La Catalogna indipendente non essendo più membro dell’Unione Europea perderebbe la capacità di accedere alla BCE per piazzare il suo debito pubblico? “C’è una soluzione per questo, un altro stato solvibile, Israele e Germania, servirà come nostra banca temporanea”. Così parlò Santiago Vidal, giudice dell’alta corte di Barcellona, in un’intervista riportata dal Jerusalem Post. Era il 24 novembre 2014:
Vidal profetizzò che “entro tre anni” sarebbe nato uno stato di Catalogna “con mezzi legali, politici e pacifici, non come “la questione [dell’indipendenza] palestinese che è caratterizzata dalla violenza”. Un mese prima, questo giudice Vidal aveva stilato una proposta di costituzione della Catalogna, per cui rischiava di essere perseguito da Madrid.
“Viva Catalogna, Viva Israel!”, esclamava Haaretz in un articolo di Adar Primor (che ci ha scritto anche un libro) in lode del notaio Alfons Lopez Tena, uno dei politici indipendentisti catalani (benché nato a Valencia) più estremi, autore di un libro dal titolo Cataluña bajo España. La opresión nacional en democracia, e spiegava:
“La Spagna non abbandonerà facilmente il gioiello della sua corona, ma Lopez Tena non perde tempo a promettere che il nuovo stato membro dell’Europa sarà molto amico di Israele. Anche in questo si distinguerà dal suo rivale a Madrid. Ed ecco un altro messaggio: proprio come la Catalogna diverrà presto lo stato del popolo catalano, così Israele è anzitutto e soprattutto lo stato del popolo ebraico. Non c’è nessun avvenire per uno stato bi-nazionale. La recente vittoria de separatisti in Canada, gli sforzi sempre in corso di smantellare il regno del Belgio, il referendum nazionale che avrà luogo in Scozia, sono solo alcuni degli esempi che lo provano. Né una federazione, né confederazione. Né autonomia, né cantoni: il bi-nazionalismo è morto. Visca Israel, Visca Catalonia!”. In catalano nel testo: Visca significa “Viva”.
https://www.haaretz.com/opinion/viva-catalonia-viva-israel-1.467213
NO agli stati bi-nazionali!
Così è chiaro il motivo dell’appoggio che Israele dà all’indipendentismo catalano, e perché coltiva l’amicizia coi secessionisti: niente stato bi-nazionale per Sion, dove la razza eletta sia costretta a convivere, e dare pari diritti di cittadinanza, ai palestinesi. Il tema era allora abbastanza caldo, oggi non più. Ovviamente anche la soluzione alternativa, a “due stati” è morta, più precisamente è stata uccisa dai governo Netanyahu che ha intensificato l’occupazione delle terre palestinesi con insediamenti ebraici.
Dunque è un’amicizia ideologica, l’intolleranza per uno stato con cittadini di una naziona “estranea” a quella di Israele come dei català. Lo stato ebraico è uno dei pochi che ha mandato “osservatori” al referendum indipendentista, i quali si sono debitamente dichiarati “scioccati per la brutalità della polizia spagnola” (invece la polizia israeliana è tutta moderazione e dolcezza nel trattare i palestinesi).
Ma davvero Israele potrebbe funzionare da banca centrale sostituiva per gli amici catalani? Si introduca qui la figura di Jordi Pujol, grande e intelligente promotore del catalanismo autonomista, fondatore del partito Convergencia, presidente della generalitat catalana per 23 anni ininterrottamente, dal 1980 al 2003; tanto amico del sionismo da aver mandato quattro dei suoi 6 figli in un kibbutz. Per educarli come si deve.
Infatti, i figli “hanno ammassato fortune nelle loro imprese private che spesso ricevevano commesse dal governo catalano”, quello guidato da papà, attesta Wikipedia. “La moglie e i figli hanno investimenti per decine di milioni di dollari in Messico, Panama, Argentina” con “movimenti di fondi tra banche estere in Andorra, Svizzera, Jersey, Isole Cayman ed altri paradisi fiscali, per più di 100 milioni di euro”.
Nel 2014 papà Pujol (aveva 84 anni) ammise che per i 23 anni della sua presidenza “aveva tenuto conti bancari segreti all’estero, ereditati da suo padre”. E’ una famiglia di banchieri –o almeno lo era, perché nel 1984 la banca di famiglia, Banca Catalana, andò in bancarotta e fu salvata dal governo di Madrid (in quell’occasione gli stati centrali servono). Pujol voleva far credere che quei soldi che teneva sui conti esteri erano una eredità del padre bancarottiere; varie testimonianze hanno sostenuto davanti ai giudici che la ricchezza miliardaria di papà e figli non può essere soltanto il risultato di eredità e nemmeno di investimenti fortunati, ma viene da “traffico d’influenze, tangenti, riciclaggio e corruzione pubblica”.
Jordì Pujol non è solo il padre del catalanismo. Nel 1985 ha fondato l’Assemblea delle Regioni d’Europa (AER) con il politico Edgar Faure. Costui, sposato a un’ebrea (Lucie Meyer), uno dei francesi giudicanti al processo di Norimberga, uomo del Partito Radicale (ossia massonico), è riuscito ad avere ministeri sia sotto le sinistre sia nel governo di De Gaulle . “Sia durante la Quarta che durante la Quinta Repubblica, si è sempre trovato dalla parte dello schieramento vincente. A chi lo accusava di opportunismo, rispondeva: “È il vento che spira dalla mia parte” (Wikipedia).
Soprattutto, Edgar Faure è stato un “europeista” assoluto. Uno di quelli cioè che hanno teorizzato lo smembramento degli stati europei in regioni, entità sub-politiche, sotto il controllo di uno stato federale tecnocratico. La giustificazione di questa ideologia è che gli stati europei “si fanno la guerra” se non vengono smembrati e neutralizzati in regioni; il senno di poi consente di riconoscervi una versione applicata ai popoli europei del Piano Kivunim israeliano, lo smembramento e la rottura degli stati musulmani per linee di faglia etnico-religiose, ora in corso per mezzo del leviatano americano fra immani distruzioni.
L’Europa delle Regioni? Superflua
Lo smembramento in regioni, anche se continua ad essere probabilmente il punto d’arrivo della “dottrina esoterica” euro-topica, vede ora le tecnocrazie di Bruxelles paralizzate nell’appoggiare una secessione della Catalogna, che susciterebbe un risveglio di pulsioni “populiste” non direttamente controllabili in vari secessionismi europei, che indurrebbe a riconoscere allora anche la secessione della Crimea, ma soprattutto, io credo, perché ormai sono gli stessi stati “nazionali”, coi loro governi, ad essersi castrati della loro sovranità ed averla consegnata – come i sacerdoti di Cibele si eviravano e offrivano i testicoli alla Dea – all’Ente Burocratico Supremo.
Basta leggere l’ultimo libro di Yanis Varoufakis (And the Weak Suffer What They Must?”) che come meteorico ministro greco delle Finanze, ha avuto l’esperienza di essere messo al cospetto dell’Ente. Eccola sua descrizione:
“l’Eurogruppo, dove sono prese tutte le decisioni importanti, è un organo che nemmeno esiste nel diritto europeo, che opera sulla base del criterio “il forte fa’ quel che gli piace mentre il debole soffre come deve”, che non tiene verbali delle sue riunioni, e la cui sola regola rispettata è che le sue deliberazioni sono riservate – ossia, non da condividere con i cittadini europei. E’una costruzione concepita apposta per precludere ogni sovranità residua al cittadino europeo”.
Sono riunioni in cui a iniziare, guidare e delineare i termini è la Troika /FMI, BCE, Commissione Europea) e danno gli ordini ai ministri delle finanze. Alcuni possono anche votare, altri parlare (i greci no); quel che conta è che l’Eurogruppo non esistendo come istituzione, non può essere mai chiamato a rispondere delle sue cattive decisioni perché non è responsabile davanti a nessun parlamento, o corpo politico di alcun genere. .
E poi i media ci raccontano che il regime di Putin è “autoritario” e in Russia non esiste una vera “democrazia” come in Europa. Al confronto dell’Eurogruppo che ci sgoverna, il Consiglio dei Dieci della Serenissima fu un modello di trasparenza democratica.
Fatto è che oggi gli Stati essendosi così castrati da soli della loro sovranità, è superfluo, o non più così urgente, attuare la loro regionalizzazione.
Diversamente, la secessione caalana riveste una notevole importanza per Israele, siamo come modello di “rigetto di stato bi-nazionale”, sia perché, nell’evoluzione in corso in Medio Oriente non favorevole all’onnipotenza sionista e il vacillare della superpotenza Usa, Israele risponde con un ampliamento internazionale di vaste dimensioni: da Kirkuk dove gestisce la politica curda all’Arabia Saudita; da Mosca dove ha ripetyuto frenetiche visite, all’Europa, dove cerca di moltiplicare i suoi amici. Lo ha detto lo stesso Netanyahu due anni fa nella sede del Mossad, dando le nuove direttive: “Israele deve diventare una potenza mondiale”.
Proprio così: “Di fronte ad un mondo che cambia, Israele deve diventare una potenza. Non solo una potenza regionale, ma in certe sfere, una potenza mondiale … Nessuno fa alleanze col debole”
http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/201035
(Grazie all’amico giornalista Geraoid O’Colmàin, irlandese corrispondente da Parigi per lo American Herald Tribune e RT, che ha ispirato questo articolo: