Ricordate il titolo del Manifesto? E’ stato pochi giorni fa: “La pacchia è finita!”, ha titolato. Il quotidiano “comunista” esultava perché la Banca Centrale Europea aveva annunciato che “gli acquisti del debito pubblico saranno azzerati a dicembre”, e quindi gli interessi sul debito che la speculazione finanziaria avrebbe preteso dall’Italia sarebbero stati così alti, da far fallire il governo 5Stelle-Lega; Il Manifesto non vedeva l’ora che i “mercati” ci insegnassero a non votare per i populisti, come aveva sibilato il Kommissario Oettinger.
Proprio vero che, come insegnò Spengler, ” la sinistra fa sempre il gioco del grande capitale, a volte perfino senza saperlo”, ma per lo più sapendolo.
A dicembre! Fine del quantitative easing! I mercati all’assalto del governo!
Sembra che i comunisti pro finanza debbano aspettare. Al forum di Sintra, Mario Draghi ha assicurato che “la politica monetaria nell’area euro resterà paziente, persistente e prudente”, e ha detto ai mercati che è pronto a riprendere il quantitative easing in caso di shock improvvisi.
Insomma tutto sarà così prudente e paziente, che forse non ci sarà nemmeno un rialzo dei tassi. Salvo mi sia sfuggita una sua dichiarazione, anche Jens Wedmann, il capo della Bundesbank, non sembra più così voglioso di farci sentire il morso dei “mercati”: il tracollo incombente della Cancelliera, il netto calo del previsto aumento del Pil tedesco (da 2,6 a 1,8), la crisi che fa incombere sull’export germanico la guerra dei dazi minacciata da Trump – e l’ipotesi di un’uscita dell’Italia dall’euro, che lascerebbe la Germania con una moneta rivalutata del 30%, le condizioni ben o male occultate di Deutsche Bank, tutto questo raffredda la voglie di Weidmann ci cacciarci fuori. Tace. Ma in generale, i banchieri centrali si muovono come sulle uova. La Banca centrale americana, la FED, ha aumentato i suoi tassi dello 0,25%, ma avendo cura di telefonare tanto l’aumento, che i mercati non hanno reagito. Molta, molta prudenza.
La Fed ha il terrore di bucare la bolla dei prezzi degli attivi finanziari, mostruosamente gonfiato dai dieci anni di “stampa di moneta”;nella sua memoria storica c’è il fatale errore commesso nel 1937, quando fu precipitato di nuovo il paese nella più grande depressione, quella cominciata nel ‘29.
Nelle analisi degli esperti, aleggia un sentore di ricaduta, un presagio che il 2008 possa riprodursi nel 2018.
David Rosenberg, chief economist alla Gluskin Sheff & Associates, segnala che i rialzi azionari dei titoli tecnologici alla moda mascherano un mercato profondo stanco: i titoli mediani non tecnologici a -5 rispetto al loro picco, , i bancari a -10, le costruzioni a -25, c’è come un degrado surrettizio, l’orchestra di Wall Street ha smesso di suonare.
Ormai le grandi istituzioni ammettono che la “stampa” di moneta, l’inflazione dei bilanci delle banche centrali, non è riuscita a produrre crescita. I fiumi di capitali creati non sono andati all’economia reale, ma appunto alle bolle azionarie
In Europa, la politica monetaria della BCE, tasso sottozero, ha alimentato non l’economia reale, ma la fuga di capitali assetati di rendimenti: più la BCE comprava titoli, più i detentori dei capitali prodotti dalla BCE hanno acquistato titoli di debito estero perché permettono di lucrare tassi superiori. Beninteso non sono le famiglie ad acquistare i debiti esteri, sono i grossi capitalisti: la BCE ha dato loro a prestito miliardi, a tasso zero, per stimolare l’economia reale, e loro li usano per speculare.
Le banche USa spartiscono il bottino – prima della fine?
Il Financial Times segnala un fenomeno ancor più aberrante: le grandi banche Usa devolvono agli investitori (i loro soci amici) più capitale di quello che hanno generato con la loro attività ; lo fecero anche prima della grande crisi dei sub-prime del 2008.
“Gli azionisti di 22 della maggiori banche quotate – scrive – sono in fila, all’inizio dell’anno prossimo, per raccogliere un bottino-record di quasi 170 miliardi in dividendi e riacquisto di azioni. Analisti di Goldman Sache e Credit Suisse prevedono che la banca media avrà [dalla Fed) il permesso di devolvere più capitale di quanto siano i profitti del prossimo anno. Il piano di elargizione dà argomento ai critici, i quali sostengono invece che le banche dovrebbero rafforzare le loro riserve di capitale per scongiurare futuri salvataggi a spese del contribuente. I pagamenti sono “oltraggiosi”, denuncia Anat Admati, docente di finanza alla Stanford: per lei, alle banche troppo grosse per fallire non deve essere consentito di pagare i dividendi finché non siamo sicuro che pongono un pericolo alla società”.
Parole al vento. Questa distribuzione di dividendi sembra tanto l’ultimo saccheggio prima dell’implosione dei mercati e la vaporizzazione degli attivi, lo spartirsi dei delinquenti che lasceranno il conto da pagare ai contribuenti e ai popoli. Le banche lo fecero anche nel 2007, e l’anno dopo scoppiò la crisi dei subprime, e la recessione che ancora paghiamo.
Se i banchieri centrali camminano sulle uova, paralizzati da questo fin de partie secolare, sulla stessa linea è l’abile discorso del nostro nuovo ministro dell’economia, Giovanni Tria. Già era stato abilissimo ne l lasciarsi intervistare in una controllatissima intervista da Fubini (uno del Corriere, fanaticamente avverso al governo, molto pericoloso), sì da “tranquillizzare i mercati”: dopo l’intervista, lo spread è sceso.
Ora, nel discorso sul DEF, si è superato. Al punto che il Foglio può scrivere, esultante, che Tria ha cancellato il programma di quelle testa calde di Bagnai e Borghi: “Niente pazzie sul deficit, rispetto degli impegni europei, fedeltà al pareggio di bilancio, riduzione della spesa. Così il ministro dell’Economia spiega come si può sterilizzare con i numeri il pericoloso contratto del cambiamento”.
Un’esultanza che rischia presto di somigliare a quella che ha tradito Il Manifesto, “è finita la pacchia”: Tria è stato indicato a quel ministero da Savona e ne condivide a pieno i giudizi e l e strategie. E’ un uomo di esperienza e sa quel che i paralizzati vogliono sentirsi dire. E’ inutile provocare il mondo della finanza, la Germania e le banche centrali terrificate dalle bolle che hanno creato.
Ma non ha taciuto la strategia generale del governo: “La nostra azione in Europa deve essere volta verso una profonda riforma delle istituzioni economiche che governano l’Eurozona”, date “le gravi inadeguatezze che caratterizzano l’attuale equilibrio istituzionale europeo”. Ha detto che in Europa proporrà che le spese pubbliche per investimenti non vengano calcolate nel limite del 3 per cento del Pil.
rà anche “la condizione di forza per rivendicare non solo per l’Italia ma per tutta l’Europa una svolta e si tratta “di una svolta europea ormai matura che deve portare ad un significativo piano europeo per gli investimenti di cui l’Italia è da sempre promotrice”. “Non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa”.
Insomma Tria ha ripetuto quel che c’è scritto nel famoso contratto.
Ma in modo persistente, prudente, tranquillizzante.
Del resto, hanno parlato sia Bagnai, sia Borghi. Eccome.
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