Era il luglio 1924. Era stato lanciato il Piano Dawes, la geniale costruzione con cui la finanza americana consentì alla Germania di tornare a pagare le riparazioni della Grande Guerra facendole un prestito obbligazionario di 200 milioni di dollari (800 di marchi) collocati a Wall Street, e alle industrie Usa di esportare in Europa la sovrapproduzione, e inoltre di legare l’economia tedesca, e in subordine l’europea, a Washington. Leone Trotsky (Lev Davidovic Bronstejn) che era ancora Commissario del Popolo (ministro) alla Guerra, fondatore e capo dell’Armata Rossa, sterminatore delle armate bianche, numero 2 del PCUS dopo Lenin, pronunciò un Discorso sulle prospettive dell’evoluzione mondiale che un simpatico bibliofilo Nicolas Bonnal, ha ripescato dal dimenticatoio. Eccone uno stralcio.
“Adesso il capitale americano comanda ai diplomatici; Si prepara a comandare ugualmente alle banche e ai trust europei, a tutta la borghesia europea. In una parola, vuol ridurre l’Europa capitalista ai minimi termini; ossia, indicare ad essa quante tonnellate, litri o chili di questa o quella materia ha diritto di comprare o di vendere”.
A questo scopo, l’Europa sarà balcanizzata. “Già nelle tesi per il terzo congresso dell’Internazionale Comunista scrivevamo che l’Europa è balcanizzata. Questa balcanizzazione continua tuttora”.
E come lo faranno i banchieri? Per esempio, “Se sarà in guerra [commerciale] con l’Inghilterra, l’America farà appello alle centinaia di milioni di indù e li inciterà a sollevarsi per difendere i loro intangibili diritti nazionali. Agirà allo stesso modo nei riguardi dell’Egitto, dell’Irlanda eccetera. Esattamente come ora, per metter sotto pressione l’Europa, si ammanta del mantello del pacifismo, ella interverrà come la grande liberatrice dei popoli coloniali”.
L’intervento umanitario. Anzi gli interventi umanitari che abbiamo visto in Afghanistan, Irak,, Libia, Siria. (Abbiamo invaso l’Afghanistan, si ricorderà, per liberare le donne dal burka)
“La storia favorisce il capitalismo americano, proseguiva Trotsky. Per ogni rapina, le serve una parola d’ordine di emancipazione, In Europa, gli Stati Uniti domandano l’applicazione della politica delle ‘porte aperte’ […] la loro politica riveste sempre l’apparenza di pacifismo, a volte anche di fattore di emancipazione”.
Non saranno le destre – preconizza ancora Trosky – ad aiutare gli americani nella balcanizzazione e subordinazione d’Europa; no, saranno le sinistre, i “progressisti”.
“Mentre l’America edifica il suo piano e si prepara a mettere tutto il mondo ai minimi termini, […] la socialdemocrazia è incaricata di preparare questa nuova situazione, ossia ad aiutare politicamente il capitale americano a razionare l’Europa. Che fanno in questo momento la socialdemocrazia tedesca e francese, che fanno i socialisti di tutta Europa? Educano e si sforzano di educare le masse operaie nella religione dell’americanismo; ossia fanno dell’americanismo, del ruolo del capitale americano in Europa, una nuova religione politica”.
“In altri termini, la social-democrazia europea diventa attualmente l’agente politica del capitale americano. E’ forse un fatto inatteso? No, perché la socialdemocrazia essendo l’agente della borghesia, doveva fatalmente, nella sua degenerazione politica, diventare l’agente della borghesia più forte, la più potente”.
L’esito finale è parimenti descritto con insuperabile chiarezza: una interdipendenza nell’indebitamento. “La politica europea dell’America è basata interamente su questo principio. Germania, tu paga alla Francia [coi soldi che noi ti prestiamo, ndr.] ; Italia, paga all’Inghilterra; Francia, paga all’Inghilterra; Russia, Germania , Italia, Francia e Inghilterra, pagate me. Ecco cosa sta dicendo l’America. Questa gerarchia dei debiti è una delle basi del pacifismo americano”.
Ma non si deve credere che Bronstein in arte Trotsky sapesse queste cose per scienza infusa. Di queste ‘gerarchie di debito’ messe in atto dalla finanza Usa era stato, lui e il partito bolscevico, un importante beneficiario. Il 4 agosto 1916 il banchiere Olof Aschberg, della Nya Bank di Stoccolma, lanciò un prestito di 50 milioni di dollari alla Russia, grazie a un sindacato guidato dalla National City Bank dei Rockefeller; a chi dubitava della convenienza di investire nei titoli di quel debito (le armate dello Zar si disfacevano davanti all’avanzata tedesca), Aschberg dichiarò al New York Times: Vedrete, sarà un buon investimento. “Molti americani sono oggi a Petrogrado in rappresentanza delle loro aziende e seguono da vicino gli sviluppi; appena interverranno certi cambiamenti, prenderà il volo una massiccia corrente di scambi con la Russia”.
Fra gli americani insediatisi in Russia c’era William Boyce Thompson, uomo dei Warburg (Kuhn & Loeb), direttore della appena fondata Federal Reserve dal 1914. Il personaggio ricomparve a Petrogrado come capo di una missione speciale della Croce Rossa Internazionale (il che gli conferiva una immunità diplomatica, e se l’era procurata con una donazione di mezzo milione di dollari alla Croce Rossa), e il governo Kerenski lo identificò come “l’ambasciatore non-ufficiale degli Stati Uniti”. Nel Washington Post del 2 febbraio 1918 si trova un trafiletto che lo nomina: “B.W. Thompson, donatore della Croce Rossa, che si trovava a Petrogrado tra luglio e novembre 1917, ha personalmente versato un milione di dollari ai bolscevichi per sostenere la diffusione della loro dottrina in Germania e Austria”.
Erano tempi in cui miliardari come F. A. Vanderlip, presidente della già c citata National City Bank dei Rockefeller, si dichiarava apertamente un bolscevico; in cui J. M. Morgan in persona donava alla ‘causa’ (di Thompson e della sua missione di Croce Rossa) 100 mila dollari di tasca sua; e decine di finanzieri di gran nome partecipano alla Lega per l’Aiuto e la Cooperazione con la Russia (bolscevica) fondata da C.A. Coffin, amministratore delegato della General Electric. I mesi in cui Mary Fels (nata Rotschild), moglie di un magnate dei saponi, dona ‘personalmente’ l’equivalente di 500 mila sterline di oggi a Lenin. Nel 1920 Robert Dollar (!) magnate dei noli marittimi, si farà beccare mentre tenta di spacciare in modo fraudolento una partita di rubli-oro zaristi per il governo sovietico. Meno noto è l’apporto finanziario britannico. Trotsky stesso ricorda nelle sue memorie che nel 1907 un finanziere inglese gli accordò “un grosso prestito” da ripagare dopo il rovesciamento dello Zar – con tutto comodo dunque. Chi era il generoso? Trotsky lo confidò a un compagno di strada della rivoluzione rossa, Arsen de Goulevitch: “Privatamente mi è stato detto che lord [Alfred] Milner ha speso oltre 21 milioni di rubli per finanziare la rivoluzione”. Lord Milner, con Cecil Rhodes, è uno dei grandi nomi dell’imperialismo britannico in Africa.
Trotsky, espulso dalla Francia, arrivò negli Stati Uniti nel gennaio 1917, con moglie e figli. Si stabilì a New York. Secondo una leggenda metropolitana, trovò impiego alla Fox Film – dove nessuno l’ha mai visto e dove sarebbe stato di poca utilità, non essendosi mai curato di imparare l’inglese. La sua non fu una residenza di povero fuggiasco emigrato in miseria: e non erano certo le collaborazioni al giornale bolscevico per emigrati (Novy Mir), né al quotidiano Yiddish Forvert a dargli i mezzi per campare. Eppure abitava in un bell’appartamento del Bronx fornito di telefono e persino – con stupore dei figli, allora ragazzini – di un frigorifero. Ancor più stupiti furono i ragazzi a vedere che papà disponeva di una limousine con autista.
Una limousine con autista è un lusso da banchiere. Senza poter avere prove documentali, si è certi che il generoso sostenitore di quel livello di vita sia stato Jacob Schiff, il numero uno della Kuhn & Loeb, il ‘re’ di Wall Street. Solo molti decenni dopo ( nel 1949), un nipote di Jacob Schiff racconterà che il nonno aveva speso, per rovesciare lo Zar e sostenere i movimenti rivoluzionari in Russia, 20 milioni di dollari: fino al 1917: mezzo miliardo di dollari al valore attuale.
Del resto Bronstein in arte Trotsky a New York restò solo tre mesi. Nel marzo 1917 si imbarcò sulla svedese Kristianiafijord. Le guardie di frontiera canadesi lo fermarono però durante lo scalo ad Halifax: come sospetta spia tedesca. Era noto per aver detto, prima di imbarcarsi: “Vado in Russia a completare la Rivoluzione e far uscire il mio paese dalla guerra contro la Germania”, e il Canada, paese del Commonwealth, era in guerra con la Germania. In più, Bronstein parlava tedesco meglio del russo, per giunta, aveva in tasca 10 mila dollari – in contanti – al valore attuale, sarebbero 204 mila dollari: soldi germanici, conclusero i doganieri (non sapevano dei generosi donatori di Wall Street). Fatto sta che lo internarono, con la famiglia, nel campo di concentramento installato ad Halifax per internati nemici germanici…
Sarebbe troppo lungo descrivere la tempesta di telefonate, telegrammi e dispacci in cifra che si scatenò tra Wall Street, Londra e Washington per far riprendere a Trotsky la strada verso la Russia. Basterà dire che ad ingiungere ai canadesi la sua liberazione fu Sir William Wiseman, il capo dei servizi britannici (allora insediato a New York, per fare lobby per l’intervento Usa) certo su sollecitazione di Warburg, di Schiff, e di più alti ed oscuri protagonisti: come il ‘colonnello’ Mandell House, intimo consigliere del presidente Woodrow Wilson (senza che mai si sia capito come, per quale ricatto, ne sia divenuto “consigliere” al punto, che Wilson gli obbediva come cagnolino). Fatto sta che ad Halifax arrivò come un lampo un passaporto interstato a Trotsky: un passaporto americano, con visto di transito britannico e visto d’entrata in Russia – che stupì anche la legazione USA a Stoccolma. Secondo lo storico Anthony Sutton ( Wall Street and the Bolshevik Revolution, NY, 1974, p. 25), “il presidente Wilson è stata la fata benefica che provvide a Trosky il passaporto perché tornasse in Russia a ‘completare’ la rivoluzione…nel momento in cui i burocrati del Dipartimento di Stato, allarmati dal fatto che tali rivoluzionari entravano in Russia stavano cercando di restringere le procedure dei passaporti”. Ma probabilmente, Wilson nemmeno sapeva chi fosse Trotsky: aveva dato gli ordini in obbedienza a Mandell House, come sempre.
Interessante sapere che sul Kristianiafijord, insieme alla piccola corte di Trotscky (nove persone, fra cui cinque bolscevichi russi), oltre quasi 300 passeggeri identificati come marxisti (fra cui un giapponese), c’erano vari uomini d’affari americani. Fra cui, in ottimi rapporti con Bronstein, il capo della Westinghouse per la Russia, Charles R. Crane.
Il perché di tanto accanito favore può sfuggire agli ingenui che credono che fra Wall Street e il bolscevismo esista una contraddizione in termini, come fra liberismo senza freni e socialismo totale. A parte l’odio ebraico implacabile contro la monarchia zarista nutrito ferocemente da Schiff, come spiegò nel 1924 Otto Kahn, allora direttore della Kuhn & Loeb a visitatori bolscevichi, “ciò che distingue voi radicali da noi, non è tanto il fine, quanto i mezzi per raggiungerlo” . Il fine lo delineò nel 1932 J.P. Warburg, della dinastia di banchieri, allora consigliere di Roosevelt: “Dobbiamo promuovere una economia pianificata e socialista, e in seguito integrarla in un sistema socialista di dimensione mondiale”.
Col tempo la Kunh & Loeb ha ambiato nome . Con la fusione fra Lehman e American Express è diventata la Lehman Brothers; apparentemente liquidata con la bancarotta del 2007. Ma ormai l’involucro non serviva più.