di Giulio Sapelli *
La contrazione dell’Europa continua: non si tratta di una crisi. Il concetto di crisi è troppo legato all’universo cognitivo economico per permetterci di comprendere ciò che sta accadendo. Il pilota automatico della Bce, della Commissione Europea e del dominio tedesco sempre meno efficacemente contrastato dagli Stati Uniti, sta portando l’Europa a una sorta di restringimento dei suoi confini proprio quando, con il cosiddetto “allargamento”, pareva che essi si ampliassero. Questa sorta di raccorciamento è determinata dal mutamento di pesi e rilevanze culturali, prima ancora che economiche, che si è verificato nell’ultimo decennio. In questo indeciso contesto si cala la situazione greca. Sgombriamo il campo dagli equivoci e dai paraventi mistificatori. Tutte le nazioni europee non appartenenti al blocco germanico-nordico avrebbero già trovato una soluzione, accettando in forma mitigata le proposte di Syriza e di fatto attenuando il rischio sul debito greco, creando in tal modo precedenti favorevoli a sé stesse perché tutte hanno già avuto o avranno bisogno di un allentamento dei vincoli di Maastricht che si rivelano sempre più insostenibili. La vera partita si gioca quindi tra Grecia e Germania. La Germania come nazione. E quindi, come ci ricordava lo storico Otto Hintze, come popolo unito da comunità di destino. Se guardiamo alla storia e all’attualità di oggi, con questo concetto, viviamo la tragica dissoluzione di questa comunità di destino che aveva in sé una visione universalistica oggi perduta. E nessuno se ne cura. Ma pensiamo alla storia della cultura tedesca. Nei suoi momenti più alti è pressoché sovrapposta nella sostanza a quella greca. Cito solo qualche nome che i non incolti collocheranno nella storia dello spirito: Winckelmann, Heine, Goethe, Schiller, Hölderlin, Wagner, George, Nietzsche, Mann, Gert Mattenklott e via dicendo. E dunque, l’unità della Germania con la Grecia è consustanziale alla cultura tedesca ed è questa unità che pare oggi dimenticata, distrutta da un ordoliberalismus che dimentica addirittura le radici cristiane di quel meccanismo ideologico ed economico. Esso nasceva, infatti, nella loro mente, per non veder più sorgere i mostri della iperinflazione e del nazismo e di quello spirito demoniaco di potenza tedesca contro il quale si erano immolati. Oggi, in una tragica eterogenesi dei fini, quell’ideologia diventa strumento di potenza che annichilisce alcuni popoli in un nuovo spirito di dominio. in questi giorni, in queste ore, giungono da Atene notizie contrastanti: riunioni del governo, sostituzione sostanziale e non formale di Varoufakis. Questa sostituzione può diventare una delle chiavi di volta di una nuova possibile torsione positiva delle trattative. La presenza di una personalità come Euclid Tsakalotos, viceministro delle relazioni economiche internazionali e componente del Comitato Centrale di Syriza, segnala un più forte controllo del partito sull’insieme delle trattative che appare sempre più in bilico e ridotto di fatto a un confronto tra Germania e Grecia. Mi riferisco al piano B che viene agitato dai seguaci del ministro Wolfang Schäuble nel loro delirio punitivo luterano dove il debito equivale alla colpa e quindi si è dannati. Il famoso piano B prevederebbe che, in assenza di rifinanziamento da parte della Bce delle banche e dello Stato greco, in qualsivoglia tecnica questo si possa realizzare, la Grecia possa continuare a usare l’euro solo per gli scambi con l’estero mentre per gli scambi interni si dovrebbe dare vita a una o più monete locali. Subito rimembrano i patacones argentini, ossia unità di conto locali o provinciali o nazionali emesse sia da entità private sia dalle stesse banche che, come in Grecia, sarebbero chiuse ai depositanti che non potrebbero prelevare che poche centinaia di euro al mese, mentre ogni genere di pagamento pubblico sarebbe sospeso o fortemente diminuito, dagli stipendi alle fatture. Ma tutto questo dileggiare è frutto dell’ignoranza di chi dileggia perché dimentica che queste forme di pagamento sono tecnicamente descritte nella teoria degli intermediari finanziari e sono state largamente applicate non solo in Argentina, ma anche nel Massachusetts o in California una ventina d’anni orsono in occasione di default di quegli Stati che da soli sono ben più potenti della Grecia, che conta solo il 2% del Pil europeo. Esperienza delle monete locali o alternative che del resto è sempre più diffusa, avendo esse anche assunto, per esempio, un peso rilevante in città europee come la francese Nimes. Quindi non ci sarebbe nulla di scandaloso se strumenti simili fossero usati per un certo periodo di tempo anche in Grecia. Il problema è però tutto culturale. Quale che sia il piano che la nazione tedesca vorrà imporre alla Grecia, essa, e con essa l’Europa tutta, ha già perso la sua intima ed essenziale natura: quella di essere un’espressione organica e storica del destino europeo immaginato dai padri fondatori. L’utopia di un’Europa unita nasceva per evitare una terza guerra mondiale. La realtà di questa Europa odierna è quella di una nuova guerra economico-sociale. Guerra che, quale che sia il suo esito, exit o non exit della Grecia (o della Germania) dall’euro, è una guerra in cui non solo si addensano nubi minacciose per la situazione sociale dell’Europa tutta, ma si mette in moto una sorta di movimento sismico che sia economicamente sia politicamente non sappiamo dove ci condurrà.
*Docente di Storia delle Dottrine Economiche presso l’Università Statale di Milano.
da Il Messaggero del 30.04.2015