Un ebreo con la bava alla bocca ha aggredito l’ambasciatore polacco in Israele E’ accaduto a Tel Aviv martedì. L’ambasciatore , Marek Magierowski, era fuori all’ambasciata quando è stato attaccato “fisicamente e verbalmente” da un tizio; sopraffatto dalla sorpresa, non è riuscito a capire le parole dell’aggressore, a parte la ripetuta apostrofe “Polacco Polacco”. Più precisamente, come ammetterà dopo la polizia, l’energumeno “si è avvicinato al veicolo dell’ambasciatore polacco in Israele, ha aperto la porta e ha sputato (contro di lui)” – sputare contro i goym, per disprezzo ed odio, è una abitudine che gli stranieri – e specie i religiosi cristiani – conoscono bene.
Il colpevole, presto identificato, è Arik Lederman, un architetto molto noto. L’avvocato del sospettato ha detto ai giornalisti che il suo cliente “era stato allontanato dall’ambasciata polacca martedì dopo aver cercato di informarsi sulla restituzione”.
Ahimé, la Restituzione. Gli ebrei pretendono dallo Stato polacco decine di miliardi come “restituzione” dei beni che furono loro tolti durante l’occupazione nazista della Polonia; e la nota lobby ha messo in atto tutta una campagna internazionale per dire che i polacchi furono all’atto pratico complici della Shoah – a tal punto che il governo di Varsavia ha dovuto emanare una legge che vieta questo tipo di insinuazione come un delitto penale. In compenso la nota lobby ha fatto varare dal Congresso Usa una legge – il JUST Act del 2017 – che impegna il Dipartimento di Stato a “riferire al Congresso sui progressi dei governi europei nel fornire restituzione e risarcimento ai sopravvissuti dell’Olocausto che persero le loro proprietà durante la guerra”. L’ambasciatrice USA in Polonia, Gerogette Mosbacher (j) assilla e minaccia il governo polacco perché “restituisca”. Un’attenzione speciale della campagna è dedicata alla Chiesa cattolica polacca, con articoli (pubblicati ad esempio sul New York Times) sulla presunta pedofilia dei sacerdoti della Polonia: secondo il giornale americano, tra il 1990 e il 2018, 382 preti hanno abusato di 625 bambini. Come negli Stati Uniti, l’opera di avvicinare le vittime e farle ricordare degli abusi che avrebbero ricevuto negli anni dell’adolescenza, è organizzata da un’associazione “Non aver paura”, i cui avvocati sono “di una nazione che non posso nominare e perché sarei attaccato da tutte le parti”; come s’è lasciato sfuggire il vescovo di Tarnow, Andrzej Jez, durante il sermone pasquale. Secondo lui questa “nazione” è al centro della campagna diffamatoria contro la Chiesa. Ovviamente il vescovo è stato attaccato da tutte le parti.
Siccome l’appetito vien mangiando, via via che la campagna mondiale anti-polacca diventa più vocale e aggressiva, anche le pretese della restituzione crescono al diapason. Da ultimo anche una pari inglese – ma ebrea – la “baronessa” Ruth Deech (nata Fraenkel) è intervenuta con modi non proprio aristocratici, urlando che “la Polonia occupa abusivamente le proprietà di tre milioni di vittime dell’Olocausto – ed è la più colpevole perché, unico paese dell’Europa moderna, si rifiuta di istituire un sistema di risarcimento”.
Il tono, e il verbo usato per indicare l’occupazione di beni ebraici (“squatting”) è volontariamente offensivo.
Ciò, ha strillato la Frankel, “è un ulteriore esempio dell’atteggiamento sprezzante della Polonia verso lo stato di diritto e gli obblighi europei”, aggiungendo: “Il Parlamento europeo, il Congresso degli Stati Uniti e i parlamentari britannici hanno sollecitato la Polonia a fare giustizia, finora senza risultati”. Elenco molti istruttivo degli enti e potenze che questi hanno scatenato contro la Polonia da cui pretendono non solo case e terreni (ormai da 50 anni abitati da polacchi), ma quadri, opere d’arte, gioielli, di tutto. Adesso nella loro voglia di rivalsa (e di soldi) sono arrivate a sputare sull’ambasciatore del paese nemico. In attesa della prossima puntata.
Un false flag è abortito?
Lo sputo all’ambasciatore ha ovviamente provocato una protesta da parte del governo di Varsavia. Il capo del governo ha convocato l’ambasciatrice israeliana a Varsavia, Anna Azari, alla quale ha detto che “la Polonia condanna con forza questa aggressione xenofoba. La violenza contro i diplomatici o qualsiasi altro cittadino non deve essere mai tollerata”.
L’episodio va probabilmente inserito nell’atmosfera di delirio collettivo che la comunità degli eletti prova, adesso che ritiene vicina la guerra all’Iran.
Domenica scorsa – mentre gli Usa mandavano la portaerei e bombardieri strategici a minacciare l’Iran – nel Golfo persico sono avvenuti strani incidenti che hanno l’aria di un “false flag” abortito. Quattro petroliere sono state vittime di un “sabotaggio” mentre navigavano verso il Golfo Persico vicino a Fujairah, uno dei sette emirati che compongono gli Emirati Arabi Uniti (EAU), che si trova appena fuori dallo Stretto di Hormuz. Il governo di Fujairah inizialmente ha negato che qualsiasi “sabotaggio” abbia avuto luogo e ha sostenuto che le sue strutture portuali funzionavano normalmente – smentendo l’ iraniano PressTV e il libanese Mayadeen che avevano riferito delle “esplosioni” su navi non identificate nell’area.
Il ministero degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti ha successivamente confermato un incidente nell’area ma ha affermato che non si sono verificati feriti o sversamenti e in particolare non ha fornito dettagli sul numero o nazionalità delle navi coinvolte né sui gruppi responsabili del presunto attacco.
Passano ore, e l’Arabia Saudita ha finalmente affermato che le sue petroliere erano state colpite da tale atto di “sabotaggio” e che le petroliere prese di mira si stavano avvicinando allo Stretto di Hormuz sulla rotta per caricare il petrolio destinato agli Stati Uniti. L’Arabia Saudita, come gli Emirati Arabi Uniti, non ha tuttavia incolpato alcun paese per l’attacco. Una petroliera registrata in Norvegia ha subito danni allo scafo dopo aver colpito “un oggetto sconosciuto”, suggerendo potenzialmente che l’attacco è stato causato da un’esplosione di una mina. In particolare, gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia hanno tenuto un ” esercitazione anti- mine ” nel Golfo Persico lo scorso mese e le notizie dei media occidentali hanno caratterizzato le mine di mare come ” attivo militare preferito dell’Iran “.
Mentre gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita non hanno incolpato alcun paese per l’attacco, gli Stati Uniti sono stati i primi a dare la colpa dopo che un gruppo di investigatori militari statunitensi ha affermato lunedì che i delegati iraniani o sostenuti dall’Iran erano responsabili. Tuttavia, altri funzionari statunitensi hanno dichiarato al New York Times che, mentre sospettavano il coinvolgimento dell’Iran, “non ci sono ancora prove definitive che colleghino l’Iran agli attacchi denunciati”. Alla domanda su questa conclusione a cui sono arrivati solo gli Stati Uniti, Il presidente Trump ha detto ai giornalisti che “sarà un grave problema per l’Iran se dovesse accadere qualcosa”. L’Iran ha respinto ogni responsabilità per l’attacco e il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Abbas Mousavi, ha messo in guardia contro una “cospirazione orchestrata dai malvagi” e “l’avventurismo degli stranieri”.
“Israele è dalla parte di Dio”
Data questa strana sospensione, si può capire che un clima di tensione e di attesa febbrile e fanatica abbia colto, come “état d’esprit collettivo”, la parte messianica del popolo eletto. Domenica l’ambasciatore americano in Israele, David Friedman (j ovviamente), festeggiando l’anniversario dello spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, ha proclamato: Israele diventa ogni giorno più forte. Per due ragioni. In primo luogo, ha detto, il rapporto tra i due paesi stava crescendo “sempre più forte e forte”. “E il secondo è che Israele ha un’arma segreta che non hanno troppi paesi – “Israele è dalla parte di Dio, e non lo sottovalutiamo”.
David Friedman , l’ambasciatore USA in Sion, fa la sua dichiarazione sotto lo sguardo compiaciuto di Bibi.