Riflessione sull’incattivimento generale. C’entra anche la pubblicità.

Qualche giorno a Heather Parisi domandava perché quando torna in Italia, la trova sempre più incattivita “e sempre più affetta da una sindrome di accerchiamento”.  Ho mancato di far notare che anche la società americana  è polarizzata come mai nella  storia; ogni tweet di Trump fa sbavare di rabbia ed urlare d’indignazione l’elettorato democratico;  coloro che hanno votato “The Donald” non sopportano le tv “liberal”, in cui vedono con rabbia solo un ammasso di menzogne deliberate.    Non pochi politologi  cominciano a paventare che una simile inimicizia sociale non s’era mai vista, se non prima della Guerra Civile.  Semplicemente – e cosa terribile – metà dell’America non riconosce la legittimità dell’attuale presidente.

Ma non solo Donald. “Prendete un argomento, qualsiasi argomento – aborto, eutanasia, riforma del welfare, intervento militare nei Balcani – e iniziate la discussione  con un gruppo di persone ragionevoli, educate e colte – e osservate il risultato: caos, e gara di urli.  Subito si formano due linee, e ciascuno corre a prendere la sua parte.  Ma prendendo parte, ciascuno di rende incapace di ascoltare gli altri“- dice un testo di un filosofo americano, che consiglio:

https://ecommons.udayton.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1064&context=rel_fac_pu

Rifiuto reciproco di legittimità

Ma non è lo stesso anche in Francia?   Non solo i Gilet Gialli, ma quasi metà dei francesi  hanno il più profondo e rabbioso disprezzo per Macron, “Jupiter”, della  sua personalità, della legittimità del suo potere; dall’altra parte dell’oligarchia privilegiata, un mite studioso di Kant incita l’esercito a sparare contro quei concittadini…come fossero nemici mortali.

Qui da noi, i progressisti su twitter  vogliono sparare a Salvini,  lo minacciano di appenderlo a piazzale Loreto;  anche qui una parte nega la legittimità di esistere politicamente all’altra.

Nel Regno Unito, la polarizzazione fra chi ha votato Brexit e chi vuole restare in Europa  sta diventando quasi scontro con manifestazioni di piazza. Dappertutto sorgono “populismi” e partiti populisti,   ai quali la classe di potere e di Sistema non riconosce legittimità democratica: sono fascismi, sono “lebbra” sovranista,  non hanno  diritto ad esistere.

Le cause generali di questo non sono per niente misteriose: la marcescenza del neocapitalismo globale che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri,  la precarietà  del lavoro,   la  natura “terminale”  del capitalismo finanziario come di una Unione Europea  che si proclama custode di moralità e democrazia e non riconosce d’essere diventata una oligarchia dispotica ed arbitraria dei forti contro gli Stati deboli.  Rabbia dal basso  e cattiveria  spietata dall’alto sono –  o anche l’inverso – denunciano la comune prigionia in un sistema radicalmente sbagliato e giunto al capolinea, ma che non si vuole cambiare.

A  queste cause generali  Philippe Grasset (l’analista-filosofo di Dedefensa),   chinandosi sul “furore  collettivo”  che muove in Francia  da mesi, sulla “colère” sulla “amertume”  che esprimono i Gilet Gialli (la Francia periferica) ma anche i “colorati”  delle banlieues in guerra civile permanente con la polizia,  sul  motivo di tanta rabbiosa  incattivimento,  ne  aggiunge un’altra: la pubblicità.

Pubblicità?  Già. La pubblicità  esprime una straordinaria ideologizzazione a favore del Sistema. Molto più efficace  nell’imbevere la gente dell’ideologia del Sistema –  edonismo, trasgressione conformista ed approvata, consumismo, “modernità”  – immensamente più  di quanto siano i media e  la stampa, i tecnocrati, gli economisti, gli “esperti” della globalizzazione. Quelli, in fondo, pochi li leggono o ascoltano. Ma  la pubblicità  è continua, incessante,  onnipervasiva; vi siamo  pienamente immersi ; ed essa “ha il vantaggio di poter pretendere di agire al di fuori di ogni ideologia, di ogni scopo politico”, ma solo di vendere e far comprare. “La pubblicità non affronta  mai direttamente l’argomento politico in favore del Sistema, anche se lo esprime massicciamente, con forsennata ideologizzazione”:  la felicità come consumo, il  prestigio acquistabile con oggetti, la trasgressività conformista, la sensualità  promossa e legittimata, edonismo permissivo.

“Enormemente presente in tutto il sistema di comunicazione e specie nella televisione, corrotta e corruttrice e riconosciuta come tale,  è enormemente ripetitiva:  senza  che nessuno si indigni o protesti”.

Ciò  perché  “il pubblico non domandava che di essere condizionato.  La pub non imponeva un mondo al suo pubblico, essa anticipava il mondo di cui il pubblico voleva  far parte”.

Non è sempre stato così. Philippe Grasset, che da giovanissimo è stato per qualche tempo copywrither in una delle grandi agenzie pubblicitarie francesi, ricorda che  fino ai primi anni ’60,   non c’era  la pubblicità; c’era la Réclame:  cosa essenzialmente modesta, per nulla invasiva, confinata in qualche colonnina di giornale o di manifesto di modeste dimensioni.  Solo verso gli anni ’60 “si passa  veramente dalla réclame alla pubblicità,  ossia da una attività d’influenza statica e convenzionale a  una attività d’influenza dinamica e modernista”,    “creativa” e seducente, con pretese di arte espressiva: adotta tutti i trucchi  e le seduzioni del cinema, vi partecipano grandi registi,  paesaggi tropicali e favolosi, donne di sogno … e il “sogno americano” come  sfondo e come modello del benessere nuovo e diffuso.  Basta ricordare l’Uomo Marlboro come modello di virilità.

Il punto è che, allora,  la gente pensava  che  di quel mondo di confort  e bellezza, avrebbe fatto parte. Erano tempi “di salari in aumento, prospettive di miglioramento  e bassa disoccupazione;  tempi di vacanze esotiche (Club Mediterranéee), di nuove auto”…

Ed oggi? Oggi la pubblicità è diventata ancora più potente e seducente, più oltraggiosa ed eccessiva, più pseudo-trasgressiva, più evocatrice di lussi e sensualità eccessivi , di  messaggio che tutto è permesso per la felicità vostra  – ma è il  pubblico che è cambiato. Sono cambiate le sue condizioni sociali, cadute le sue speranze di entrare nel mondo lussuoso dipinto dalla pubblicità.

“L’ideologia  che trasmetteva la pub, che esist

La pubblicità non era ideologica  ed era confinata  in spazi definiti .   Si chiamava réclame.

eva già  ma allora era in consonanza con lo spirito pubblico – oggi viene sentita”  come falsissima, peggio: “Come insopportabile aggressione, una pressione spietata, se non una costrizione carceraria dello spirito”. Basti pensare alle immagini di Oliviero Toscani, esorbitanti  nella loro arroganza, fino ad essere insopportabili e controproducenti allo scopo pubblicitario.

Oggi l’iper-pubblicità  full immersion, che non permette a nessuno di sottrarvici, mostra  apertamente “la “linea” spietatata” dell’ideologia imposta: in essa si vede che “la forma ideologizzata precede la  specificità del contenuto,  il contenuto stesso”.

Ideologismo  esibito, anzi  sputato in faccia.

La pubblicità non ha cambiato  la sua ideologia.  Ma non s’è accorta che è il pubblico ad essere cambiato, completamente:  un pubblico che oggi vive nell’ineguaglianza tremenda, nell’impoverimento generalizzato, dove “la gente povera diventa sempre più povera  nel mezzo di un mondo di caos che sembra precipitarsi verso la propria auto-distruzione”  –   l’invasività ossessiva della comunicazione pubblicitaria non fa che “aggravare i sentimenti di frustrazione e umiliazione del pubblico: esso la riconosce per  quello che era, un veicolo assolutamente al servizio del Sistema fino a proclamarne la sua ideologizzazione costante – essa finisce per non rendere possibile che un solo sbocco  per la situazione  estrema  della vita quotidiana: la rivolta  – e una rivolta presto divenuta politica perché lotta contro una ideologizzazione”.

Gilet Gialli sono questo. Umiliati e offesi.

Da cui in Francia la “colère” dei Gilet Gialli  ma anche il vandalismo  dei  casseurs, nichilista ed anarchico,  in Italia l’incattivimento e l’aggressività  generale, la rabbiosa polarizzazione americana.

Probabilmente a molto di voi la denuncia  può sembrare eccessiva o unilaterale.  Ma   io stesso ho vissuto nel tempo in cui la modesta ed onesta  réclame è diventata seduttiva e invasiva pubblicità.  Sono diventato praticante giornalista  negli anni ’60  alla Domenica del Corriere ed ho visto e vissuto da dentro la metamorfosi.  Era un settimanale popolare illustrato fondato nel 1899,   aveva raccontato le due guerre mondiali, le gioie e i dolori nazionali, pubblicava ricette economiche di cucina, e consigli per le pensioni e tasse. Vendeva un milione di copie – ma non aveva quasi pubblicità.

Aveva solo qualche colonnino di réclame, e questo non rendeva agli editori. Poco male, se si pensa che costava pochissimo: per  un decennio l’aveva confezionato nientemeno che Dino Buzzati, praticamente da solo, con   precisione,  dedizione   passione e il suo inconfondibile linguaggio  e stile.

Quando io chiesi di essere assunto lì da praticante, gli editori avevano affidato la Domenica a un nuovo direttore, Guglielmo Zucconi, con il preciso mandato:  attrarre la pubblicità moderna, quella modernista e pervasiva, che paga(va) intere pagine  a  colori  e non micragnosi colonnini  di inserzioni. Le agenzie di pubblicità ovviamente diedero consigli e direttive.

Così ho visto coi miei occhi un settimanale cambiare non per piacere al pubblico, ma ai pubblicitari. Il dimezzamento rapido delle copie vendute non allarmò  la direzione,  convinta che sarebbe stato più che compensato dagli introiti pubblicitari in aumento. Così la Domenica, con le sue copertine disegnate, fu tramutata in un  rotocalco “come gli altri”; riempita d  giornalisti nuovi (fra cui io)  –  è durata  più o meno un altro decennio – svuotata del suo carattere storico  perché “l’italiano”  si sentiva “moderno” e  quello era il domenicale “delle nonne”, degli abiti rivoltati, dei calzini rattoppati.  Infine, fu  chiusa perché in perdita.

La “modernità” passa di moda.

Adesso le  annate si vendono come cimeli di modernariato.

Voglio dire: voi “giovani” (non tanto giovani:  basta siate nati dopo il 1960) non avete mai conosciuto quel mondo senza invasione pubblicitaria, il mondo della réclame, dove la tv (unica e di Stato)  aveva confinato  la pochissima pubblicità al siparietto  di Carosello.  Noi vecchi possiamo misurare adesso  fino a che la sua seduzione invasiva, la sua ideologia implicita e onnipresente ad incitamento della “felicità” come acquisto e sesso e orologi “i prestigio”, ci ha tutti deformato spiritualmente – abbassati, e rinchiusi nel Regno della Quantità come in una prigione senza  sbarre, ma senza uscita.