UCRAINA: Si dimette a sorpresa Avakov, il ‘falco’ da sette anni ministro degli Interni
Oleksiy Bondarenko 22 Luglio 2021
In un colpo di scena si è da poco dimesso il ministro degli Interni ucraino, Arsen Avakov. L’unico superstite del primo governo post-Maidan, in carica da più di sette anni, Avakov è considerato uno degli uomini più potenti del paese: non solo controlla le forze dell’ordine, ma può contare anche su un’influenza informale da parte di alcuni gruppi organizzati di estrema destra. Le sue dimissioni rappresentano un nuovo capitolo nel lento processo di accentramento del potere da parte del presidente Volodymyr Zelensky che ora può contare sul controllo praticamente assoluto su tutte le strutture di sicurezza (siloviki).
Chi è Avakov?
Di origine armena, nato in Azerbaigian, nel torbido periodo degli anni ’90 Arsen Avakov ha costruito un piccolo impero economico a Charkiv. Come spesso accade, il suo status e i legami con le persone giuste gli hanno ben presto aperto le porte della politica. Nel 2005, dopo la vittoria di Viktor Juščenko in seguito alla ‘rivoluzione arancione’, diventa governatore della regione di Charkiv, ma è presto costretto a un esilio volontario (in Italia) a causa dei problemi con la legge e con il nuovo presidente, Viktor Janukovyč, eletto nel 2010.
Con l’ennesimo cambio ai vertici nel 2014, Avakov diventa un elemento indispensabile nelle nuove gerarchie di potere. Da ex governatore, sarà lui ad avere un ruolo importante nella stabilizzazione della situazione a Charkiv nella primavera 2014, quando insieme a Donetsk e Lugansk anche la prima capitale dell’Ucraina sovietica aveva visto movimenti filo-russi occupare l’amministrazione regionale.
Sempre Avakov ha giocato un ruolo centrale nella creazione, e poi nel controllo, dei numerosi battaglioni paramilitari durante le prime fasi del conflitto in Donbass. Non è un mistero che la liberta d’azione e in molti casi la cooperazione tra strutture statali e gruppi nazionalisti organizzati sia stata possibile proprio grazie al supporto informale di Avakov e alle sue buone relazioni con alcuni membri dei movimenti di estrema destra come Andrіj Bіlec’kyj, il leader di Natsionalnij Korpus (Azov).
Infine, per molti esponenti della vecchia élite politico-economica Avakov rimane un elemento di stabilità all’interno delle strutture del governo, capace di mantenere per un periodo prolungato un insieme di regole del gioco che, pur essendo informali a non soddisfacendo tutti, sono almeno chiare, una rarità in Ucraina.
Sostituito l’insostituibile
Anche se arrivata quasi a sorpresa, i vari scenari che prevedevano una fuoriuscita di Avakov si stavano preparando già da svariato tempo all’interno dell’amministrazione presidenziale.
I rapporti tra Zelensky e Avakov erano in stato di deterioramento. Il lento sfaldarsi delle accuse contro i presunti colpevoli dell’omicidio del giornalista Pavel Šeremet, che il presidente aveva presentato in una conferenza stampa congiunta con il ministro come la svolta definitiva nelle indagini, ha certamente avuto un effetto negativo sull’immagine di Zelensky e causato una serie di proteste da parte delle frange nazionaliste dell’opinione pubblica. Più in generale, la tossicità elettorale di Avakov – secondo i calcoli dell’amministrazione presidenziale – stava contagiando anche il rating di Zelensky.
Altri problemi e divergenze di vedute si sono susseguite nel tempo. Nonostante l’assenza di un aperto conflitto, Avakov è rimasto praticamente l’unico membro del governo con un peso politico tale da permettergli di mostrare apertamente la sua opposizione nei confronti di alcuni progetti politici di Zelensky. Avakov, infatti, è stato l’unico membro del Consiglio della Sicurezza e della Difesa Nazionale a criticare la tanto vaga quanto populista ‘legge contro gli oligarchi’ fortemente voluta dal presidente alla disperata ricerca di riguadagnare consensi elettorali.
Sullo sfondo, a giocare un ruolo nelle relazioni tra il ‘falco’ Avakov e il malleabile Zelensky è stata la difficile congiuntura internazionale. La visita del presidente in Germania – venduta all’opinione pubblica come una missione diplomatica per bloccare la realizzazione del gasdotto Nord Stream 2 – è finita in una dimostrazione plastica dello scarso peso politico di Kiev. Le voci di un accordo tra Stati Uniti e Germania riguardo al tanto discusso gasdotto sembrano confermare il fallimento della posizione intransigente assunta dai ‘falchi’ e la necessità di fare nuove concessioni che potrebbero portare a nuove proteste.
Accentramento del potere
Infine, nonostante le attese – e le speranze – dopo un periodo di ambientamento sulla poltrona presidenziale, Zelensky sta ora percorrendo la stessa strada dei suoi predecessori: accentramento del potere e consolidamento della cosiddetta ‘verticale di comando’ insieme al solito spasmodico tentativo di mantenere un minimo livello di consenso popolare. Anche grazie alla super-maggioranza del suo partito in parlamento (che rimane comunque diviso in svariate fazioni) il presidente ucraino è stato capace di addomesticare completamente il governo e, attraverso una serie di nomine, assicurarsi il controllo sui servizi di sicurezza (SBU). Con l’addio di Avakov e la nomina a capo del ministero di un anonimo funzionario del partito presidenziale, Denys Monastyrsky, sembra poter ora contare sulla massima lealtà anche dell’altro ramo delle forze dell’ordine.
Se da un punto di vista formale l’addio di Avakov serve a consolidare ulteriormente il potere di Zelensky, in verità i suoi problemi potrebbero solo aumentare. Primo, con il suo addio se ne va anche un parafulmine per il rating del presidente. Con il ministero ora sotto controllo, anche il malcontento popolare per gli svariati problemi che attanagliano ancora la polizia potrebbe riversarsi su Zelensky. Secondo, il potere informale di Avakov su parte degli ambienti radicali è servito finora a minimizzare l’impatto delle numerose proteste di piazza. Il suo addio potrebbe ora non solo togliere un certo freno alle manifestazioni di dissenso, ma anche consolidare una coalizione informale capace di sfruttare le proteste per i propri scopi politici. Infine rimane da vedere quale sarà il futuro di Avakov. Il fatto che se ne sia andato senza lottare, non significa che non sentiremo ancora parlare di lui.
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Immagine: Claudia Bettiol/East Journal
Chi è Oleksiy Bondarenko
Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.