L’immane scandalo di Bien figlio (e padre) è stato sepolto, anzi schiacciato dalla censura e negato dai media. Il fatto che ora venga reso pubblico può essere dovuto al fatto che gli angloo vogliono e devono togliere Biden padre, ormai svaporato in modo irrecuperabile, dalla Casa Bianca. Improvvisamente, quelle che erano state bollate come “fake news russe” vengono riferite dai media mainstrrea
Decine e decine di foto pedo pornografiche, rapporti con minori, uso di droghe, rapporti con trans, contratti con gli ucraini per i laboratori per le armi biologiche e centinaia di documenti compromettenti.
Fosse stato il figlio di Trump avrebbero già messo in galera l’intera famiglia e se fosse stato presidente lo facevano dimettere immediatamente.
https://twitter.com/ChanceGardiner/status/1511992425316851719?s=20&t=GC2NZb-l_ku2Qb2vYqOykQ
Dal web: “Questa vicenda ì parte piena del conflitto in corso e colpisce uno dei nervi scoperti e sensibili del Deep State americano.
Jack Maxey – uomo vicino a Steve Bannon di cui abbiamo condiviso l’altro ieri l’intervista rilasciata su R4 -, dice che sta lavorando con esperti IT per estrarre altri dati dal “laptop dall’inferno” di Hunter aggiungendo di avere già estratto 80.000 immagini e video pedopornografici che ritraggono H. Biden con bambine e oltre 120.000 e-mail. Tutto materiale che era stato cancellato dal disco rigido. Maxey dice di avere fatto recapitare questo materiale al Washington Post, al New York Times e al senatore Chuck Grassley.
Per motivi di sicurezza Maxey è uscito dagli Stati Uniti e si troverebbe presso una località Svizzera. L’amico di S. Bannon ha detto di essere arrabbiato con l’FBI, perché secondo lui non hanno indagato come avrebbero dovuto.
Tra i file sul laptop ci sarebbero una serie di e-mail e documenti che mostrano i rapporti di Hunter con Burisma, una società di gas ucraina, e che si spera arrivi a coinvolgere a Zelensky.
da Panorama:
Contrordine: quella del laptop di Hunter Biden non era una fake news
La reazione allo scoop del New York Post fu durissima. Oltre 50 ex funzionari dell’intelligence statunitense firmarono una lettera, in cui si sosteneva che la rivelazione aveva “tutti i classici segni di un’operazione di informazione russa”- “Questa è la Russia che cerca di influenzare il modo in cui gli americani votano in queste elezioni, e crediamo fermamente che gli americani debbano esserne consapevoli”. La tesi che si trattasse di disinformazione russa fu sostanzialmente rilanciata da varie testate, tra cui lo stesso New York Times.
Non solo: in quei giorni febbrili, i big della Silicon Valley si adoperarono per censurare lo scoop del New York Post. Twitter e Facebook ne impedirono infatti la condivisione, sostenendo che le informazioni presenti nello scoop non risultassero verificate. Peccato però che, nel 2017, non si sognarono minimamente di bloccare la diffusione delle notizie relative al cosiddetto Dossier di Steele: un documento che costituì uno dei capisaldi dell’impianto accusatorio del Russiagate. Un documento, i cui contenuti non erano verificati e che si rivelò per giunta nel tempo poco più che una montatura.
Adesso però il New York Times è tornato sui suoi passi. “Persone che hanno familiarità con l’indagine hanno detto che i pubblici ministeri avevano esaminato le e-mail tra il signor Biden, il signor Archer e altri su Burisma e altre attività commerciali all’estero”, ha scritto il quotidiano della Grande Mela la settimana scorsa. “Quelle email sono state ottenute dal New York Times da una cache di file che sembra provenire da un laptop abbandonato dal signor Biden in un’officina di riparazioni del Delaware. L’email e le altre nella cache sono state autenticate da persone che hanno familiarità con loro e con l’indagine”, ha proseguito.
Dobbiamo sempre ricordare il periodo in cui fu messa in atto la censura. Era ottobre 2020: mancavano, cioè, poche settimane alle elezioni presidenziali che si sarebbero tenute il 3 novembre di quell’anno. Ebbene, davanti a rivelazioni (fondate) che avrebbero potuto mettere seriamente in crisi l’allora candidato democratico Joe Biden, la grande stampa, la Silicon Valley e pezzi dell’intelligence americana si sono di fatto schierati a favore del Partito Democratico. Sarà un caso, proprio alcuni settori dell’intelligence americana avevano contribuito a montare negli anni precedenti la bufala del Russiagate. E, sarà sempre un caso, Biden – a metà novembre del 2020 – assunse vari ex dirigenti di Facebook nel proprio team di transizione. L’aspetto ironico, se vogliamo, è che il New York Times ha ammesso ufficialmente soltanto adesso – a marzo 2022 – l’esistenza del famoso laptop: vale a dire circa 16 mesi dopo lo scoop del New York Post.
E’ in tal senso che l’ex presidente americano, Donald Trump, è andato all’attacco. “Il New York Times ha appena ammesso di aver partecipato a un tentativo di truccare le elezioni per Joe Biden”, ha tuonato in un comunicato stampa. Se i repubblicani (a partire dal senatore Ron Johnson) sono sul piede di guerra, i democratici riescono difficilmente a mascherare l’imbarazzo. E’ per esempio il caso della portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki. Costei aveva ai tempi bollato la storia del laptop come “disinformazione russa”. Ebbene, appositamente interpellata da alcuni giornalisti sulla questione pochi giorni fa, la diretta interessata ha glissato, limitandosi a dire che Hunter Biden non lavora per il governo degli Stati Uniti. Resta tuttavia il fatto che la vicenda del New York Post ha evidenziato un enorme problema di indebita collusione tra politica, grande stampa e big del web: una collusione verificatasi tra l’altro in un periodo delicatissimo come quello di una campagna elettorale.
Qui sotto l’intervista esclusiva con l’informatore che l’uomo che ebbe da Hunter di cancellare l’hard disk del portatile di Hunter Biden vi scoprì miliaia di immagini incriminanti e avvisò lo FBI
Esclusivo: intervista con l’informatore del laptop Hunter Biden
Jack Maxey parla oggi mentre si nasconde in Svizzera
|
|
La trascrizione televisiva:
EMERALD: La diga è finalmente rotta da quando l’establishment ha deciso che Biden stesso è troppo andato per essere presidente ancora a lungo. Ora MSNBC, Hill, Yahoo, stanno tutti riportando i loschi affari di Biden dopo quasi due anni di censura per proteggeer la famiglia. La CBS ha riferito mercoledì che le banche statunitensi hanno segnalato più di 150 transazioni che coinvolgono Hunter Biden o suo zio James Biden e i loro accordi commerciali globali.
Ora non solo i media hanno tentato di sopprimere le notizie sul laptop, ma anche quelli dell’intelligence e delle forze dell’ordine federali e la persona che ha cercato di spargere la voce per ottenere le informazioni al pubblico ed è responsabile di molto di ciò che sappiamo sugli affari di Biden e su ciò che c’è su quel laptop ora ha paura per la sua sicurezza. Jack Maxy è stato contattato da Rudy Giuliani e Bernie Kerick nel 2020 per aiutarlo ad accedere al laptop. Maxey ha poi consegnato una copia del laptop al Daily Mail che ne ha verificato in modo indipendente l’autenticità. Ora Maxi è fuggito in Svizzera dove sta lavorando per rendere pubblici altri 450 gigabyte di materiale cancellato. E Jack Maxey si unisce a noi ora dalla Svizzera.
SMERALDA: Jack. Voglio entrare tra un momento in ciò su cui stai lavorando, ma prima di tutto, dicci cosa, cosa ti ha causato così tanta preoccupazione che hai sentito di dover fuggire dagli Stati Uniti in Svizzera?
MAXEY: Beh, nel febbraio dell’anno scorso, su consiglio di persone che erano molto preoccupate per la mia sicurezza, mi è stato detto che dovevo rilasciare una certa quantità di informazioni sul web in modo che, uh, gli “amici in nero” (servizi) sapevano che potrei rilasciare tutto. Sono stato in grado di pubblicare tutto per oltre un anno. Non l’ho fatto perché voglio proteggere le molteplici vittime della tratta e alcune persone minorenni che si trovano su quel laptop. Quindi abbiamo deciso di inserire 8.000 email su Dropbox, una in Nuova Zelanda, due negli Stati Uniti e due nel Regno Unito. Uh, questi sono gli stessi Dropbox su cui ci dicono che, uh, la pedopornografia viene condivisa impunemente. Nessuno di quei Dropbox è durato più di 70 minuti. Alcuni di loro sono caduti in quasi secondi. Questi sono tutti i cinque paesi dei Five Eyes : l’accordo di condivisione dell’intelligence tra Nuova Zelanda, Australia, Canada, Stati Uniti e Regno Unito. Quindi, in preda alla disperazione, un collega europeo mi ha consigliato di provare il trasferimento svizzero. L’ho fatto e ho caricato quei file. Centinaia di volte, dando l’opportunità di scaricarne circa 25 o 30 ogni volta che lo facevo. L’ho fatto su Twitter, apertamente sui social e verso la fine di quell’operazione per bandirmi a vita. Mi hanno inviato una lettera dicendo che avevano sentito che mi sarei suicidato. E circa due ore dopo, mi hanno bandito per sempre. Centinaia di volte, dando l’opportunità di scaricarne circa 25 o 30 ogni volta che lo facevo. L’ho fatto su Twitter, apertamente sui social e verso la fine di quell’operazione per bandirmi a vita. Dopo avermi inviato una lettera dicendo che avevano sentito che mi sarei suicidato. E circa due ore dopo, mi hanno bandito per sempre. Centinaia di volte, dando l’opportunità di scaricarne circa 25 o 30 ogni volta che lo facevo. L’ho fatto su Twitter, apertamente sui social e verso la fine di quell’operazione per bandirmi a vita. Dopo avermi inviato una lettera dicendo che avevano sentito che mi sarei suicidato. E circa due ore dopo, mi hanno bandito per sempre.
EMERALD: Ora lascia che te lo chieda, Jack, hai provato a offrire queste informazioni copie del laptop, l’unità a più media, ma molti di loro non ti hanno preso su sewrio. E’ vero?
MAXEY: È vero. Ho inviato e-mail alla maggior parte dei principali giornali in America. Ho inviato, uh, offerte al Fox News in diverse occasioni. Ho anche provato SkyNews, le prime persone a prenderlo in realtà sono state la televisione il 7 gennaio dello scorso anno quando, ehm, volevo che lo avessero perché era chiaro che Hunter aveva una spia all’interno della casa svedese, che ospita l’entroterra svedese ambasciate e la residenza dell’ambasciatore svedese. Quindi sono stati il primo media a cui l’ho dato. Poi l’ho mandato al Daily Mail di Londra il 3 marzo dell’anno scorso, hanno fatto un sondaggio forense, su di esso, che penso tu avessi a tua disposizione. Poi il 16 giugno l’ho dato al Washington Post : nela loro sala del consiglio era presente Tom Hamburger, Peter Walton, l’editore nazionale a cui l’ho messo in mano. Più tardi, qualche settimana dopo, L’ho dato a Chuck Grassley e ai membri della minoranza nella commissione giudiziaria [del Senato] l’8 luglio. Non li ho mai sentiti rispondere nemmeno una volta.
E quelle sono davvero le uniche principali testate giornalistiche a cui sono stato in grado di darlo, perché gli altri hanno negato, uh, la volontà di riprenderlo fino ai giorni nostri.
Ho scaricato diverse centinaia di documenti sul New York Times all’inizio di febbraio, quando ho visto che avevano una richiesta FOIA su [ex direttore dell’FBI] Louis Freeh e la Romania e, uh, un tizio di nome Povescu (?) e lo Stato Dipartimento. Louis Free era all’altezza di quell’operazione, che consisteva nel far uscire di prigione un connazionale criminale di Hunters che era stato messo lì da una procuratrice, un ottimo procuratore nella primavera del 2016 – che i tuoi telespettatori dovrebbero capire è la stessa primavera in cui, uh, il governo degli Stati Uniti, compreso il vicepresidente Biden, stavano minacciando il governo ucraino, dicendo loro che dovevano licenziare il pubblico ministero che stava perseguitando l’altro partner corrotto di Hunter in Ucraina, Zlochevsky, il presidente di Barista.
Così ho inviato al New York Times più documenti. Volevo che fossero al passo con i tempi. Hanno risposto. Mi hanno chiesto di continuare a inviarli, ma in realtà non ho mai ricevuto risposta da nessuno se non tramite SMS.
EMERALD: Ora, lascia che ti chieda solo di chiarire la storia ai nostri spettatori. Sei venuto in possesso del laptop perché il sindaco Rudy Giuliani e l’ex commissario di polizia di New York, Bernie Kerik, ti hanno chiesto di aiutarli a entrare nel laptop. È corretto? Non sono stati in grado di accedervi loro però.
MAXEY: È corretto. E ne hanno offerto una copia a Steve Bannon e a me, e Steve ha detto, guarda, se vuoi che qualcuno lo guardi, chiedi al mio ragazzo Maxy, guardalo. L’ho fatto in prima persona, ho chiamato per aiutarmi a verificare che fosse SamFatas, un operatore della CIA molto famoso. E noi, ho guardato all’inizio ed era chiaro che era reale. Ho trovato diverse azioni criminali all’interno del broker, Rosemont Seneca. E poi abbiamo trovato sempre di più e di più. Uh, Sam ha anche concordato immediatamente con me che era reale. Ora questo era il 15 ottobre 2020, o circa. Due giorni dopo, avevamo due articoli sul New York Post il 17 e il 18. E la mattina del 19, Brennan, Clapper, Hayden, Panetta e altri 46 professionisti dell’intelligence hanno scritto una lettera tramite Politico dichiarando che, a loro giudizio, si trattava di una fabbricazione dell’intelligence russa. Per i tuoi ascoltatori che si interrogavano sull’interferenza elettorale, smettila di perdere tempo con il riconteggio: l’interferenza elettorale è arrivata dai nostri stessi servizi di intelligence.
Nota: il resto dell’intervista può essere trovato su FRANKSPEECH.COM
Aspettiamo gli sviluppi politici. Gli ottimisti serano che llo scanadlo travolga la cosca criminosa superiore, da Obama a Killary Clinton, e faccia rientrrare in scena The Donald. I pessimisto temono che lo scandalo sia “contrrollato e permesso” dal Deep State, e orterà semplicemente a sostituire JoenBiden con la presidenteKamala Harrtis