DUE PAROLE INTORNO AL VENEZUELA
Da quando è esplosa la crisi venezuelana nei media si sente ripetere, spesso con malcelato riferimento interno alle politiche dell’attuale nostro governo, che la causa della rivolta contro Maduro sarebbe l’alta inflazione ingenerata dalle politiche socialiste del suo regime. Ci si ripete, in sostanza, che qualsiasi politica dirigista, socialista o anche soltanto sociale genera ipso facto inflazione, quindi fuga degli investimenti, deprezzamento dei redditi, fame e povertà. Un “caveat” per gli europei: attenti a come voterete a maggio perché se vincono i populisti farete la fine dei venezuelani.
I media fanno propaganda alla tesi fondomonetarista, più volte smentita dai fatti, per la quale l’iperinflazione, come quella che sta attualmente affossando l’economia venezuelana, sia automaticamente da imputarsi all’eccesso di stampa di moneta da parte della Banca Centrale “senza copertura reale”. E’ almeno dal 1971 che le monete attuali non hanno più alcuna copertura reale, ma non per questo esse hanno perso potere d’acquisto, ma questo particolare è puntualmente taciuto dai media così solerti a presentare l’austerità liberista come unica possibile politica economica. Questa narrazione mediatica – ed è questo l’incredibile – continua imperterrita a tener banco nonostante che proprio l’UE ha conosciuto gli esiti catastrofici della deflazione imposta quale presunta cura per la crisi con il solo risultato di distruggere l’economia degli Stati più deboli, come la Grecia, e di impoverire ancora di più i ceti meno abbienti.
La lettura dell’inflazione come fenomeno monetario è strumentale agli interessi di chi controlla il denaro ed ha il suo vantaggio nell’accumularlo cercando di aumentarne il valore attraverso il contenimento o la distruzione della domanda dei beni, che si ottiene, appunto, rarificando la moneta in circolazione, ossia attraverso politiche d’austerità sul fronte della spesa pubblica e la riduzione salariale sul fronte delle relazioni industriali.
In realtà, l’inflazione tecnicamente è un aumento incontrollato dei prezzi che si registra quando alla domanda di beni non corrisponde un’offerta adeguata. L’inflazione può manifestarsi tanto quando la domanda è elevata, per effetto dell’aumento dei redditi della popolazione, tanto quando essa non aumenta ma, nell’uno e nell’altro caso, crolla la produzione dei beni per fattori non monetari. Come è accaduto, per l’appunto, in Venezuela, dove la produzione industriale – per gli errori di Maduro – è crollata, facendo aumentare i prezzi dei pochi beni a disposizione. Da qui l’inflazione. Essa vi sarebbe manifestata egualmente anche se la base monetaria fosse rimasta quantitativamente invariata. L’immissione di moneta, da parte della Banca Centrale Venezuelana, in una situazione come questa, ha certamente contribuito all’inflazione ma non perché la moneta in eccesso perde valore, come una qualsiasi merce – infatti la moneta non è merce –, ma perché la sua ampia disponibilità spinge verso l’alto la domanda la quale, però, non trova una corrispondente offerta sufficiente a soddisfarla.
Inflazione a parte, intorno al Venezuela chavista si sta giocando una partita geopolitica immonda. Gaudí, l’avversario di Maduro, è un esponente della massoneria venezuelana ben collegato con gli interessi nord-americani. Tutto lo spellarsi le mani degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, di Trump come di Merkel e Macron, di Berlusconi, Salvini e Meloni come pure di Renzi, Calenda e Zingaretti, nel sostenerlo facendone il paladino della libertà e della democrazia – contemporaneamente oscurando l’appoggio che metà del popolo venezuelano continua a dare a Maduro – nasconde un particolare, emerso di recente, ma tacitato dai nostri media. In Venezuela sono stati scoperti ingenti giacimenti di coltan (la cosiddetta columbite-tantalite composta da una miscela di due minerali della classe degli ossidi assolutamente rari nella loro giusta combinazione) che è il minerale essenziale per i nostri sistemi informatici – si tratta di un superconduttore elettromagnetico presente nei nostri cellulari e computer – e, quindi, per l’economia 3.0 zero dell’Occidente.
La scoperta del coltan spiega molte cose circa gli avvenimenti venezuelani e tuttavia, da sola, non giustifica il fatto che le manovre americano-occidentali nel Paese caraibico abbiamo, purtroppo, trovato terreno fertile a causa dei pacchiani errori del dopo Chavez. Perché se un problema hanno i regimi dirigisti è che essi funzionano bene fino a quando il leader resta con i piedi per terra e non si monta la testa sfociando nel culto della personalità o venga sostituito da un qualche delfino narcisista e meno capace. Come, probabilmente, è accaduto in Venezuela nel passaggio da Chavez a Maduro. Infatti, è innegabile – anche perché a dirlo sono proprio i tecnici che con Chavez avevano effettuato con intelligenza le nazionalizzazioni, poi estromessi da Maduro – che il Venezuela ha letteralmente dissipato l’altra tradizionale ricchezza naturale di cui dispone ossia il petrolio.
Con onestà intellettuale, è necessario ammettere che la degenerazione della rivoluzione chavista è iniziata dal modo tecnicamente incompetente con cui è stata gestita la nazionalizzazione dell’industria petrolifera – licenziando il fior fiore delle competenze tecniche per sostituirle con incapaci politicamente fidati – senza usarne i proventi per lo sviluppo industriale del Paese, ma, con Maduro, per sostenere i suoi sostenitori politici, e dal modo sciagurato con il quale alla sacrosanta riforma agraria anti-latifondista ha fatto seguito una riorganizzazione agricola con affitto delle terre nazionalizzate a cooperative contadine prive, per mancanza di formazione aziendale, di ogni capacità di conduzione intelligente della produzione agraria. Le riforme sono state gestite ideologicamente senza preoccuparsi delle necessarie competenze tecniche votate al buon successo di esse.
Giuseppe Angiuli – che, attenzione!, non è un trumpista, un bushista, un filoamericano ma, al contrario, si dichiara estimatore della fase iniziale della rivoluzione chavista – ha così spiegato la degenerazione maduriana dello chavismo: «È grave che, anziché intendere il processo politico bolivariano come un inedito cantiere e laboratorio di una nuova forma di socialismo all’insegna dell’umanesimo cristiano, del rilancio di una sana idea di patria e del concetto di sovranità dei popoli del sud del mondo – com’era probabilmente nelle intenzioni del “Comandante” Hugo Chavez – i gruppi e gruppuscoli settari di quel poco che residua dell’estrema sinistra vetero marxista-leninista ancora attivi in Europa abbiano stretto il Venezuela bolivariano in un abbraccio asfissiante, realizzando un’inaccettabile distorsione dei suoi principi ispiratori e così impedendo alla radice ogni possibile approccio in termini di apertura e curiosità positiva da parte dei popoli europei. E così, laddove il socialismo venezuelano avrebbe potuto contaminare anche i popoli europei dei suoi giusti principi ispiratori, tanto necessari in un continente, come il nostro, interamente assoggettato al disegno neo-oligarchico materializzatosi attorno alle istituzioni anti-democratiche della Ue, i gruppuscoli estremistici della sinistra radicale europea hanno impropriamente inteso il chavismo come una semplice riedizione del comunismo novecentesco, riproponendone tutti i clamorosi errori ideologici, con tutto il corredo di illusioni utopistiche e di interpretazioni dogmatiche a ciò connesse» (1).
In altre parole, appare sempre più evidente che la polarizzazione della geopolitica mondiale si vada componendo intorno al conflitto tra un radicalismo di sinistra terzomondista ed un radicalismo di destra liberista e occidentalista. Il primo ripete tutti gli errori propri dell’infantilismo demagogico: dall’antimperialismo inteso come indigenismo anticattolico all’ecologismo panteistico stile “Gaia” fino al pauperismo scialacquatore delle ricchezze nazionali. Il secondo, approfittando degli errori dell’antagonista, ripropone, facendolo impropriamente passare come realismo politico e difesa delle libertà democratiche, lo sfruttamento del capitale multinazionale, la divaricazione sociale, il potere del denaro, la subordinazione dello Stato all’economia di mercato, il totale laissez faire e la svendita della patria al domino coloniale.
In uno scenario come questo non si vede all’orizzonte una proposta alternativa capace di mettere insieme identità religiosa, identità nazionale, Stato ed economia sociale. Una proposta che dovrebbe trovare formulazione qui, da noi, in Europa se non fosse per il fatto che i movimenti sovranisti corrono dietro all’anti-migrazionismo o al no tav mentre le Chiese cristiane apostoliche non hanno ormai alcun peso politico e non riescono neanche ad arginare, sul piano etico, la deriva trans-umanista.
Luigi Copertino
NOTE
- Giuseppe Angiuli “La triste parabola del socialismo bolivariano” 24 Gennaio 2019 in www.lintellettualedissidente.it .