Tanti lettori mi chiedono giudizi e valutazioni sulla Amministrazione Trump. Sarei lieto di accontentarli, se solo avessi la sfera di cristallo che alcuni di loro mi attribuiscono. Non ci possono essere che chiacchiere interlocutorie, fino a che non si precisa la squadra che assocerà a sé. Posso solo dire che la vera incoronazione –il voto dei 537 grandi elettori – avverrà il 19 dicembre. Si apre un mese e mezzo pericolosissimo per lui e il suo progetto – ammesso che vi giunga vivo, perché già si affollano, persino nei tweet, i candidati al suo assassinio.
L’odio della sinistre, degli studenti-psicopoliziotti del politicamente corretto, dei militanti negri e lgbt, delle femministe – per non parlare della Famiglia Clinton con le sua capacità di omicidio – è spesso e rovente in questi giorni. Bisogna chiedersi persino se le manifestazioni anti-Trump stanno configurando o preparando una “rivoluzione colorata” in Usa
Soros all’attacco?
Le manifestazioni sono sincronizzate alla perfezione; a inscenarle prima sono i locali studenti detti “snowflakes”, perché si ritengono delicati preziosi e perfetti come fiocchi di neve, e nei campus pretendono “spazi sicuri” dove le loro fragili emozioni siano protette dalle parole “offensive” contro le minoranze (figurarsi come li ha offesi Trump);
però i manifestanti più violenti, quelli che aggrediscono i passanti che inalberano un berretto alla Donald, arrivano in pulman da altri stati: qualcuno paga i pulman e la loro giornata “lavorativa”, perché in America nessuno ha i soldi e il tempo libero per protestare a sue spese (anche da noi, di solito paga la CIGL). E’ ovvio sospettare i finanziamenti della “Open Society” di Soros e gli specialisti di agitazione di strada di Gene Sharp e la sua Einstein Institution che abbiamo visto tante volte in azione nell’Est europeo, col logo del pugno chiuso.
Il fatto che i grandi network coprano in modo ossessivo queste manifestazioni, creando l’idea che siano dilagando in ogni città (anche se per lo più sono sparse e piccole, tranne a New York e Washington) rafforza il sospetto che siano parte di un progetto: il vostro cronista era presente, nel 2003 a Washington, ad una marcia di protesta contro la guerra all’Irak di Saddam con almeno 50 mila manifestanti: il giorno dopo il Washington Post non ne dava notizia, e la CNN non la mostrò. A cosa puntano i disordini e i loro organizzatori? Forse ad una situazione che consenta ad Obama di dichiarare lo stato di emergenza. Forse mira a un progetto più sottile, l’intimidazione dei “grandi elettori” che devono votare il 19 dicembre, ciascuno nella capitale del suo stato.
Le Idi di dicembre
Sulla carta, Trump ha dalla sua 290 elettori, Hillary 228. Ma nulla impedisce ad ogni elettore di rifiutarsi di votare per il candidato a cui è stato collegato dal voto popolare, invocando la propria libertà di coscienza, o astenersi. C’è persino un termine tecnico per questo: “faithless elector”, elettore che ha perso la fede … non è accaduto quasi mai, e mai un faithless elector ha rovesciato una elezione, ma talora sì. L’ultima volta nel 2004, un elettore del Minnesota rifiutò di votare per il suo candidato democratico, che era John Kerry, preferendo John Edwards, e con ciò rafforzando il numero per la rielezione di Bush jr. (che non ne ebbe bisogno, avendo già 286 voti elettorali).
Oggi però, nota il New York Post, “data la diffusa insoddisfazione dei repubblicani per Trump” (ricordiamo: il Partito non ha investito un solo dollaro nella sua campagna) “alcuni elettori repubblicani faithless possono far di testa loro” il prossimo mese. Qualcuno c’è già: Chris Suprun, un pompiere del Texas, ha dichiarato di trovare Trump così schifoso che pensa di votare Hillary il 19 dicembre. Un imprenditore di Atlanta, Baoky Vu (vietnamita), che ha confessato la stessa tendenza a un sito locale ad agosto, è stato discretamente convinto dal leader repubblicani locali a dare la dimissioni da elettore. Ovviamente, bisognerebbe che fossero ben venti i grandi elettori che il 19 dicembre facessero il voltafaccia a favore della Clinton, un grosso improbabile numero. Ma un cambiamento di idee può essere facilitato in questi personaggi – gente comune che tornerà nell’ombra – dalla suggestione delle proteste di strada, se non cessano e diventano sempre più grosse e agitate, magari fino ad una “piazza Maidan” con cecchini a versare sangue. O magari un cambiamento di convinzioni può dipendere da aperte minacce ricevute dai “libertari” militanti, chissà. Tanto più che la Clinton, ha ricevuto 220 mila voti popolari più di Donald.
Se i meccanismi della “democrazia Usa” paiono cervellotici, ebbene, lo sono. Per volontà precisa dei Padri Fondatori, oligarchi e massoni, che temevano la democrazia diretta.
Fatto sta che alte figure storiche repubblicane, come Pat Buchanan o Craig Roberts, invitano Trump a fare in fretta, non perdere tempo, non esitare, non cercare accomodamenti con la cosca democratica perdente; lo invitano a far fuori i neocon che si sono incistati nei governi precedenti, repubblicani o democratici non importa da 15 anni, altrimenti non riuscirà ad attuare il programma. Dovrà agire – dice Buchanan – nei primi cento giorni, a smantellare i trattati commerciali globalisti, le legislazioni “ecologiche” che hanno vietato l’uso del carbone nelle centrali, indurire le politiche immigratorie , togliere i fondi alle città-santuario (che non perseguono gli immigrati illegali), cancellare la Dodd-Frank, la legge che cercava invano di regolamentare Wall Street e sostituirla “con politiche pro-crescita”. Ma qui sono numerose la ambiguità del programma di Trump, come “la promozione di una robusta forza militare contro il terrorismo” e la promessa di cancellare l’accordo che ha sollevato l’Iran dalle sanzioni per il nucleare, voluto da Obama, e aborrito da Israele e di neocon. Trump ha promesso di essere duro con Teheran, ossia di accontentare i neocon.
I nomi che si sceglierà come ministri chiariranno le sue scelte, che non sono sicuramente le mie (ma l’hanno votato gli americani, mica noi). Rudy Giuliani come attorney general è parte di questa sgradevolezza: come sindaco di New York, è stato complice del gigantesco delitto chiamato 11 Settembre, è stato lui a cedere in affitto a 99 anni il World Trade Center a Larry Silverstein, che subito assicurò le due Torri contro un impatto aereo . le due separatamente, guadagnando miliardi contro una rata dell’affitto di qualche milione. Tuttavia, Giuliani è la vecchia volpe che tranquillizza i golpisti dell’11 Settembre e insieme ha l’esperienza maneggiona dei politicanti, anche repubblicani, da cui Trump è visto male . La scelta New Gingrich come segretario di Stato sarebbe molto significativa; al contrario, John Bolton a quella carica avrà tutt’altro senso: Bolton è un ebreo un sionista con doppio passaporto,membro del PNAC (il think-tank che auspicò la “nuova Pearl Harbor” dell’11 Settembre) promotore di tutte le guerre di destabilizzazione dell’amministrazione Bush jr. – che lo ha fatto ambasciatore all’Onu. Se Trump sceglie Bolton, dà il potere ai neocon. Anche la posizione del generale Michael Flynn, l’ex capo della DIA ed esponente della nutrita schiera dei generali che non vogliono più l’avventurismo delle guerre di destabilizzazione, sarà indicativa: capo della Cia? Della NSA? Ministro al Pentagono? Non sappiamo ancora, quindi non possiamo valutare la forza del cambiamento – se ci sarà.
Gli Invisibili gli hanno concesso di reindustrializzare
Per ora una cosa sembra certa: la fine della spinta alla globalizzazione ulteriore. Circola persino una teoria, secondo cui la vittoria di “The Donald” sarebbe stata favorita – o almeno non ostacolata – da non meglio precisati Invisibili, che dopo aver voluto la globalizzazione, vedono ora necessaria una reindustrializzazione degli Stati Uniti, constatando l’indebolimento della Superpotenza che resta la loro base e centrale di potere. A forza di favorire l’interdipendenza e la ricerca di profitti sul “vantaggio competitivo” transnazionale, c’è il rischio che si debbano fare le guerre future comprando i missili dai cinesi – così suona più o meno l’allarme di questa fazione degli Invisibili.
Il protezionismo di Trump non sarebbe malvisto da questi potenti invisibili. Lasciate che i servi della passata dottrina strillino che il protezionismo “danneggia il motore della crescita degli ultimi vent’anni”. Essi conoscono il piccolo inconfessato segreto: il commercio mondiale è bloccato da mesi.
A Little-Noticed Fact About Trade: It’s No Longer Rising
Le compagnie armatoriali falliscono, con le navi da trasporto ferme davanti ai porti, troppe per il commercio globale che, nel primo trimestre del 2016, è stato piatto, e nel secondo è sceso di -0,8 per cento. Il valore totale dell’import-export americano è caduto di 200 miliardi di dollari nel 2015, e di 470 milioni nei primi sette mesi del 2016. Insomma, i “vantaggi competitivi” della ricerca del basso costo di lavoro sono arrivati al capolinea. Lorsignori ne hanno tratto tutto il possibile, oggi la nuova normalità sarà: reindustrializzazione, autarchia energetica (torna il carbone, industria che stava licenziando decine di migliaia di minatori votanti per Trump), infrastrutture da ricostruire, “pace e lavoro”. E fuori gli immigrati che portano via i posti agli americani.
Attenzione a credere che sia una evocazione a modelli sociali dell’Europa anni ’30, o anche rooseveltiani e keynesiani. Sarà piuttosto, temo, un cambiamento basato sulle dottrine di Ayn Rand (nata Alisa Rozenbaum in Russia: “Tra tutti i Paesi della Terra, quello meno adeguato per una sostenitrice dell’individualismo »), la pensatrice dell’egoismo razionale. Trovate l’essenziale su Wikipedia. Ayn Rand predicava che “l’individuo fosse dotato di un diritto di esistere fine a se stesso, che non prevede né il sacrificio di se stesso a beneficio degli altri, né il sacrificio di nessun altro a suo vantaggio; e nessuno avesse il diritto di esigere il rispetto dei propri valori da parte di altri tramite la forza fisica, o di imporre idee agli altri tramite la forza fisica”.
Da dove ci viene questa sensazione? Perché l’egoismo razionale è la filosofia predicata dall’unico potente che si è messo dalla parte di Trump nello “steering committee” del Bilderberg, e sembra sia uscito vincitore dallo scontro in questo riservatissimo salotto buono senza testimoni : Peter Thiel 48 anni, “ orgoglioso di essere gay”, 2,8 miliardi di dollari fatti come cofondatore di PayPal e tra i primi investitori di Facebook”, contrario all’intervento statale in economia solo quando si tratta di aiutare i poveri, che ha fatto di Ayn Rand la sua filosofa, ed è stato chiamato “il Nietzsche dell’impresa” . Fatene la conoscenza in questo articolo antipatizzante del Corriere del giugno scorso: Thiel il sodomita si scagliava contro la stupidissima questione di quale toilette assegnare ai LGBT, dicendo (non a torto) che altri sono i problemi del paese.
Ma naturalmente è presto per fasciarci la testa, per attribuire a Trump le stesse visioni di Ayn Rand. Per adesso ci rallegri il fatto che, liquidando Hillary, abbiamo rimandato la guerra alla Russia, se non per sempre, per alcuni mesi.