di Marco Tosatti
Ho lasciato passare qualche manciata di ore per tornare a parlare di Müller e del Pontefice.
Tre giorni fa vidi che il sito americano OnePeterFive pubblicava una ricostruzione dell’ultima udienza del Papa al Prefetto della Congregazione per la Fede: quella in cui gli ha annunciato il non rinnovo del mandato.
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Sul fatto in sé c’è qualche riflessione da fare. Se anche Müller in qualche situazione conviviale si fosse lasciato scappare qualche cosa che non avrebbe dovuto dire; se qualcuno l’avesse sentito e riportato; se i colleghi americani di One Peter Five, per difendere le proprie fonti, come è giusto, preferissero incassare una smentita prevedibile, da parte del Vaticano e del cardinale, invece di testimoniare la solidità del loro convincimento e della loro informazione; ebbene, tutto questo non potrebbe stupire chi si occupa di informazione da mezzo secolo. Sarebbe semplicemente nell’ordine delle cose. Così come non stupisce la smentita di Müller. In questi quattro anni ha ingoiato rospi di ogni genere, colore qualità e dimensione, pur di non irritare il principale. Che cosa gli costa una smentita, specie se riguarda una sua eventuale indiscrezione, fatta in un momento di sicuro turbamento emotivo (ancora sotto botta, direbbero a Roma)?
Azzardo un’ipotesi. Non credo che questa vicenda si fermerà qui. Perché in tutta la storia ci sono troppi dettagli, troppe circostanze che impediscono di pensare che sia una simpatica invenzione. Penso che sarà interessante seguire, nelle prossime settimane i media tedeschi.
Detto questo, dobbiamo però ricordare a chi parla di fakenews – balle, in buon italiano – che stiamo trattando di dettagli in un episodio di estrema gravità. Cioè: ci scandalizziamo, o meno, discutendo se la pedata nel sedere a Müller sia stata data con uno scarpino da ballo o uno scarpone da montagna. Sempre pedata è e resta, senza precedenti storici negli ultimi decenni e senza motivo. Müller stesso, il conciliante Müller, che ancora spera di poter svolgere un ruolo di mediazione fra il Pontefice e i suoi critici, l’ha detto: “Non posso accettare uno stile del genere”. E il fatto che il cardinale, così ansioso di non mettersi contro il principale sia sbottato in frasi come: “La dottrina sociale della chiesa deve valere anche a Roma” nelle relazioni con i collaboratori nel lavoro, mi sembra ben più grave del fatto se il Pontefice gli abbia rivolto domande strane o se ne sia andato senza salutarlo. Fakenews? Ma per favore…
Un caso isolato? Mi ha scritto, rispondendo a un commento su Stilum Curiae, Josè Arturo Quarracino, nipote del cardinale Quarracino, arcivescovo di Buenos Aires. Ecco il testo: “Sono argentino, nipote del fu cardinale Antonio Quarracino (il predecessore dell’allora mons. Bergoglio nell’arcidiocesi di Buenos Aires). Conosco quello che oggi è papa Francesco dall’anno 1973. L’ho visto anche agire come “proprietario” reale dell’Università del Salvador e come pastore dell’arcidiocesi porteña. Non voglio abbondare in dettagli, ma quello che è narrato nell’articolo si adatta molto alle procedure abituali dell’allora cardinale arcivescovo e cancelliere universitario. Come dice l’espressione ‘se non è vero è ben trovato’”.
Qui il nipote del cardinale dà per autentica la ricostruzione di OnePeterFive: “Non credo in nessuna maniera che il card. Müller abbia mentito. Conosco di prima mano il ‘terrorismo gesuitico’ esercitato per smania di potere così come la rete di informatori sparpagliati nelle zone di influenza e i sotterfugi e le ambiguità rispetto a questioni fondamentali. Fra l’articolo e il portavoce vaticano rimango con la versione del primo, senza alcun dubbio”.
E mi sembra che non sbagli.