“Che le forze dell’ordine usino le armi una buona volta, e la si faccia finita”: lo ha detto Luc Ferry 68 anni, docente di filosofia, studioso di Immanuel Kant, è stato ministro ai tempi di Chirac. Anzi rincara: “Abbiamo la quarta armata del mondo, è capace di mettere fine a questo schifo”.
Christophe Dettinger, l’ex pugile che sabato scorso ha preso a pugni un agente che aveva lanciato una bomba lacrimogena troppo vicina sui manifestanti, è stato arrestato. Una raccolta di fondi spontanea per aiutarlo a pagare le spese legali ha raggiunto in poche ore 140 mila euro, da oltre 6600 persone, chiaramente Gilet Gialli o comunque di reddito modesto. Per contro, una raccolta di denaro a sostegno della polizia, ha raccolto 850 mila euro finora, con 31 contributori.
Credo non ci siano due episodi che meglio scolpiscano la maligna divaricazione, l’odio e la rabbia – e l’estrainetà reciproca – che divide le due France l’una contro l’altra ritte dopo il sabato di piazza, che già passa alla storia come Atto Ottavo.
“Luc Ferry merita congratulazioni perché ha detto ad alta voce quel che pensano in silenzio gli attori dello Stato maastrichtiano, i loro giornalisti ed editorialisti, i loro consulenti e i loro intellettuali, i loro economisti e lobbisti”, commenta sarcastico Michel Onfray: “sotto la crosta si scopre la vera natura di questo potere: quell’ambiente andato a male che nelle sue cene parigine disprezza la piccola gente. Emmanuel Macron, Benjamin Griveaux, Edouard Philippe, Luc Ferry, Joffrin, Bernard Henry Lévy,Quartemer [opinionista di Libé] & C., fanno il loro lavoro: tutto è ormai in ordine di marcia perché quel che segue si scriva col sangue”.
Non è il solo a annusare il sangue. “Sono tristissima a vedere come stanno girando le cose nel mio paese, la Francia”, commenta una giovane professionista, Benedicte Kibler: “un ex ministro che chiama all’omicidio, un segretario di stato che invoca “un calcio” contro gli italiani… le maschere cadono. Non c’è più ritegno. Il peggio sta arrivando”.
L’allusione è al segretario di Stato per l’Europa, tale Lemoyne, che contro il sostegno espresso da Di Maio ai Gilet Gialli ha sibilato di voler fare “come Zinédine Zidane, regolare la cosa a testate”.
“È terribile vedere queste persone rivelare la loro vera natura, la loro violenza, il loro settarismo, la loro sete di privilegi, il loro disprezzo per l’interesse generale, l’impostura della loro posizione intellettuale”, chiosa” Jean-Pierre Salmona, un cardiologo.
Marlène Schiappa, giovane segretaria di Stato ai Diritti della Donna, femminista, progressista, che ama proporsi con procaci scollature, ha ordinato la chiusura della raccolta di fondi a favore del pugile, e ovviamente è stata sepolta sui social da insulti, minacce di morte, di stupro, inviti a suicidarsi.
Mentre incidenti e scontri dei manifestanti con la polizia si accendono qua e là anche nei giorni feriali, si moltiplicano – denuncia Le Monde totalmente schierato contro i Gilet – “vandalismi, lettere di insulti, intrusioni nelle rappresentanze e domicili” dei deputati del partito di Macron, per lo più giovani europeisti della Erasmus Generation, spaventati e disorientati.
Il Gran Dibattito Nazionale – che terrorizza i ministri
In questo clima, Macron ha avuto l’idea di calmare la collera e la rivolta annunciando il lancio del “grande dibattito nazionale”, “una riflessione profonda e condivisa” che dovrebbe cominciare il 15 gennaio. In tutta la Francia, i cittadini avranno la parola per tre mesi, per proporre come riformare lo Stato, la democrazia, la fiscalità, la transizione ecologica (sic).
E’ in qualche modo la riedizione post-moderna dei “cahiers de doléance”, i quaderni delle lamentele che furono raccolti per mesi tra la popolazione nel 1789, in previsione dell’elezione degli Stati Generali, e che ebbero parte essenziale nel formare nel popolo una coscienza rivoluzionaria.
Proprio per questo l’iniziativa ha sparso sgomento e inquietudine nei ranghi ministeriali. “Ci vogliono sei mesi per organizzare tali dibattiti, è rischiosissimo!”, ha confidato un ministro (anonimo) a France 2. “Si apre un vaso di Pandora”, sussurra un deputato macroniano. Edouard Philippe (il primo ministro) e Bruno Le Maire (economia) vorrebbero il dibattito chiuso e limitato ad argomenti precisi. Effettivamente il governo ha fissato quattro temi, il cui tono paternalistico non sfuggirà:
“Per meglio accompagnare i francesi ad abitare, spostarsi, riscaldarsi”. “Rendere la nostra fiscalità più giusta, più efficace e più competitiva”. “Fare evolvere la pratica della democrazia”, “rendere lo Stato e i servizi pubblici più vicini ai francesi e più efficaci”. S’intende, senza mettere in discussione le grandi “conquiste della libertà” della Erasmus Generation: “Pena di morte, diritto all’IVG (all’aborto) e unioni civili (LGBT) non saranno sul tavolo”, ha dichiarato in anticipo il portavoce del governo Benjamin Griveaux.
Altra incognita, i 36 mila sindaci a cui è affidata la realizzazione concreta del “gran dibattito”. Francois Baroin, il capo della Associazione dei Sindaci di Francia (AMF) ha suggerito discretamente ai sindaci di “non incoraggiare i dibattiti”. Il gran timore di Macron in persona è che il popolo reclami la reintroduzione dell’imposta sulla grandi fortune, una delle richieste roventi dei Gilet Gialli, e che lui ha cara perché convinto che grazie alle esenzioni, “personalità con grandi fortune” verranno a stabilirsi in Francia e ad investire.
Ciò dà l’idea di quanto siano vecchie e superate le idee e il sistema che i signori cercano di salvare, il globalismo liberista e l’austerità dei bilanci secondo Maastricht, sotto i colpi di maglio rivoluzionari.
“Perché”, spiega Arnaud Benedetti, accademico di storia, la rivolta dei Gilet Gialli nasce dalla ferita non cicatrizzata del referendum del 2005”, quando i francesi votarono no al trattato di Maastricht che è stato imposto loro, “e il referendum lacerato”. Assistiamo, dice, a “un ritirarsi spettacolare ed inquietante dall’adesione al quadro del ‘legale razionale’ “ da parte dei rivoltosi, “che provoca dall’altra parte una reazione, una sorta di neo-reazionari che cementa in un irrepressibile movimento di autodifesa le forze politiche, intellettuali, amministrative, economiche aggrappate alla salvaguardia della loro posizione. Da una parte e dall’altra, si sta passando agli estremi”.
Karine Bechet-Golovko, la commentatrice franco-russa per Russia Today, accosta l’iniziativa di Macron ai “Cento Fiori di Mao”, quando il dittatore cinese proclamò che avrebbe accettato nuove idee dal basso: “Lasciate cento fiori fiorire, cento scuole di pensiero comporsi”, e finì con la fame, le stragi e i lager per i diplomati della Rivoluzione Culturale. L’idea di Macron è di inscenare una finzione e non cambiare niente. I Gilet Gialli chiedono : 1) un calo significativo di tutte le tasse e imposte sui generi di prima necessità; 2) L’introduzione del Referendum d’Iniziativa Cittadina su ogni materia (il che comporta la modifica della Costituzione); 3) un taglio a tutte le rendite salari, privilegi e pensioni degli eletti e degli alti dirigenti dello Stato”. Insomma vera rivoluzione, tutto il potere al popolo.
Il risultato, preconizza Bechet-Golovko, sarà per la Francia un “tempo dei Torbidi” simile al disordine sanguinoso che attraversò la Russia all’inizio del ‘600. E vede il primo indizio nella scelta da parte di Macron della persona cui far gestire il grande dibattito nazionale sanitizzandolo: la senatrice Chantal Jouanno. Che ha dovuto dimettersi fra insulti e minacce appena s’è saputo che per questo compito, riceve uno stipendio di 14.709 euro mensili – praticamente ciò che un Gilet Giallo spera di guadagnare in un anno.
Che dire? Invidio la nettezza delle posizioni in Francia: i ministri “progressisti” e “democratici” che vogliono chiamare l’esercito a sparare sulla folla rivelandosi della stessa pasta dei più retrivi ed ottusi nobili dell’Ancien Régime, palesemente non sentendo come concittadini e compatrioti questi rivoltosi che li disturbano; i rivoltosi che si battono contro i parassiti pubblici e i loro grossi stipendi, sempre più incattiviti e determinati. La linea di conflitto qui è chiara, limpida. In Italia, la “linea” è sul far entrare 47 negri portatici qui da scafisti tedeschi, in una rissa e confusione demenziale, false lacrime di pietà, sconfitta sui principi su cui si doveva tener duro. La prossima volta gli scafisti tedeschi porteranno seicento negri, e li accoglieremo. Dimenticato il punto centrale: il conflitto è fra quelli che i soldi allo Stato li prendono, ed opprimono e taglieggiano tutti quelli che i soldi allo Stato li danno.