E’ successo martedì al checkpoint di Mevo Dotan. Una ragazzina palestinese, quasi una bambina, avanza verso il posto di blocco. Diranno che ha tentato di accoltellare un soldato; nel video ripreso non si vede né la lama né l’accoltellamento. Si vede invece che la ragazzina fugge, e due agenti israeliani che la inseguono a tutta velocità. Adesso la bambina è stesa sull’asfalto, si contorce, le hanno sparato. Gli armati attorno a lei – soldati, ma anche un tizio armato in shorts e sandali, evidentemente un “colono” – non la finiscono; si godono la scena del suo dissanguamento. Mentre la scolara geme e si torce, a terra, i gloriosi ebrei la insultano: “Muori, figlia di troia”. “Fuck You”. “Crepa, soffri, khaba” (arabo per “puttana” ). Nel video si sente qualcuno chiedere: “Ma dov’è il coltello?”.
Si chiamava Nouf Iqab Enfeat, Aveva 16 anni, veniva dal villaggio di Yabad, presso Jenin, Cisgiordania. Dicono che avesse “leggermente ferito” uno dei soldati.
Il punto è che si moltiplicano questi fatti, che rivelano uno stato d’animo accentuatosi nella soldataglia di Tsahal in questi ultimi tempi: il piacere sadico di assassinare, anche gratuitamente, esseri inferiori. Coscienti che i loro superiori non li puniranno per così poco.
Gratuitamente, il venerdì 8 giugno, un cecchino israeliano ha sparato contro palestinesi che manifestavano – attenzione , non in Israele, ma al di là del Muro, preso Jabalia, Striscia di Gaza, nord. Siccome i soldati erano separati dai manifestanti dal Muro, non c’era alcun pericolo di alcuna “aggressione”, è stato puro piacere di assassinare inermi. Il cecchino israeliano, coi suoi colleghi, hanno sparato dalla torre di sorveglianza al di qua del Muro. Sparato per uccidere: Aa’ed Khgamis, 35 anni, è stato fulminato con un proiettile reale alla testa. Altri miriadi di proiettili hanno ferito altre decine di palestinesi. Questa di sparare con pallottole vere contro manifestanti è diventata una allegra abitudine del glorioso, eroico Tsahal. Glielo lasciano fare, e allora perché no? La soldataglia ha fatto persino alzare un drone per spiare la manifestazione di coloro che – va ripetuto – stavano protestando nel “loro” territorio (bisognerebbe dire: all’interno del loro lager) e non potevano far male a nessun sangue eletto. E’ stato puro piacere.
Così, il 15 maggio, hanno ammazzato un pescatore palestinese di 28 anni, Muhammad Majid Baker, non perché avesse aggredito qualcuno degli eletti – ma perché stava pescando. Lo faceva, apparentemente, oltre il limite di 6 miglia consentito dai giudei ai prigionieri in Gaza. Va detto che “all’inizio del mese, Israele aveva dichiarato una temporanea espansione dello specchio di mare di Gaza in cui permette la pesca. Nove miglia al di fuori della costa Sud. Ma ha mantenuto il limite di sei miglia sulla costa Nord. Così da un guardacoste hanno sparato al giovane che probabilmente s’era confuso (inutile ricordare che per gli accordi di Oslo, anni ’90, Israele aveva stipulato con l’OLP la pesca fino a 20 miglia dalla riva), colpendolo al torace. Hanno circondato il piccolo peschereccio ed hanno arrestato l’agonizzante, che infatti è morto qualche ora dopo in un ospedale israeliano. Poche ore prima dell’assassinio, le formidabili forze navali giudee avevano imprigionato sei pescatori palestinesi e sequestrato due battelli, per lo stesso delitto.
I pescatori di Gaza sono costantemente sotto il fuoco giudaico, che quando non mira agli uomini punta a distruggere i battelli. Il centro palestinese per i diritti umani ha contato l’anno scorso 126 “incidenti” con sparatoria, e 130 arresti di palestinesi a bordo dei pescherecci. Muhammad al-Hissi, padre di 3 figli, anni 33, è stato dichiarato morto in mare, benché il suo corpo non sia stato trovato, quando il 4 gennaio gli israeliani hanno affondato il peschereccio in cui lavorava.
“E’ diventato normale vedere palestinesi ammazzati, anche bambini”, ha scritto Miko Peled, pacifista israeliano. “E’ diventato normale vedere cecchini israeliani che usano munizioni reali contro manifestanti disarmati”.
Peled ha partecipato all’ultima manifestazione il 26 maggio a Nabi Saleh, lo stesso posto dove due settimane prima era stato ucciso Saba Abu Ubaid di 23 anni dal cecchino. Una quarantina di persone; la presenza di attivisti israeliani avrebbe scongiurato le più criminose reazioni ebraiche? Nient’affatto. “Soldati armati di tutto punto hanno intimato alla gente del villaggio di disperdersi. Ho sentito uno, che il suo cartellino identificava come Raj Keyes, ordinare ai cecchini: “Sparategli nelle gambe”.
“Gli abitanti di Nabi Saleh han cominciato a sedersi davanti ai cecchini per impedire loro la mira. Risposta: gas asfissianti e getti di acqua “skunk” (una miscela puzzolente, che danneggia gli occhi dei bambini). Ero vicinissimo a quel Keyes quando lui è andato verso un gruppo di donne e bambini che guardavano la scena dal lato della strada e, con un sorriso in faccia, ha lanciato loro una granata asfissiante. Una madre che correva per interferire con la mira dei cecchini è stata sbattuta via dai soldati…”.
E’ lo stile giudaico verso gli esseri inferiori. Ma si nota un di più di malvagità non dissimulata, una più aperta volontà di omicidio e strage, che coincide del resto con l’indifferenza criminale con cui le forze americane e della coalizione che pretende di “combattere l’ISIS” massacrano civili a Raqqa e Mossul, le città che pretendono di “liberare”.
Dopo la comparsa di video inequivocabili, la coalizione ha confermato, per bocca del generale neozelandese Hogh McAslan, di aver lanciato su Raqqa, dove vivono ancora 160 mila civili (e non più di 500 jihadisti) bombe al fosforo. Lo scopo, ha spiegato, è “creare schermi di fumo, in modo da permettere ai civili di fuggire”. Giustificazione in cui riconosciamo un esempio insuperabile di chutzpah: il fosforo è un’arma chimica vietata dalle convenzioni internazionali negli abitati. Ora apprendiamo che ha un uso umanitario, quindi coerente sui nostri valori. Una foto di come il fosforo abbia aiutato i civili a Gaza, dove l’unica democrazia del MO la lanciò, è qui disponibile.
Persino il discutibile Osservatorio siriano dei diritti umani (quel signore che sta a Londra) ha ammesso che il fosforo occidentale ha ucciso 23 civili a Raqqa.
Naturalmente, il tutto avviene senza una goccia dei fiumi di lacrime sparse dai media occidentali (e dalla nota Goracci) sulle sofferenze dei civili ad Aleppo e sui gas che Assad avrebbe lanciato “sulla sua stessa gente”.
Il numero di civili uccisi nei bombardamenti americani è stato definito “sconvolgente” dal capo della commissione ONU d’inchiesta, Paulo Pinheiro. 945 morti alla data del 1 marzo 2017, oltre 160 mila civili sinistrati e rimasti senza casa, dispersi nei dintorni della città. La coalizione ammette di averne ammazzati 352, “involontariamente”.
Invece, sono convinto che non ci sia nulla di involontario. Uniti ai massacri deliberati di civili a Mossul a marzo ed aprile (così imbarazzanti, ancorché mediatamente taciuti, che l’aviazione belga ha voluto comunicare ufficialmente che i suoi F-16 non avevano partecipato alla strage), uniti alla più sadica attività d’assassinio di Israele contro i palestinesi inermi, penso che ciò indichi il passaggio ad una politica genocidaria. Lo permettono la nuova alleanza di fatto fra Israele e il Regno saudita (genocida di suo in Yemen) che assicura contro le minime critiche arabe, l’intervento militare americano diretto ed aperto in Siria contro Assad e per i terroristi per impedire l’avanzata dell’armata siriana verso le frontiere irachene , il suo congiungimento coi liberatori iracheni e dunque l’apertura della via di fornitura di armi dall’Iran (un contrattacco americano è in preparazione: gli Usa hanno portato in Siria, nella base che hanno allestito ad Al Tanf, missili HIMARS, dei “katiusha” americani da 300 chilometri di gittata); lo permette il nuovo clima della Casa Bianca,dove sulla questione medio-orientale è Jared a decidere.
Il sangue arabo è sempre costato poco. L’indifferenza americana però può avere un motivo preciso: quella che ammazza è gente che sta per e con Assad, e voterebbe Assad in una futura sistemazione della Siria (da balcanizzare, secondo i progetti USraeliani). Ad Israele prudono le dita sul grilletto perché sente vicino il realizzarsi del suo sogno finale; eliminare tutti i palestinesi da Gaza, farla finita con la chiacchiera occidentale dei “due stati”.
Cominciata la “Soluzione Finale” per Gaza
Ha già cominciato col dimezzare l’elettricità che fornisce alla striscia di Gaza, il suo lager: da 3 ore al giorno, a 60 minuti. Si noti: sono i palestinesi a pagare per questa fornitura, gli ebrei nemmeno si accollano le spese del Lager. Precisamente, l’OLP di Abu Abbas, nemico di Hamas che regna su Gaza, che smesso di pagare la bolletta. Evidentemente c’è un accordo fra Abu Abbas e a del capo dell’OLP . Del resto Trump, nell’incontro a Betlemme con Abu Mazen il 23 maggio scorso, gli ha fatto offerte che non poteva rifiutare; subito dopo infatti l’ha aggredito chiamandolo “traditore”, perché il vecchio servo palestinese, alla radio, aveva chiamato “eroi” i prigionieri palestinesi detenuti da Israele. La “pace è possibile fra Netanyahu e Abbas”, ha detto Trump. Il risultato è la riduzione dell’elettricità a Gaza a 1 ora al dì. Ciò è in sé un intento genocida.
Insomma è vicina la soluzione finale per Gaza. “E’ in corso una trama fra Usa e Israele per portare il presunto “accordo definitivo” vantato da Trump per finire il conflitto israelo-palestinese a conclusione, riducendo la questione palestinese ad una nota a piè di pagina della diplomazia internazionale”, assicura Jonathan Cook, giornalista britannico che scrive da Nazaret. Pochi giorni fa, è arrivata in Israele Nikki Haley, l’ambasciatrice americana all’Onu, quella che si produce in aggressioni verbali illimitate contro la Russia. Accompagnata da Danny Danon, che copre la stessa funzione per Israele, e che “al confronto fa sembrare Netanyahu un moderato”.
La Halley ha detto a Netanyahu che “l’Onu è prevaricatrice contro Israele” e che il Consiglio di Sicurezza, invece che condannare Sion, deve “concentrarsi su Iran, Siria, Hamas Hezbollah”.
Quanto a Netanyahu, “ha chiesto alla Halley di smantellare una agenzia Onu molto odiata da Israele: l’UNRWA. Creato nel 1948 per assistere i milioni palestinesi cacciati dallo Stato ebraico e ridotti in campi profughi ormai divenuti permanenti, la UNRWA assiste ancor oggi 5 milioni di palestinesi fuoriusciti,negli stati intorno, per istruzione, assistenza sanitaria e sevizi sociali. Netanyahho sostiene che l’UNRWA “perpetua anziché risolvere” i problemi dei palestinesi. Il che è verissimo: facendoli sopravvivere, perpetua le voci che continuano a reclamare il diritto al ritorno in Palestina. Inoltre, la UNRWA occupa 32 mila dipendenti, ossia stipendia palestinesi – insegnanti, amministratori, medici – che vivono in Cisgiordania: “il territorio che Netanyahu e la Danon vogliono inglobare”. Il problema potrebbe essere risolto facendoli morire tutti, lasciandoli senza assistenza come quelli di Gaza senza luce.