Roberto PECCHIOLI
Pittima è sinonimo di impiastro, di persona uggiosa, irritante, che si attacca e non ti lascia più. Il termine, di origine veneziana, designava strani personaggi vestiti di rosso ( oh…)
pagati dai creditori per seguire i debitori, ricordando ossessivamente il debito. I progressisti sono le pittime contemporanee e la stucchevole polemica montata contro Elon
Musk e la sua rete sociale, X, ne è la dimostrazione evidente.
Poiché il magnate americano di origine sudafricana è un sostenitore di Trump , le pittime postmoderne- in particolare
quelle del mondo dello spettacolo, gli influencer senza influenza – hanno dichiarato pubblicamente, con le consuete smorfie di indignazione e l’espressione da beghine
scandalizzate, di abbandonare X chiudendo i rispettivi profili.
In Italia spiccano attori noti soprattutto per il cognome – Alessandro Gassman- musicisti in crisi di ispirazione- Piero
Pelù, Elio delle Storie Tese- dubbi monumenti della letteratura alla Saviano oltre ai prezzemolini della politica fucsia, rossa e rosé. Non c’è dubbio che verranno imitati dai
benpensanti e dalle benpensanti di ogni ordine e grado. Musk se ne farà una ragione.
Buon pro gli faccia e pazienza se ci viene in mente soltanto lo sprezzante commento di Palmiro Togliatti affidato all’Unità allorché Elio Vittorini – intellettuale rosso scarlatto –
dichiarò di abbandonare il potente PCI: Vittorini se ne è andato, e soli ci ha lasciato.
La questione delle pittime anti-Musk, tuttavia, merita qualcosa di più di una battuta. E’ l’esempio di una mentalità apertamente totalitaria dei sinistrati. Non riusciamo a chiamarli
diversamente: strologano di democrazia, odiano la libertà.
Twitter censurava contenuti e cacciava iscritti non in linea con il pensiero politicamente corretto: nessuno dei vedovi progressisti ha fiatato. Poi è arrivato Musk e X, nuova
denominazione di Twitter, e la rete sociale dei cinguettii è tornata libera. Masticano amaro perché odiano confrontarsi. L’avversario- per loro sempre nemico, malvagio,
malintenzionato, l’orco o l’uomo nero delle fiabe ( regressione infantile?) – non è degno di
un confronto, le sue idee sono il male assoluto.
Il manicheismo postmoderno degli Illuminati. Facebook ha ammesso, per bocca del suo padrone, Zuckerberg, di aver praticato
la censura in tempi di pandemia ma anche prima e dopo . La piattaforma del giovanotto con la maglietta grigia d’ordinanza è stata l’inventrice della censura privatizzata – gran
novità dell’ultimo decennio- ma neanche questo ha convinto l’esercito della salvezza delle pittime a esprimere dissenso per la libertà violata e il pluralismo negato.
Sono multiculturali, tolleranti, aperti solo se la musica è gradita alle delicate orecchie progressiste. Ora fuggono da X, dove hanno potuto liberamente esprimere critiche,
pensieri, visioni della vita, perché Elon Musk non è allineato con il fronte unico del progresso, l’armata del bene in servizio permanente effettivo il cui simbolo è la pittima
veneziana in uniforme rossa. Uniforme è il termine appropriato per descrivere l’orizzonte dei progressisti: nessuna libertà è tollerata, nessuna deviazione dal pensiero unico, ossia
dall’unico pensiero che alberga nei loro cervelli. Sono ammesse esclusivamente tonalità distinte dell’unica nota e sfumature della tinta unita. Moralisti, puritani, ipocriti: la destra
di ieri, la sinistra di oggi. Trasbordo delle idee e dei difetti. Non bisogna sottovalutare le pittime: hanno la forza dell’insistenza, come le mosche.
Vincono nel modo più semplice, quasi inevitabile, ossia logorandoci. Sono prigionieri del presente quanto e più lo sono del passato certi reazionari.
Vanno denunciati non per imbecillità ma per totalitarismo. Scrive Alain De Benoist che i totalitarismi si distinguono dalle dittature dal fatto che non
pretendono solo di servire il bene, ma anche di sradicare definitivamente il male.
Se un merito può essere attribuito alle reti sociali è quello di avere dato voce a tutti, accettando di allargare il dibattito. Non ha senso pretendere che abbiano diritto di tribuna
solo certe tesi, rinchiudendo le altre nella censura travestita da supremazia etica. Non servono a nulla le “camere dell’eco” amate dai progressisti, dove ciascuno dà ragione a chi
la pensa come lui. La libertà è collisione, contrasto. Pòlemos è padre di tutte le cose, di tutte re, diceva Eraclito.
Vietato: dobbiamo tutti dire, fare, pensare allo stesso modo, quello “giusto”, quello che va “nel senso della storia”. La superstizione del progresso elevata a
comandamento. Dunque, via da X perché è libera, perché Elon Musk dà voce a tutti ed è quindi un nemico politico. Nemico assoluto, da estirpare: la teoria del partigiano di Carl
Schmitt. Se ragionassero in termini di etica, dovrebbero ammettere che ben più pericoloso, specie per i giovani, è Instagram con i suoi modelli di vita irraggiungibili, falsi, che
generano negli utenti l’ansia e la tristezza di considerarsi dei perdenti senza speranza.
Non avranno quella vita, né faranno quei viaggi, né vivranno quegli amori.
Del magnate trumpiano viene contestata la collocazione politica, non ciò che davvero inquieta delle sue attività. Cari ( si fa per dire) Gassman, Pelù e compagnia che chiudete
sdegnati i profili su X, nulla da dire – magari utilizzando lo spazio libero della rete sociale-sulla circostanza che Musk, patron di Neuralink, vuole inserire nel cervello e nel corpo
microchip e altri apparati artificiali ? Può servire a ripristinare talune funzioni psicofisiche perdute, ma la cruda realtà è che qualcuno prende il controllo sul corpo e sul cervello
altrui. Inquietante, ma regna il silenzio; si tratta di progresso a prescindere, tanto più che in quella direzione lavorano altri supermiliardari a voi più vicini, come Bill Gates.
A proposito, niente da dire sul cibo sintetico, sui grilli e la carne artificiale (una contraddizione in termini!) sulla transizione alimentare propugnata, ossia imposta dal
fondatore di Microsoft, gran finanziatore del democratici americani e delle ONG miliardarie, il potere privatizzato ?
Con il petrolio controlli gli Stati, con il cibo controlli le popolazioni. Parola di Henry Kissinger. Assordante mutismo sul potere di Big Pharma
(Gates e Fink c’entrano, eccome) sulla medicalizzazione dell’esistenza, sull’influenza immensa di “filantropi” come George Soros. Ma sono dei vostri, quindi miliardari buoni,
animati dalle migliori intenzioni, perfino in caso di guerra. Il figlio di Soros, Alexander, stella nascente del Forum di Davos, tanto progressista da avere “sposato” un uomo
africano, ha scritto che è una grande notizia l’autorizzazione di Biden all’ Ucraina a usare armi contro il territorio russo. I progressisti si sono convertiti alla guerra. Proprio vero che
Giove toglie la ragione a chi vuol rovinare.
Adesso ci sono bombe “buone” e forse satelliti cattivi. Perché non contestano a Musk di possedere una rete satellitare (Starlink) che può decidere le sorti delle guerre, affittata al
deep State? No, il mostro è tale solo in quanto sostenitore di Trump. L’indignazione ha raggiunto il massimo di decibel- in quanto a urla le pittime sono imbattibili- quando Elon
Musk ha attaccato i magistrati italiani sul tema dell’immigrazione. Lesa maestà : chi tocca certi fili resta folgorato.
Nella circostanza, il massimo dell’umorismo involontario è stato raggiunto dal Quirinale, che ha parlato- senza nominare il magnate – di attacco alla
sovranità nazionale. Come se non fossimo una colonia dal 1943 . Anche in ciò destra e sinistra pari sono, giacché Donna Giorgia applaude le ultime decisioni Usa (ci sono anche
le mine antiuomo, nel pacchetto ucraino) e destina alle armi più risorse di quelle concesse ai pensionati. Perché, o pittime, non parlate di queste cose su X, liberamente, rinfacciando
a Musk la deriva transumana di certe sue attività? Nell’era post democratica abbondano le idee vietate e i pochi spazi liberi vengono abbandonati . Eppure un’idea vietata ha bisogno
di coraggio, non di pittime che eccellono nella lagna, nel conformismo e nell’insopportabile moralismo invertito dei tempi nostri. Elon Musk è tutt’altro che un
modello, ma attaccare X, che ha restituito libertà al panorama asfittico delle piattaforme social, significa confondere il bersaglio.
Durante le elezioni X ha battuto i record di traffico. Con buona pace dell’esercito del progresso, mette alla pari i conti (account) di re, presidenti e comuni cittadini. Ha il
sistema di verifica dei fatti più efficiente e onesto: le note della sua comunità.
Quando X era Twitter, la sinistra aveva il controllo, condizionava, bandiva e sospendeva chi contravveniva i criteri del pensiero unico. Da quando Musk l’ha acquistata, ha ridotto i
sistemi di censura; di conseguenza è la rete più libera e tollerante in cui la circolazione dell'informazione ha immediatezza e diversità. La narrazione consiste ora nel sfuggire alle
grinfie del mostro. Dalle stelle di Hollywood in giù è partita la futile gara di piagnucolare per quanto si sentono frustrati o minacciati. Eppure, a differenza di Twitter, Musk non ha
censurato alcun resoconto, né dei media né delle persone. Sono liberi di dire quello che vogliono; di che si lamentano? Del fatto che sia consentita la discussione per smantellare le
loro bugie. Si crucciano perché Musk non li lascia giocare da soli con carte truccate. L’unica opinione ammessa è la loro: singolari democratici.
Molti stanno migrando a Bluesky, creata dal fondatore di Twitter Jack Dorsey, altri a Threads (Meta). Gli orfanelli del pensiero unico non sopportano la realtà, i dati, il dibattito
aperto, le informazioni che contraddicono le loro convinzioni. Vogliono spazi isolati “sicuri”, camere di risonanza a censura aperta, in modo che studenti, lettori, elettori si
aggrappino a un’unica opzione politica e culturale. Soliloquio in coro.
Non hanno scrupoli ad ingannare le menti deboli o confuse e tenere prigioniero un pubblico acritico, incapace di obiezioni. Sono persuasi che chi non la pensa come loro non debba avere accesso alla
bolla di cui pretendono l’esclusiva. Usano l’esplosione emotiva, lo scatto d’ira minaccioso come arma di ricatto. Si filmano mentre urlano, piangono e scalciano, poi lo caricano in
rete senza vergognarsi di mostrare le loro miserie, convinti che li renda autentici. Non sanno distinguere la sfera personale da quella politica, né il dramma vero da una sconfitta
elettorale. Uno dei fuggiaschi da X afferma che la rete di Elon Musk è diventata una cloaca.
Ma sono loro, gli insopportabili del progressismo indiscutibile, non criticabile, le voci della fogna, le pittime lagnose messe a nudo dall’aria fresca del pensiero libero.
Il politicamente corretto era nato, negli anni ’70, con lo scopo di promuovere coesione sociale e rispetto dei soggetti più deboli. Ma la sua metamorfosi in follemente corretto, resa possibile dalla straordinaria espansione delle reti di comunicazione e dei social, ha finito per ottenere l’effetto contrario: il nuovo credo non solo restringe totalitaristicamente la nostra libertà di espressione, ma genera profonde fratture sociali che favoriscono l’ascesa di una nuova élite, autoreferenziale e lontanissima dal vivo sentire dei ceti popolari. L’autore conduce questa riflessione sia in termini fenomenologici – raccogliendo e raccontando decine di casi emblematici che mostrano il follemente corretto in azione – sia in termini analitici, mettendo a nudo il meccanismo che lo genera e ne assicura la propagazione. Luca Ricolfi affonda la critica in modo inesorabile, coraggioso, contro-intuivo, non risparmiando la politica, la scuola, l’economia, i social network, i nuovi poteri forti che, in nome dell’inclusione, stanno alimentando forme inedite di esclusione ed emarginazione dei più deboli.
«Si è imposta a sinistra la dicotomia inclusione-esclusione che ha sostituito la dicotomia uguaglianza-disuguaglianza. Fino a un certo punto la sinistra ragionava in termini di uguaglianza-disuguaglianza (pensate al libro di Norberto Bobbio del 1994). Poi è arrivato il mio collega Alessandro Pizzorno che ha convintamente dichiarato che «è tutto sbagliato, dobbiamo parlare di inclusione-esclusione. Questo ha cambiato completamente il modo di ragionare della sinistra che si è posta il problema dell’inclusione e non quello della riduzione delle disuguaglianze».