NEMICO proprio perchè è il nemico. Mi sentirei un traditore. Non mi interessa quanto abbia da offrire la perfida Albione.
2-La perfida Albione non ha proprio nulla da offrire. E’ un fenomeno culturale, questi desperados che vanno ad elemosinare l’obolo anglico sono mantenuti a spese della famiglia nel 90% dei casi. Vanno perchè fa “tendenza”, perchè sono “indie” ed “open minded”. Se pensate che l’esiguo congiario che Albione dispensa all’italaliota servente possa garantirgli la benché minima sussistenza siete dei folli! Vivono come topi, ammassati l’uno sull’altro. Ho sentito di gente che in Australia rinuncia al riscaldamento pur di risparmiare qualche piotta “signata” con il grugno della vecchiazza coronata. La gente di cui parliamo non ha nessun bisogno di umiliare se stessa ed il Paese, dato che vivrebbe in perfetta comodità con la paghetta materna e dato che potrebbe benissimo lavare i piatti in Italia guadagnando di più (in America un cameriere guadagna 3 dollari l’ora). Vanno perchè sognano le Inghilterre, senza rendersi conto che le agognate Inghilterre albergano ormai dentro loro stessi.
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La summa del discorso è che questi lavaplatos sono da esecrare perchè emigrano per motivi ideologici e non economici. L’Anglosfera (tutta) è poverissimaaaaaaaaaa! Ci sono sacche di povertà che qui sarebbero inimmaginabili ancora. Già nel lontanissimo 2007 ricordo che rimasi scioccato alla vista di ghetti a cielo aperto nel centro di Vancouver. C’era una piazza che chiamavano “pigeon men square”(piazza degli uomini piccione) o qualcosa del genere…Centinaia (non esagero) di straccioni che deambulavano come zombie, trascinando carrelli ricolmi di cianfrusaglie e bucandosi allegramente in compagnia. Il resto della città invece era lindo e pinto come il villaggio dei puffi. Potevi mangiarci per terra. E’ questo il loro modello di civiltà ed è così che vogliono trasformare l’Italia. Ci sono in parte riusciti. Almeno due generazioni bruciate. Il poveretto che si è tolto la vita ha fatto una scelta più dignitosa di un qualsiasi lavapiatti londinese. Ha preferito l’autodeterminazione tramite Seppuku. Meglio la morte che servire l’Albione. Chiaro, non ha fatto harakiri per la vergogna di aver perso contro il nemico, nè è morto in battaglia dopo averlo affrontato; ma questo solo perchè non ha mai avuto la possibilità di combatterlo questo temuto nemico. Di più, non ha neanche mai potuto scorgerne le fattezze, proprio perchè, come tutti qui sanno, il nostre nemico è mutevole, cangiante e dedito all’arte del NASCONDIMENTO. Il povero ragazzo è un suicida e non un martire perchè nessun cattolico ha combattuto al suo fianco. Non è un suo fallimento, ma un nostro. Siamo noi cattolici a dover indicare la via, a dover SMASCHERARE il nemico. Ma dove sono i cattolici? Ce lo ha detto il direttore, al super bowl, a banchettare con il “Mondo”. E’ ancora il caso di considerare “cattolici” questi loschi figuri?
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A Emilio: Non li ho accusati di alcuna colpa individuale, i giovani. Ho detto e ripetuto che il problema è collettivo, politico, di etica pubblica. Faccia uno sforzo, provi a rileggere: per esempio, dove ha letto che io ho chiamato questi giovani “choosy”? Ma vada a….scuola di ripetente.
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Ha visto signor Blondet? Di notte cominciano ad imperversare i Trolls con i loro commenti accusatori…
ah… Giove Pluvio…
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Riprendo un momento per sottolineare un’altra frase del giovane nella Lettera,che ho trovato in rete:”E’ meglio il nulla assoluto che vivere una realta’ dove non posso essere felice facendo il mio destino”. Quindi il problema oltreche’ politico,principalmente politico e’ anche religioso.Politico perche’ e’ vero che la democrazia e’fittizia, ma illude finche’ puo’,e perche’ la politica e’ sempre piu’ nemica della vera religione e dei popoli.Quel trentenne non si trova , ora,nel nulla assoluto, ma ,spero, in Purgatorio o in Paradiso.Questo e’ un fatto,e’ la verita’,e se non si ragiona su dati corretti, si ragiona male.Ricostruire i massimi sistemi a partire dalla propria esperienza di vita,comporta dover prima vivere tutto l’arco della propria esistenza.Quindi va da se’ che un po’ di categorie e di conoscenze a priori sono tempo aggiunto e guadagnato.Oggi fanno un sacco di parole ma inquadrano poco.Non danno la mappa di dove ci troviamo,come in un enorme palazzo che e’ la Storia,ma solo un elenco eticistico di porte a cui bussare e a cui non bussare.Rispetto,tolleranza, no razzismo,etc egtc.Cosi’ non formano, deformano,deprimono o rendono beffardi.Invece , p.es. sull’esistenza della vita ultraterrena, esistono prove su prove, e qualunque scuola pubblica di uno Stato che fosse davvero libero e sovrano,dovrebbe mettere spalle al muro gli studenti,di modo che non possano ignorarlo. Per dirne una.Finche’ non studi abbastanza da saperlo, vai a letto senza cena:e non e’ mancanza di rispetto per il povero trentenne.Di rispetto mancano quelli che vogliono ricamarvci secondo il proprio capriccio.Un bel proverbio ecuadoriano dice “Cada loco con su tema”.Col suo capriccio,appunto.Partiamo invece dai dati certi che sono un diritto-dovere.Quindi si’, il problema e’ Politico.Se quel ragazzo avesse saputo che la storia non e’ una lotta di classi ma un cimitero di aristocrazie, con cio’ stesso ,nella crudezza,sarebbe stato piu’ consapevole e meno vulnerabile.Se avesse saputo che di la’ non c’e’ il nulla assoluto, avrebbe avuto un dato fondamentale su cui ragionare amche di se’e degli altri,.
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Ma di cosa chiacchieri.
Quali filosofie o altre sciocchezze…
Se avesse avuto un lavoro “fisso” da tremila euro al mese più una casa di sua proprietà dove abitare non si sarebbe suicidato “per motivi economici”.
Magari per altri motivi, se era un debole, ma non abbiamo il minimo elemento per affermarlo.
Di certo non si ammazzava per povertà.
Molto semplice.
Quello che dovete sforzarvi di capire è che la sua disoccupazione era ed è e sarà necessaria e indispensabile perché qualcun altro abbia la casetta di proprietà.
Quindi (rimanete sotto sforzo di comprensione, mi raccomando) se “tutti” in Italia avessimo un lavoro decoroso, la casetta di proprietà e una assistenza medica adeguata, in “questo” attuale sistema economico ci sarà “per forza” da qualche parte una massa circa dieci volte superiore che vivrà nella miseria per permettere a noi il nostro benessere.
E infatti guarda un po’…dove abbiamo costruito il nostro benessere?
Sulle masse dei miserabili dei paesi colonizzati.
Non è un discorso “di sinistra” il mio, perché sto dicendo che anche tutte le conquiste sindacali degli anni del dopoguerra furono ottenute trasferendo lo sfruttamento del lavoro insito nel sistema, sulle masse dei lavoratori del terzo mondo.
I sindacati lo hanno sempre saputo, il partito comunista anche, ma si guardavano bene dal dirlo ai propri iscritti.
La prova? Negli anni novanta, dopo la caduta del muro, il sindacato ha fatto la stessa identica cosa ma non potendo più trasferire sui lavoratori dei paesi poveri ha creato il precariato.
Il precariato serviva a permettere ai restanti lavoratori col posto fisso di andare in pensione con i privilegi di una volta mentre il prezzo lo facevano pagare ai nuovi precari VOLUTI DAI SINDACATI.
Allora mi rivolgo a voi cristiani: lo sapete o no che voi piccoli proprietari (e anch’io che faccio parte della stessa classe sociale) siete nel dieci per cento degli straprivilegiati del mondo?
Lo sapete che se volete che non esista più lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo siete voi (noi) che dovrete (dovremo) rinunciare a qualcosa?
Quando vedrò un cattolico di media borghesia piccolo proprietario che si scandalizza per il “proprio eccessivo benessere” allora riconoscerò che quella persona può permettersi di esprimere dei giudizi severi su un poveretto che si è suicidato.
Ma quel tipo di persona ovviamente i giudizi sui morti non ama darli…
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schiavo (pop. tosc. stiavo) s. m. e agg. (f. -a) [lat. mediev. sclavus, slavus, propriam. «prigioniero di guerra slavo»]. – 1. agg. Individuo di condizione non libera, giuridicamente considerato come proprietà privata e quindi privo di ogni diritto umano e completamente soggetto alla volontà e all’arbitrio del legittimo proprietario
‘copiato da Treccani’
Lo schiavo poteva essere maltrattato, fustigato etc. dal padrone a suo insindacabile giudizio. Lo schiavo è servo (servire a) come un oggetto. Quando lo schiavo si infortunava o peggio moriva creava un danno al suo padrone in quanto non più utile… un aratro ad esempio si rompe, ciò è ovviamente un problema. Il danno può essere riparabile oppure no (aratro inservibile). Stessa cosa se lo schiavo si suicidava. Un danno, un bel problema. Per questo il suicidio (a mio avviso, augurandomi che il moderatore mi lasci il commento) è molto ostracizzato, devi poter essere punito, umiliato, torturato, ma non devi suicidarti se no fai un danno al padrone.
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Questa volta Blondet ha forse peccato di mancanza di tatto. Neanche a me piace la generazione snowflake. Ho dei cugini che appartengono a questa generazione e mi mettono una grande tristezza, perché, pur sapendo che non sono cattivi ragazzi, li vedo vuoti, persi, senza guida.
Il problema è la società nella sua interezza. Il problema è che la nostra società ha perso il contatto con Cristo.
Una volta i padri ai figli trasmettevano valori, che erano valori morali cristiani, che costituivano la tua bussola comportamentale. Oggi padre non trasmettono più nulla ai figli, perché l’educazione dei figli e ormai appannaggio della cosiddetta società civile. La quale non ha fatto altro che sostituire alla Religione, quella con la R maiuscola, una nuova religione, con la R minuscola. Una religione sociale, o meglio un surrogato di religione.
Ma senza la vera Religione, quella con la R maiuscola, la gente è persa. Vale per i padri che smettono di essere padre perché non più in grado di trasmettere valori morali. Vale soprattutto per i figli che si trovano a vivere in una realtà che gli sballotta la continuamente, perché non hanno un rifugio sicuro cui approdare.
Il cristiano, se è veramente tale, sa che non ha diritto alla felicità. Anzi, sa che può morire martirizzato. Ma oggi la nostra società non è più una società cristiana. Non c’è più alcun interesse verso ciò che è trascendente racconta unicamente il materiale. La nostra società è più una società giudaica e cristiana in questo. La conseguenza è che la gente crede veramente di aver diritto alla felicità. E quando si scontra con la realtà son dolori e nasce la depressione. La depressione è tipica di una società non più cristiana ma giudaica, una società nella quale persino a livello costituzionale viene sancito il diritto alla felicità, quando il cristiano sa che il suo unico diritto è quello che porta alla ricerca della Giustizia del regno di Dio.
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Mi aiuti dottor Blondet, c’e’ una forza politica oggi che dice che nessuno deve restare indietro e che per questo propone un reddito di cittadinanza che non e’ assistenzialismo ma e’ espressione di una comunita’ solidale che mette la cooperazione davanti alla competitivita’e al carrierismo.
Peccato che molti suoi colleghi ormai siano impegnati a trovare le pagliuzze nell’amminiatrazione romana da poco retta da quella stessa forza politica quando si girano puntualmente dall’altra parte di fronte allo echifo di tutti gli altri. Anche io mi illudevo da adolescente di vivere in una societa’profredita dove avrei potuto studiare contrariamente ai miei e trovare il mio posto nel mondo.
Non era cosi’ e anzi molti di quei diritti che mi illudevo dando per acquisiti non lo erano affatto, se li son ripresi, vedi Jobs Act del bugiardo seriale di Rignano.
La rivoluzione non la puo’ fare oggi una massa di individui singoki ognuno rinchiuso nel suo particolare dietro il suo schermo e il suo smartphone.
Il sistema e’ compatto, appena comparsa la suddetta forza politica l’hanno annusata come cani e riconoscendone la pericolosita’, hanno cominciato ad attaccarla usando le loro puttane preferite: i giornalisti.
La soluzione allo stato delle cose non puo’ che essere individuale ma proprio per questo i piu’ sensibili e piu’problematici, probabilmente i migliori come umanita’, rischiano di fare qiesta scelta drammatica.
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Il suicida, come hanno notato i lettori Angelo e Flavio, ha dimenticato un’altra dimensione dell’esistenza oltre quella sociale, politica ed economica (mondana in soldoni). Benché si possa, anche qui, accusare facilmente i tutori della religione di abbandono della nave ciò non comporta alcuna giustificazione del suo atto. Soprattutto perché la guerra per la scoperta della verità è del tutto personale. In questo mondo falso dalle fondamenta la riscoperta della verità necessita di uno studio e di una applicazione costanti (non per il pezzo di carta come ha ben scritto Flavio). Porsi domande, fare confronti con quello che dicono i mezzi di comunicazione di massa etc… In fondo credo che la verità alberghi in noi stessi ma purtroppo siamo chiamati ad enormi sforzi per riscoprirla. Non ci possiamo esimere dal farlo e in questo senso i fallimenti della vita mondana sono un portone aperto verso la riconquista di essa. Che siano benedetti!
Quando si esce di casa deve per forza di cose cominciare un nuovo percorso educativo che finirà per distruggere il vecchio acquisito dalle autorità (d)istruttive, familiari, popolari e relazionali (penso al mito dell’amore frutto di libera scelta o dell’amicizia tra uomo e donna per esempio). Un percorso pieno di errori che si chiama vita e che credo, o almeno spero, ci verranno condonati se risulteranno utili a condurci alla liberazione dalle falsità e all’accettazione della verità.
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Tanto per tirare su il morale: https://www.youtube.com/watch?v=dWfFuf09mQo
Evidentemente esistono Paesi al mondo che non ci tengono a vedere i loro figli sciogliersi come neve al sole. Grazie a Dio.
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Ah dimenticavo: potete immaginare come ha risposto il ministro Poletti (e con lui tutta la casta di privilegiati ad elevato reddito garantito ed esclusi dalla competitività): “uno in meno”!
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Blondet letterariamente immenso
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sui suicidi il direttore postò questo articolo
su Angie Fenimore
https://www.maurizioblondet.it/sulle-esperienze-di-pre-morte/
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Per me, direttore, Lei è un grande.
Taglia con la spada la tenebra che ci avvolge.
E’ ruvido nello squarciare il perbenismo che ci addormenta, ma ciò che dice risuona come giusto e vero, ed anche desiderato, nelle profondità dell’essere.
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Questa e’ la situazione in cui doveva scoppiare la rivoluzione
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ma non si può dire che un suicida è morto in battaglia !!! Gesu Cristo i martiri sono morti in battaglia di una morte che assomiglia ma è sostanzialmente molto diversa dal suicidio …. i suicidi invece muoiono da traditori come giuda iscariota