Un lettore mi scrive:
La seguo da qualche hanno e La ringrazio del suo prezioso lavoro. Rimango un po’ deluso da quel suo definirsi ” Cattolico Tradizionalista”. Tradizionalista va bene, ma cattolico mi sta come un dito nell’occhio. Non pretendo spiegazioni nè motivazioni da una persona della sua levatura intellettuale, avrà i suoi motivi.
Solamente volevo farLe sapere che leggendoLa tutti i giorni e godendo della sua informazione con la sua prosa veramente non mi capacito di questa professione. Le confesso che sarei felice un domani sapere una sua presa di distanza da quello che io reputo una vera sciagura per il mondo intero.
Le auguro un Buon 2018 fatto di notizie più confortanti…
Cordiali saluti Guglielmo M.
Alla mia età, non ho più tanta pazienza verso i pregiudizi convenzionali che la gente ha adottato totalitariamente, e ognuno mi ripete come fossero idee sue e testimonianza della sua libertà critica. Il suo anti-cattolicesimo, caro lettore, è uno di questi pregiudizi convenzionali; ho avuto già modo di ascoltarlo, come immagina, molte volte. La revulsione verso la stessa parola “cattolico” ha ormai presso le masse il carattere di riflesso condizionato, scatta da sé, comporta non solo derisione e disprezzo ma,- più grave – volontà di esclusione dallo spazio pubblico: un “cattolico” non ha diritto a dire la sua perché è dogmatico, intollerante, crede che esista la verità, è moralista…. E questo, nel momento storico in cui è proprio il relativismo che viene imposto come una verità dogmatica; e sono proprio i miscredenti di massa a mostrare tutti i sintomi che loro attribuiscono erroneamente al “cattolico” o al fanatico religioso: conforto sentimentale da certezze ricevute, conformismo, rifiuto del dubbio, sicurezza farisaica di essere nel giusto, presunzione moralistica, intolleranza verso le posizioni altrui, atti di fede ripetuti verso “Il progresso”, l’”evoluzione darwiniana”, “la scienza” ed altre credenze non-verificate della ideologia progressista. Basta, per dire, che la Boldrini apra bocca per sentirla ripetere qualche dogma corrente nella sinistra, con l’inequivocabile atteggiamento della bigotta sicura di possedere la Verità; atteggiamento che, scendendo nella scala sociale, induce i militanti gay, poniamo, a realizzare in chiese affreschi schernitori con froci in Paradiso, o presepi derisori con due san Giuseppe, e ancora più giù, ragazzotti a spaccare le figurine del presepio nelle parrocchie: segnali in cui, oltre la volontà di offendere gratuitamente chi crede, si dovrebbe riconoscere l’estremo wahabita della miscredenza: cancelliamo, reprimiamo e profaniamo le “superstizioni”; solo la nostra verità deve esistere.
A 74 anni non ho più tanta pazienza, specie in quanto assisto , da parte dei bigotti, dogmatici e wahabiti del “progresso” e della “ragione”, alla distruzione pura e semplice della splendida civiltà greco-romano-cristiana che hanno ereditato. Ma la sua lettera,caro lettore, è così sinceramente addolorata di vedere in me un “cattolico” (quindi oscurantista, quindi superato e non-glamour, quindi moralista giudicante pieno di pregiudizi sul sesso?), che sento spinto a provare a risponderle.
Non mi faccia il torto di pensare che per uno come me, in questo secolo, credere a un Dio unico in tre Persone, di cui una si è fatta uomo, nascendo da una Vergine, per scontare i nostri peccati facendosi crocifiggere al posto nostro e salvarci dalla dannazione eterna, sia una fuga in una fede facile, un rifugio consolante. Per me, come per ogni cattolico consapevole che vive in questo tempo di disincanto assoluto e di facili seduzioni materiali, mantenere questa fede è una battaglia senza fine ed una vittoria quotidiana contro il dubbio, l’irreligiosità, il prossimo e la sua derisione, e i cattivi esempi. Ma soprattutto è una lotta quotidiana contro il proprio orgoglio, la propria superbia. Una fede così “assurda” richiede anzitutto un atto preliminare di umiltà, la “decisione” di credere. Anche in questo il Cristianesimo è diverso da tutte le altre grandi spiritualità della storia, che non richiedono altrettanta fede; ed è impressionante veder che fin dall’inizio – si legge benissimo nelle lettere di San Paolo – essa è discussa, contestata fin dai primi convertiti: fede troppo in rottura con quell’ebraismo da cui si dichiara il compimento; fede troppo esigente in monogamia, castità, fede subito minacciata da eresie. Fede “agonizzante” appena nata.
Solo l’ateo ignorante crede che la fede sia una consolazione, un presuntuoso accomodarsi in non so che stato morale privilegiato; per chi la prende sul serio, la religione è un fardello – un carico di discipline spirituali, di “pesi” che non sa se sarà in grado di portare – anzi che sa benissimo di non essere in grado di portare da sé, senza un aiuto dall’alto. Si pensi: castità, monogamia, autocontrollo della propria superbia, esame di coscienza davanti a Dio realmente presente: una cura quotidiana contro l’autocompiacimento e la presunzione. Prima di essere “consolante”, la fede è una sfida alla propria “auto-stima” e al proprio comfort. L’adozione di una disciplina spirituale che l’ateo non sa nemmeno cosa sia – e si vede benissimo da come vive, ossia da bestia intollerante e senza onore, preda di tutti i suoi impulsi, il contrario della persona “liberata” che crede di essere e la pubblicità lo assicura essere.
Ma perché assumersi tale peso?, dice ovviamente il non-credente. Aderire a cose assurde come la Verginità di Maria o la Presenza Reale nel pane consacrato? Personalmente non ho ereditato questa fede, l’ho in qualche modo ritrovata. Ho conoscenze non dilettantesche dei testi buddhisti, le dottrine indù, ho fraterna amicizia per il sufismo. Perché allora?
Se devo rispondere è: perché ho vissuto mentre era sulla terra Padre Pio. Perché sono stato mandato in India a vedere Madre Teresa e ne ho visto le opere. L’alter Christus con le stigmate, la donna che lavava i poveri ripugnanti vedendo in essi il Cristo che sulla croce rantola: “Ho sete”. Se le più scandalose asserzioni della gerarchia post-conciliare mi fanno dubitare , penso a Padre Pio e mi dico: no, questa fede “funziona”. Lui è la prova vivente. So anche che nonostante questa crisi e apostasia generale, Cristo sta scegliendo i suoi, li chiama ad uno ad uno – e c’è chi risponde. Sono soprattutto i bambini a capire. Quando ho dubbi, mi rileggo la piccola Giacinta di Fatima, che accettò tutto fino a morire a 9 anni perché “tante anime vanno all’inferno”, di Maricarmen che “si consegnò” alla sofferenza per la conversione del massone che aveva fatto uccidere suo padre; mi richiamo alla mente José Sanchez del Rio, il cristero che accettò il sacrificio a 14 anni, da vero eroe e irriducibile combattente. So per esperienza che è vero quel che ha detto Cristo: che le cose divine, che non capiscono i sapienti, sono invece chiare ai bambini e fanciulli. E capisco anche perché: perché i piccoli vogliono essere eroi. Sono i cavalieri, nobili crociati, i combattenti di prima linea, dicono “sì” alla esigenza suprema del Comandante, senza pensare “ma forse non ce la faccio”, “non sono in grado”, “mi stai chiedendo troppo”. Come Padre Pio, come Madre Teresa, o padre Kolbe, come miriadi di altri che non conosco, so che “cattolico” significa essere eroe. Gente che ad un certo punto, deve buttarsi senza rete – e lo fa, e allora fa miracoli.
Né più né meno, fino al sangue. Ed io che in questa armata sono un soldato di fureria, sono tanto lontano dalla prima linea e dall’avere il coraggio di Giacinta o José Sanchez o Padre Pio – vorrei stare nell’ombra di questi guerrieri, sperando nella loro intercessione, e perché mi ottengano un centesimo del loro coraggio. Per i tempi che corrono.