Pietro Grasso, ex magistrato, resta presidente del Senato e contemporaneamente “scende in politica” a fianco di D’Alema e Bersani. La Boldrini resta presidenta della Camera, manco pensa a dimettersi, e “scende in campo” con D’Alema e Bersani.
Abbiamo il caso delle due più importanti cariche istituzionali che, come ha scritto Stefano Folli su Repubblica, contemporaneamente “si candidano in un partito di estrema sinistra” e non sentono il minimo scrupolo relativo a un conflitto d’interesse.
Pietro Grasso ex magistrato, può anche diventare capo di un governo futuro, con i voti del Movimento 5 Stelle.
Così si completerà quel “lungo iter della deformazione della funzione giurisdizionale e patente invadenza della magistratura fuori dall’alveo dei suoi compiti”, che Mauro Mellini, avvocato (fu il difensore di Enzo Tortora) e per sua disgrazia militante pannelliano, descrive con dolorosa precisione nel suo “Il Partito dei magistrati” – Storia di una lunga deriva istituzionale (Bonfirraro editore, 15,90 euro).
La libertà assoluta di passare dal tribunale alla candidatura politica (in paesi più civili severamente limitata), l’insindacabilità totale dell’autogoverno (la “sovranità” dell’ordine giudiziario), l’irresponsabilità civile di fronte ai danni inflitti al cittadino, la progressione automatica delle carriere (prima, si arrivava in Cassazione solo per esami e scrutini successivi, oggi per mera anzianità) sono “conquiste” che la casta s’è presa – e che gli è stata data dai politici.
Come? Andreotti raccontò a Mellini come lui, in una riunione di ministri democristiani, avesse criticato la norma sulla progressione automatica delle carriere che si stava approvando in Parlamento. Gli altri ministri “mi raccomandarono di tenermi gelosamente per me queste riserve e ostilità alla legge in discussione “perché altrimenti quelli ci arrestano tutti gli amministratori democristiani”.
“Il confine fra comparaggio e ricatto è piuttosto incerto”,commenta Mellini. Il caso Tortora portò alla vittoria del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati: “malgrado l’esito nettissimamente favorevole” esso “ venne tradito da una legge falsificatrice che rendeva totalmente inaccessibile e impraticabile ogni pretesa risarcitoria”. Peggio: la Corporazione visse questa proposta come “un’aggressione e una ferita al suo prestigio”, e i politici coraggiosi (come Craxi) non riuscirono di “fare in modo che la Corporazione fosse messa in condizione di non poter ripagare, col potere che le era stato lasciato, la presunta offesa ricevuta e il pericolo corso”. Si arrivò al punto, rievoca Mellini, che “il Consiglio Superiore della magistratura voleva votare una mozione di censura del Presidente del Consiglio (Craxi). Vi si oppose il presidente della Repubblica Cossiga”, che in quanto presidente dello stesso Consiglio Superiore della Magistratura – rilevò “l’enormità di questa pretesa del parlamentino dei giudici a sfiduciare il governo”, e “minaccio’ di far intervenire i Carabinieri per sciogliere la seduta manu militari. Fu, in tanti anni, l’unico atto delle istituzioni dello Stato per fronteggiare con la dovuta energia le esorbitanze dell’ordine giudiziario”. Nessuno osò più. Il destino di Craxi ammaestra.
“Potere ispettivo” sulla società.
Su cosa sia diventata la “obbligatorietà dell’azione penale”, ecco: oggi, in base alla legge vigente (vittoria dei magistrati e del loro partito di riferimento, il PD), “l’azione penale comincia solo con la richiesta di rinvio a giudizio – quindi al termine anziché all’inizio dell’inchiesta del pubblico ministero”.
L’italiano medio, che ha un senso del diritto piuttosto primordiale, può non capire l’enormità dell’attentato alla libertà personale che ciò comporta. Spiega Mellini:
“Ciò significa che il cittadino può essere arrestato [preventivamente], tenuto in carcere, può accadere che si dispieghi tutto il contenzioso cautelare, con reclamo al cd. Tribunale della libertà, ricorso in Cassazione, appelli, altri ricorsi – senza che contro il suddetto cittadino sia ancora iniziata l’azione penale” e senza che, dunque, sia stato messo al corrente delle indagini che lo riguardano e dell’accusa che gli elevano, in modo che possa difendersi.
Il codice di procedura del 1930, ossia fascista, era immensamente più garantista verso il cittadino indifeso.
Peggio: col nuovo ordinamento attualmente vigente, il al pm si è dato il potere “non solo di indagare sui reati di cui gli sia pervenuta notizia, ma anche la possibilità di trovare tali notizia solo con tali ricerche. Si può dunque oggi, e addirittura si dovrebbe, indagare per accertare se c’è qualcosa su cui indagare …. Indagare sulle persone perbene per accertare se per caso, non siano invece per male. Su traffici leciti per accertare se invece non siano illeciti; su atti amministrativi regolari per vedere se invece non siano irregolari e frutto di corruzioni”.
Naturalmente questo pace all’italiano assetato di giustizialismo primordiale e primitivo.
Ma così, “il potere dei PM si è trasformato in un “potere ispettivo” sulla società, sull’amministrazione, sull’economia” – senza che poi, come possiamo constatare, questo potere ispettivo onnipresente, intrusivo (intercettazioni) insindacabile e totale abbia indotto una moralizzazione dell’economia (vedi Montepaschi), della società generale più corrotta che mai, dell’Amministrazione pubblica inadempiente a man bassa, e tantomeno dei politici. Al contrario: società e politici sono peggiori che mai.
I piddini, grandi “collaboratori di giustizia”
Con Grasso candidato siamo al coronamento di questa deriva. “Grasso – ha scritto un militante di sinistra sul Fatto Quotidiano – si è prestato all’evidente fallimento di politicanti di professione che si sono sempre nascosti dietro la parola “sinistra” per tirare a campare. D’Alema, Pierluigi Bersani e altri piccoli mestieranti della politica erano talmente in difficoltà che non sapevano più a chi far mettere la faccia per l’ennesimo partitino a scopo strettamente poltronale”.
Esatto, perfetto. Ma perché hanno scelto proprio l’ex magistrato? Perché come i Vescovi il carattere indelebile con la Cresima, così i magistrati impartiscono con la loro presenza “la vera legittimità del potere”. Il “potere ispettivo sulla società” dei magistrati d’accusa si è tramutato in potere santificante e candeggiante, impresso per la sola “presenza reale” del magistrato-presidente-del Senato ed adesso candidato-di-estrema-sinistra , presto capo-del governo- e domani, perché no, capo-dello-stato (senza lasciare nessuna delle cariche precedenti, beninteso).
Infatti questo è successo: in Grasso, la magistratura ha tolto la sua potestà legittimante e santificante da Matteo Renzi (il papà è “corrotto”) e l’ha spostata su D’Alema e Bersani, ungendoli del crisma della “legittimità vera”, garantito dal “potere ispettivo generale” sulla società nel suo complesso. Ovviamente il 5 Stelle, con suo senso primordiale del giure, ha già dato il suo appoggio a questa deriva finale. Ai magistrati il potere totale.
Come da tantissimi decenni, concludiamo solo notando – sulla scorta di Mellini – la funzione in questa lunga deriva soppressiva del pluralismo, anche adesso, del PD: “Il Partito Democratico” sembra “essere o apparire una colonia di “collaboratori di giustizia” ansiosi di guadagnarsi il già ottenuto trattamento premiale”.
Già: come i mafiosi diventano “collaboratori di giustizia” stipendiati dallo Stato e utilissimi ai magistrati, che non possono (né vogliono) più fare a meno di loro, così da sempre i piddini.
Ben detto, avvocato Mellini. Ma io prendo le distanze, per prudenza.