ERDOGAN HA ATTACCATO AD AFRIN GLI ALLEATI DEGLI USA. E CON L’ACCORDO DI TILLERSON.

Nelle operazioni in corso contro i curdi siriani  al Afrin (Siria, Nord Aleppo), le  forze turche hanno bombardato la base aerea di Menagh, usata da Washington per fornire di armamenti i loro amici curdi. Un paese alleato NATO che attacca forze sostenute dagli americani, mettendosi in rotta di collisione con Washington, sembra un fallimento colossale dell’amministrazione Trump e del suo ministro degli esteri, Rex Tillerson, e un regalo all’asse di  resistenza siriano. Ma Mosca ha espresso preoccupazione per la situazione, ed ha richiamato le parti alla moderazione. E’ simulata o vera  preoccupazione?

Perché  fonti di Damasco sono convinte che “una fazione del potere USA ed Erdogan  hanno montato di tutto punto questa mascherata in vista di giustificare una  occupazione di parte del territorio siriano da  parte di forze straniere, nel Nord Est della Siria e una parte della provincia di Idlib. Mosca osserva con estrema  cura questo gioco, notando tutto si fa perché la  pressione militare del conflitto in Siria si sposti più a Nord, lontano dalle  frontiere di Israele”.   Quindi uno degli  scopi della finta ostilità  fra Ankara ed Usa sarebbe calmare le angosce di Sion?   Questa fonte aggiunge: “Washington non agisce più in Siria come una sola entità. La seconda guerra  civile Usa è ormai una realtà tangibile”:  ventilando qui l’azione di una frazione del Deep State contro l’amministrazione Trump.

Cerchiamo di capire, per quanto possibile in una vicenda dove si intrecciano doppi  e tripli giochi. L’intervento di Erdogan ad Afrin contro i curdi è stata causato dall’annuncio americano di voler costituire lì una forza armata di 30 mila uomini, curdo-siriani e anche ex ISIS, come “forza di protezione dei confini”; insomma una permanente occupazione del Nord-Siria, consegnandola di fatto alla componente curda.  Erdogan non poteva accettare una fatto compiuto  del genere; per giorni ha minacciato verbalmente che avrebbe annichilito quei “terroristi” alla sua frontiera Sud. Apparentemente, Washington  non ha mai risposto –   quasi  come  credesse che le minacce di Erdogan fossero vuote.  Dopo, Tillerson ha dichiarato in un talk show che i propositi americani sono stati “dipinti erroneamente” (misportrayed) , descritti “in  modo distorto” (misdescripted) e che “qualcuno s’era espresso male (misspoken):qui non stiamo creando affatto una forza di sicurezza confinaria”, quasi   fosse appunto stato tradito dal Deep State. E’ noto  che l’apparato della Segreteria di Stato, clintoniano e neocon, gli è nemico  e può tradire i suoi ordini.

Però va aggiunto che Erdogan  aveva un altro motivo per entrare in Siria: i  successi delle  forze di Damasco nella zona orientale di Idlib  dove   sta sconfiggendo la “Armata libera Siriana” (Anti-Assad) e i takfiri di Al Qaeda che lui sosteneva.

Fatto sta che  le operazioni ora in corso sono state precedute da numerosi negoziati.  Alti ufficiali turchi sono volati a Mosca per avvisare le loro controparti russe dei loro piani di attaccare Alfrin. I russi hanno acceduto. Ma non prima di essersi messi in contatto  coi curdi della zona, facendo loro , anche a nome di Damasco e alleati, un’offerta che gli  stessi negoziatori kurdi descrivono così:

“nell’incontro la Russia ha proposto alla nostra amministrazione [curda]  che se mettevamo Alfrin sotto il regime siriano, la Turchia non ci avrebbe attaccato.  L’amministrazione di Alfrin ha rifiutato la proposta”.  Specificamente,  questa  specie di governo  ribelle non ha  voluto  rinunciare  al controllo esclusivo dei confine.

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Chiaramente, i russi mirano a restituire l’integrità territoriale  della  Siria. Altrettanto chiaramente, quei curdi vogliono ricavare  dalla Siria  il loro staterello, il Royava,  promesso loro dagli americani. Infatti  un loro comunicato suona  così: “Il comandante delle forze del Royava generale  Mazlum e Illam Ahmed hanno incontrato Brett McGurk per chiedere che gli Usa fermino gli attacchi turchi”. McGurk è il plenipotenziario della segreteria di Stato che i neocon esaltano come “l’architetto della vittoria americana contro l’ISIS”,(qui lo spassoso articolo di Il Foglio)

un uomo di Bush e di Obama,  e del Deep State. Evidentemente i crudi del Rojava si sono fidati dell’alleato americano. E adesso hanno i bombardamenti turchi.

I russi, fallito quel negoziato, ne hanno  concluso un altro che la Turchia. Ankara aveva  accettato, ma mai attuato, di operare la sua parte nella “zona di de-escalation” ad Idlib nelle aree tenute da Al Qaeda: non vuole perché   Erdogan sostiene Al Qaeda in Siria, e non può perché membri di Al Qaeda hanno famiglia e amici in Turchia e possono vendicarsi se si sentono traditi. Sicché Mosca ha  ottenuto che Ankara  ceda il controllo della maggior parte di Idlib e in cambio prenda il controllo di Alfrin  (se ce la fa).  E infatti, in coincidenza con l’attacco della Turchia (che ha chiamato “Ramoscello d’Olivo”), l’armata di Damasco ha preso la base aerea di Abu Duhor nel’Est di Idlib:   così procede ad eliminare i resti di Al Qaeda e ISIS ormai chiusi in una sacca.

Non è certo una soluzione gradita al governo di Damasco, avere i turchi di Erdogan ad Alfrin. Ma  avere i crudi alleati  agli Usa in una occupazione  permanente  in tutto il nord-ovest della Siria, è ancora peggio.   L’esercito di Assad,  esaurito,  non ha più la forza di combattere anche questo nemico, e l’Iran e Mosca hanno reso chiaro che non vogliono un conflitto diretto  con la Turchia.  Non si dimentichi che Putin   ha le elezioni presidenziali fra qualche mese.  La Russia ha ritirato i suoi militari dall’area di Alfrin, lasciando  insomma fare ai turchi.

Del resto  la zona è montagnosa, i crudi sono ben armati ed addestrati, e la conquista di Erdogan non sarà né facile né senza sangue; anche se lui ha messo in linea non l’esercito  nazionale ma le milizie  Sirian Defense Forces; intanto ha già perduto due carri armati. Un missile lanciato ai curdi del PYD ha colpito la cittadina turca di confine Reyhanli, facendo un  morto e 32 feriti.

 

Il punto è che gli americani non hanno alzato un dito per difendere i “loro” curdi del “Rojava” che vengono bombardati. Anzi la portavoce del Dipartimento di Stato, sabato, ha dichiarato: “Gli Usa continuano ad essere solidali verso le legittime preoccupazioni di sicurezza della Turchia in quanto alleato NATO e partner essenziale nello sconfiggere l’ISIS”.

E Tillerson in persona, il 17 gennaio, alla Hoover Institution, ha accusato il “brutale” presidente Assad  di essere la causa dell’ascesa dell’ISIS, avendo “distrutto Aleppo” con  la “brutale campagna”  che “ha affondato la Siria in uno stato ancor più grave di disordine da cui l’emergere dello Stato Islamico”.

A che gioco gioca Tillerson? Apparentemente, la politica americana in Siria è a pezzi.  Ha tradito i curdi. E’ in rotta con Erdogan; ma i caccia che attaccano i curdi decollano dalla base USA di Incirlik.  E se fosse invece d’accordo con lui? Lo sapremo quando capiremo quanta parte di territorio siriano Erdogan si contenta di occupare.

 

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