La civile e umanitaria Unione Europea ha imposto nuove sanzioni contro Damasco. Un nuovo pacchetto di punizioni contro militari e tecnici scientifici, per – tenetevi forte – la loro supposta implicazione negli attacchi chimici. Notoriamente fatti dai terroristi stessi per cercare di precipitare l’intervento umanitario occidentale.
Perché non crediate che la cosiddetta Europa non sia parte in causa cinque anni di strazio della popolazione siriana. No, ha speso centinaia di milioni di euro per fornire di armi e captagon i suoi jihadisti preferiti. Lo racconta Thierry Meyssan:
Nei giorni della liberazione di Aleppo la giornalista bulgara Dilyana Gaytandzhieva nota la presenza di armi e munizioni bulgare in ben nove magazzini abbandonati dai tagliagole: una scoperta sfuggita alla nostra inviata Goracci, forse perché ancora con gli occhi pieni di lacrime per le foto di bambini sofferenti per i bombardamenti russi, forniteli dagli Elmetti Bianchi.
La Gaytandzhieva invece annota accuratamente le indicazioni stampigliate sulle casse di armi, e tornata in patria comincia una inchiesta. Si deve sapere che la Bulgaria è governata quasi ininterrottamente dal 2009 da un europeista tutto d’un pezzo, molto caro a Berlino e quindi a Bruxelles, molto più amato di quel figuro di Orban, ad esempio: Boiko Borissov, che ha fatto entrare il suo paese nella UE e nella NATO.
Ex buttafuori di night, campione di karate, ministro dell’Interno prima di diventare premier, l’europeista-modello è «legato ai cartelli della droga», e per Jürgen Roth, specialista tedesco di criminalità organizzata, Borisov è «l’Al Capone bulgaro». Armi e droga, carichi proibiti e finiti prima ai jihadisti in Libia e poi all’Isis in Siria, su ordine della Cia. E’ il capo della mafia bulgara, che si chiama SIC, ossia Security Insurance Company, perché si presenta come un’agenzia che fornisce “protezione” , guardie del corpo, guardaspalle (e sicari?) ai potenti – perché non ci ha pensato Totò Riina? Avrebbe portato Cosa Nostra nel Terziario Avanzato e nel grande mercato globale della security.
Molto articolata nei suoi servizi alla clientela, la “ditta” SIC ha fornito alla Cia il captagon per tenere alto il morale dei jihadisti in Libia. Da una inchiesta di un’altra giornalista diversa dalle nostre, Maria Petkova, pubblicata su Balkan Investigative Reporting Network, sappiamo che tra il 2011 e il 14, grazie a Borissov, Cia e il comando Operazioni Speciali del Pentagono (SOCOM) hanno acquistato mezzo miliardo di armamenti bulgari del tipo sovietico per i jihadisti in Siria (non gli si poteva mica dare armi NATO…). Le armi erano pagate da sauditi ed emirati e trasportate da Saudi Arabia Cargo e da Etihad Cargo. Ad organizzare la grande operazione fu David Petraeus quando era direttore della Cia, che l’ha continuata anche quando, perso il posto per uno scandaletto sessuale, ha trovato un lavoro al KKR Global Institute, il centro studi della potentissima e segretissima finanziaria Kohlberg Kravis Roberts & Co.
Nello stesso quadro operativo, anche la Croazia, per dire, ha trasferito 230 tonnellate di armi “per il valore di 6,5 milioni di dollari”, il cui trasferimento in Turchia era operato con gli Iliushin della Jordan International Air Cargo, dopodiché le armi erano paracadutate ai ribelli in Siria dall’aviazione delle forze armate del Qatar. Ma erano piccolezze.
L’Europa coinvolta nel crimine
L’arrivo di Mosca e Teheran a fianco di Damasco ha reso necessario fornire i ribelli, che secondo la fake vulgata lottavano conto Assad per i diritti umani in Siria, con qualcosa che non poteva essere paracadutato. Per esempio, blindati, e artiglieria anticarro. Come ha raccontato Manlio Dinucci, la compagnia di navigazione Liberty Global Logistic ha operato questi trasporti dal porto di Livorno ad Akaba (Giordania) e Jedda (Arabia Saudita). Il tutto naturalmente sotto gli occhi del governo italiano e dell’Europa. Allo stesso modo, la UE non ha mai trovato discutibile che in Bulgaria sia andato al potere un capo-mafia indicato come tale dalle polizie internazionali, ma che costui ha praticamente subaffittato la compagnia di bandiera bulgara, Silk Way Airlines, per queste operazioni. La giornalista Dilyana Gaytandzhieva, la non-Goracci, ha anche scoperto che il ministero bulgaro degli Esteri ha dichiarato 350 di questi voli in meno di 3 anni, “voli diplomatici”, per renderli esenti da ispezioni secondo la convenzione di Vienna – e che tuttavia le richieste di omologazione di questo come “voli diplomatici” portavano chiaro la natura dei trasporti: armi.
In doppia violazione del diritto internazionale, che vieta non solo ai voli diplomatici, ma ai voli civili di trasportare armi. Eppure paesi come la Germania, il Regno Unito, la Polonia, la Romania, Serbia e Cechia (anche queste fornitrici di armamenti), su ordine del Dipartimento di Stato, hanno taciuto ed acconsentito.
http://www.voltairenet.org/article197134.html
Secondo la Gaytandzhieva, almeno 17 paesi sono stati a parte di questi colossale trasporti di armamenti ai “ribelli per la democrazia in Siria”, e la Silk Way Airlines ha trasportato almeno un miliardo in armamenti. Ma è stata una delle vie, ce ne sono altre. Secondo fonti del PKK, tra maggio e giugno 2014, la Turchia di Erdogan ha noleggiato convogli ferroviari per far giungere a Rakka, città siriana allora in mano a quello che sarà conosciuto come ISIS, armamenti ucraini e quel famoso migliaio di pick-up Toyota visti attraversare il deserto. Il tutto, pagato dai sauditi.
Un saporoso a parte riguarda l’Azerbaijan turcofono, diventato un retrobottega di Washington per tali operazioni sporche. E’ una dipendenza di lunga data: come ha rivelato Sibel Edmonds, che faceva la traduttrice di turco per l’FBI, l’Azerbaijan, su richiesta della Cia, ha ospitato a Baku “il numero 2 di Al Qaeda, Ayman Al-Zawahiri. Benchè ricercato ufficialmente dall’FBI, il numero due della rete jihadista globale si spostava su aerei NATO in Afghanistan, Albania, Egitto e Turchia. E riceveva frequenti visite del principe Bandar bin Sultan, il capo dei servizi sauditi”.
Il che, sia detto tra parentesi, solleva in parte il velo del mistero sulla ammirevole capacità del SITE di Rita Katz nell’intercettare, lei sola in esclusiva, i video in cui Al-Zawahiri incitava alla guerra santa contro Assad, eccetera:
https://news.siteintelgroup.com/tag/34.html
Non era poi cosi’ difficile, visto che Al Zawahiti è quasi un pubblico dipendente federale.
A farla breve, la giornalista Dilyana Gaytandzhieva ha ricostruito una parte consistente della operazione Cia-Pentagono chiamata Timber Sycamore, gestita da Petraeus; “il più importante affare criminale della storia” per Meyssan, che per rovesciare il debole Assad, e poi per sconfiggere i russi, e poi l’Iran ed Hezbollah, ha impegnato miliardi di dollari, e tutta la logistica che abbiamo sommariamente descritto, per formare quelli che la narrativa ci ha gabellato come una “opposizione democratica” armata, desiderosa di libertà e shariah contro il mostro. Praticamente invece, come si vede, Sycamore si è configurata come una vera e propria guerra di teatro, estesa fra Siria e Irak e Yemen, fra il Golfo e il Sinai, pagata dai sauditi e Qatar ed emirati, in cui gli Usa e i suoi servi europei hanno dispiegato mezzi immani, da schiacciare e intimidire e Mosca e Teheran – e che invece hanno perso.
Si capisce quindi perché la UE abbia prolungato ed aggravato le sanzioni a Damasco: s’è tanto impegnata, tanto ha affondato le mani nel sangue e nella merda, ci ha speso tanto in questo progetto di distruzione di un unico piccolo paese, che deve prolungare quanto può la finzione: l’Europa che difende i diritti umani contro il mostro che gasa il suo popolo. Magari c’è anche una dose di dispetto da sfogare; gli americani lo sfogano bombardando ancora un po’ i civili, ognuno ha i suoi modi per distendersi.
Naturalmente continuano a perseguire lo smembramento della Siria, come dimostra questa mappa.
Teheran ha già protestato e messo in guardia da mire “inaccettabili”; Mosca sa di non avere i mezzi illimitati per una completa vittoria, e sta cercando di coinvolgere gli americani in una de-escalation con controllo congiunto di un territorio neutralizzato – per assicurare Israele che non ci saranno Hezbollah alla sua frontiera; ma Sion invece si sente tanto tanto minacciata….
Tutto con rabbia e voglia di fare un altro tentativo, di strappare una vittoria dopo sei anni di sangue (e merda). Invece di capir il vero motivo per cui Timber Sycamore, nonostante i miliardi di dollari, la malavita dell’Est, le casse senza fondo dei wahabiti sauditi, la complicità dell’Europa intera, è fallita. Eppure la spiegazione non è difficilissima.
Il disonore militare
Il 17 luglio scorso, in Giordania, s’è concluso il processo a Marik al-Tuwayha, un soldato giordano che l’anno passato sparò ed uccise tre Berretti Verdi americani che entravano in auto alla base aerea giordana King Faisal. Un delitto deliberato: lo sparatore ha sparato sei minuti, ricaricando l’arma, mentre i tre commandos Usa gridavano: “Siamo americani! Siamo amici!” (sic).
Una tragedia che è stata soffocata dagli Usa, perché ha messo allo scoperto appunto l’illegalità e clandestinità dell’operazione. I tre ammazzati, truppa di elite, erano lì ad addestrare i “ribelli” siriani da far sembrare “democratici” cittadini in lotta contro il dittatore-mostro.
Il punto è che, un mese prima dell’eccidio, un altro Berretto Verde che partecipava all’operazione clandestina come addestratore, ha raccontato al sito militare SOFREP
(https://sofrep.com/) il disgusto, anzi la revulsione morale per quel che erano obbligati a fare. Ribelli anti-Assad, quelli che addestravano?
“Nessuno ci crede. Il nostro stato d’animo è del tipo: ‘fanculo. Tutti sul terreno sanno che sono jihadisti. Nessuno sul campo crede in questa missione, sappiamo tutti che stiamo addestrando la prossima generazione di jihadisti; così sabotiamo la cosa, dicendo: ‘fanculo, chi se ne fotte”.
I Berretti Verdi sono commandos rotti a qualunque operazione, anche sporca. Eppure in quella, in quella doppiezza e finzione gestita dai civili della Cia, c’è stato qualcosa di troppo, di non sopportabile per il loro senso dell’onore. E i sentimenti del soldato giordano che ha ammazzato tre di loro quali erano? Esasperazione? Disgusto anche il suo?
Forse ricorderete l’orribile evento del febbraio 2015, quando il pilota giordano Moaz al-Kasasbeh fu bruciato vivo in una gabbia da guerriglieri ISIS in un video molto pubblicizzato, diffuso dal SITE. Per la prima ed ultima volta, i guerriglieri dello Stato Islamico apparvero in mimetica kaki, con passamontagna coordinati, desert boots ai piedi, ordinatissimi, marziali .
Molti osservatori dissero subito che quelli non erano jihadisti, erano soldati giordani. Gente d’onore e di gran livello militare. Obbligati a fare da comparse in una messi scena comica e ridicola, e tragica insieme – perché alla fin fine il pilota fu veramente ucciso.
No, non si fanno le guerre così. O si perdono.