La Polonia va’ al voto il 25 ottobre. Nei sondaggi, è in testa il partito della destra nazionalista, PiS (Diritto e Giustizia). Il governo di Budapest guarda al voto polacco con attenzione: una vittoria della destra permetterebbe di ricostituire l’Alleanza di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) che si è opposta alle “quote” obbligatorie dei migranti e più in generale alle imposizioni di Berlino e Bruxelles nella “accoglienza” senza limiti. E’ stata la Polonia ad abbandonare il fronte comune, la Polonia antirussa e eurocratica di Tusk, ed accettare le quote volute da Bruxelles.
In Austria, il partito della destra populista non ha vinto contro i socialisti, ma ha tuttavia segnato un 31% alle elezioni comunali per Vienna; e i socialisti calano (-4%), mentre il Fpo sale; e il suo leader, Strache, dichiara ad alta voce di essere un ammiratore di Orban. Domani o dopo, potrebbe cambiare i rapporti di forze storicamente vigenti nel partitismo austriaco e costringere i vecchi partiti collusivi a prendere posizioni più vicine a quelle magiare. In Germania, si vedono sindaci del CDU sollevarsi contro il proprio partito sulla questione dell’accoglienza; la bavarese CSU contro il CDU di cui è alleato, minaccia di trascinare la Merkel in giudizio davanti alla corte costituzionale (e il leader della CSU, Horts Seehofer, ha invitato ostentatamente Orban a Monaco); la crescita in popolarità di Alternative fuer Deutschland (AfD).
Insomma, presto altri partiti in altre parti d’Europa saranno portati al potere dagli elettori, che si sentono traditi dai vecchi partiti nella loro volontà espressa: no all’immigrazione di massa senza limiti. Per intanto, alla piccola Ungheria resta il compito di non cedere e continuare solitaria la sua battaglia.
Là, è diventato una celebrità Laszlo Toroczkai, sindaco di un paesino sulla frontiera con la Serbia, Asotthalom; per aver postato un video dove dice agli immigranti: “Noi diamo il benvenuto a chiunque, rispettando le nostre leggi, entri nel paese attraverso i posti di frontiera internazionali; ma quelli che passano i nostri confini illegalmente, finiscono in prigione”. Il video è rivolto, più che ai profughi, ai mercanti di carne che li fanno passare e trasportano a pagamento.
Credetemi, conclude: “L’Ungheria è una cattiva scelta. Asotthalom, la peggiore”.
Per nulla intimorito dalle reazioni immaginabili in Europa, il sindaco dice a Sputnik News, a proposito del fatto che l’83% dei profughi sono maschi giovani e solo il 17% donne e bambini: dicono di venire da paesi in guerra. “Ho chiesto a questi clandestini: dove sono le vostre donne e i vostri bambini? Ma se venisse la guerra nel mio paese, noi faremmo partire mogli e figli; loro diverrebbero dei profughi; noi resteremmo a combattere per il nostro paese”.
Tipicamente ungherese.
Ma quelli che ha visto (e ne ha visti, il sindaco Toroszkai, facendo pattuglie lungo la frontiera di notte con la polizia) “vengono anche dal Bangladesh, dal Pakistan, dall’Africa…da paesi non in guerra. Vengono senza un piano, sognano di avere soldi, cibo, non lavorare. Li ha invitati la Merkel. Ma l’immigrazione illegale è un reato, reato grave, e un affare per le mafie; la UE sostiene e approva questo reato”. Ce l’ha con gli Stati Uniti “Ci criticano per il nostro reticolato – il muro, lo chiamano – e loro hanno un muro enorme alla frontiera col Messico, il nostro fa’ ridere a confronto. Gli Usa hanno distrutto il mondo. Tantissimi clandestini vengono da Siria e Afghanistan; se gli americani non avessero portato la guerra là, non si sarebbero mossi”.
Anche lui aspetta un cambio di clima in Europa. “Ho ricevuto incoraggiamenti da tutt’Europa, dall’Irlanda alla Russia; la English Defence League mi ha chiesto di restare in contatto. Non ho ancora risposto perché sto riflettendo a fare una proposta di azione comune per tutta Europa”.
Un’azione comune. Interessante l’analisi che Gergeli Guyàs, vice-presidente di Fidesz (il partito di Orban) ha esposto all’inviato di Die Welt: i partiti dominanti in Europa mantengono da trent’anni posizioni che la maggioranza dei loro concittadini non approvano – dalle cessioni di sovranità ad enti burocratici alle immigrazioni. Sono una casta che non risponde più ai suoi elettori e agli interessi dei cittadini. Però la reazione di rigetto di questa casta, fino ad oggi, non ha provocato altro che ad un calo della partecipazione al voto; una reazione di passività. Passività insoddisfatta, ma che ha retto perché il potere politico ha continuato ad assicurare bene o male le prestazioni sociali e una certa sicurezza economica; finchè “la gente non ha dovuto provare sulla propria pelle le conseguenze delle loro politiche sbagliate”. Oggi, l’inondazione dei clandestini colpisce così direttamente la vita quotidiana delle persone, che la gente capisce di non poter più tollerare una politica con cui non sono d’accordo. La crisi, conclude, “potrebbe portare alla fine del politicamente corretto in Europa”.
Simile la diagnosi del presidente del parlamento magiaro, László Kövér, amico di Orban dall’università. I politici conservatori europei sono, per lui, semplicemente dei vili, che non hanno il coraggio di rappresentare gli interessi e le posizioni dei loro elettori, per paura di essere bollati come politicamente scorretti. In Europa vige “il Terrore del politicamente corretto”, dice.
Per quanto sommaria possa sembrare l’analisi, essa riflette una battaglia culturale che avviene alcune frontiere più ad ovest: in Francia, come abbiamo già raccontato giorni fa, tutto uno schieramento di intellettuali da differenti posizioni ex-progressiste ha preso deliberatamente e rigettare ed irridere alla dittatura del politicamente corretto, e viene invitato nei talk show proprio per questo: perché la gente resta senza fiato, e applaude, a vedere con quanto ardire sfatano i tabù più intoccabili nel discorso pubblico, che sono: quanta immigrazione islamica ancora? L’Islam è un problema o no per l’identità francese? Eccetera.
Naturalmente fioccano le accuse di intolleranza, razzismo islamo-fobia ..E la schiera dei malpensanti (quelli che Libération ha chiamato “réacs”, reazionari) è disparata. Fra loro ci sono ebrei (come Alain Finkelkraut) che portano l’acqua al mulino del sionismo, si dichiarano terrificati dall’”
antisemitismo dei musulmani nel Paese” (l'antisemitismo dei semiti) e mirano, coscientemente o no, a instillare nella società francese l'odio e la paura che in Israele gli israeliani sentono per i musulmani.
Ma altri, consapevoli che l’Islam è la seconda religione di Francia, si volge ai “compatrioti di fede musulmana” per “vincere insieme la sfida repubblicana contro integrismi e fanatismi”: è la posizione per esempio di Alain Soral (quello della “sinistra del lavoro, destra dei valori”).
La critica al politicamente corretto si precisa e si approfondisce. “Il concetto di integrazione, che presuppone di integrarsi ad una società esistente, e implicava una normatività, è stata giudicata assimilazionista, intollerante, razzista”, scrive la filosofa Jacqueline Costa-Lascoux; il risultato, “prevedibile, è questa società che si spezzetta in gruppi d’appartenenza religiosa, etnica, sessuale…si disintegra essa stessa”.
Ma Pierre Manent (“il più profondo dei filosofi euroscettici” secondo il Weekly Standard) oppone: davanti al “pieno dell’Islam” non si può proporre agli immigrati il cavo, il vuoto della “laicità. La laicità è un dispositivo, utile del resto, ma non è un luogo. Il luogo, è la nazione francese, nazione d’Europa in mezzo ad altre nazioni d’Europa”. E “spiritualmente, l’Europa non è un vuoto. Non è un recipiente. I musulmani devono avvertire che arrivano nella “ terra di un’altra religione, il cristianesimo, esso stesso incassato sul supporto greco-romano”. E’ dal cristianesimo che noi abbiamo appreso la divisione tra l’autorità spirituale e il potere temporale, tra Dio e Cesare, e quindi la laicità (e la sovranità, e gli stati nazionali), e in generale il diritto, la politica, la cultura e la civiltà a cui vogliamo integrarli – anzi, cui abbiamo il diritto di integrarli.
Da cui s’intuisce a quale punto centrale si avvicinino i “réacs” che sfidano il politicamente corretto in Francia, e perché le sinistre cerchino di censurarli e demonizzarli. La loro domanda è: la risorsa a cui agganciare la nostra identità di fronte alla marea islamica è la radice cristiana.
Il punto è che gli intellettuali malpensanti sono, in proprio, per lo più atei. Riconoscono la necessità di un ordine che nacque da una fede, che hanno perduto. E’ la tragica questione posta da Michel Houellebecq, il più grande scrittore francese d’oggi. Il suo primo romanzo, Le Particelle Elementari, suscitò odio e scandalo per sospetto cristianesimo: descriveva il vuoto, l’impotenza ad amare, l’ossessione del sesso, la devastazione della generazione del ’68 che aveva creduto di concedersi tutte le “libertà”. In realtà, Houellebecq denuncia con disperata analisi la dannazione di una vita senza Dio che distrugge la civiltà europea, e le vite di tutti noi, ma non ha lieto fine. Il Dio che riconosce necessario è, nello stesso tempo, morto per lui.
Così il suo ultimo romanzo, Soumission, dove immagina una Francia del 2022 sotto un presidente islamico. Uscito nei giorni della strage di Charlie Hebdo, è stato preso per una polemica anti-islamica. Invece è qualcosa di più tremendamente profetico: è la descrizione di una nazione occidentale che si sottomette all’Islam (e insieme, ai divieti del politicamente corretto) perché, avendo perso il “suo” Dio, non ha più nulla di difendere, nulla per cui combattere e resistere.
E’ esattamente ciò che sta avvenendo in Germania, almeno secondo l’ultimo saggio di Udo Ufkotte, Mekka Deutschland. Ufkotte è il giornalista di Frankfurter Allgemeine Zeitung che ha rivelato di essere stato sul libro-paga della Cia per decenni, insieme a molti altri giornalisti europei. Adesso mostra come, in nome dell’accoglienza, la polizia non reagisce quando gruppi di musulmani urinano in chiese cattoliche, i media hanno ridicolizzato un pastore protestante per aver osato dichiarare che “l’Islam non è proprio della Germania”, e tacciono i crimini e gli stupri e le violenze di cui si macchiano gli immigrati. Il fenomeno più agghiacciante è che i tribunali tedeschi, quando hanno da giudicare dei musulmani magari per delitti di sangue, delitti d’onore, poligamia, non applicano le leggi tedesche; no, applicano la sharia, la legge coranica. Si è arrivati al punto che mentre un austriaco viene arrestato se gridas che Hitler fece bene a sterminare gli ebrei, un turco che ha gridato questa frase è stato assolto: comica e miserabile violazione del “politicamente corretto” in nome di un super—politicamente corretto?
Peggio: Ufkotte mostra nel suo libro che sono meno le “masse islamiche” a forzare questi mutamenti, che il governo germanico ad abbandonare deliberatamente le proprie leggi per compiacere questi stranieri. E’, in qualche modo, il primo esempio di un governo che abbandona la civiltà europea, il suo diritto di famiglia, i suoi principii giuridici, la sua cultura, le sue festività (e non parliamo delle sue radici cristiane); una civiltà che si suicida stanca di esistere. Come aveva previsto Houellebecq, si “sottomette” perché non ha più nulla che ritenga degno di esser difeso.
La piccola Ungheria resiste sull’antemurale, rifiuta il politicamente corretto, e guarda con attenzione ai movimenti che in Europa, qua e là, hanno qualcosa da difendere in questa civiltà di tre millenni. In attesa di un risveglio.