Angela Merkel non lascerà il potere fino alle elezioni del 2017. Si trema all’idea dei danni che può fare in tanto tempo. Ricordate? Solo pochi mesi fa la sua Germania era fortemente unita, era quella dei record dell’export, che scoppia di salute (anche troppo: l’8% di attivo di bilancio sul Pil è fatto a spese dei soci UE in deficit), Berlino che comanda a bacchetta alla UE e alla BCE, che salva le sue banche affossando la Grecia e imponendo a tutti la sua visione callidamente nazionale: nessuna solidarietà, i soldi ce li teniamo tutti, e voi fate i compiti a casa – piaceva moltissimo ai tedeschi. Adesso, ecco il risultato : “1) la Germania è spaccata, 2) l’Europa nel caos e 3) la UE indebolita come non mai”, sunteggia il DWN.
L’afflusso incontrollato di immigranti, ha documentato il capo dei servizi Hans-Georg Maassen, ha fatto crescere il fronte del rifiuto (“l’estremismo di destra”, ha detto lui) che può diventare una forza politica incontrollabile appena si producesse un attentato islamista, sempre più probabile (“siamo ormai ben oltre 8.300 salafiti in Germania, il 70 per cento dei migranti non ha un passaporto”, e il 30 per cento si rendono irreperibili). Si cominciano ad incendiare i centri di ricovero, le giovani tedesche hanno paura a salire sui treni. In realtà, la spaccatura coinvolge la stessa area di governo di Merkel, con la democrazia cristiana bavarese contro, la stesso suo partito diviso e per metà in rivolta.
Anche nell’area di più diretta egemonia tedesca, il prestigio di Berlino è sottozero: Vienna ha chiuso i confini del Brennero e sospeso Schengen, sorda alle minacce e implorazioni tedesche (e di Bruxelles), dopo aver scoperto “il doppio gioco della Germania”: di nascosto, gli rimandava indietro migliaia di rifugiati economici a cui non aveva concesso asilo (fra cui quasi quattromila marocchini, algerini ed egiziani autori di furti e palpeggiamenti nei treni: “Non è più possibile mandare i figli a scuola sui treni locali”, dicono a Linz): “Non siamo la sala d’aspetto”, ha detto il cancelliere austriaco: se non ci si può fidare fra “noi” che ci parliamo in buon tedesco, figurarsi gli altri. Non è nemmeno il caso di menzionare l’insubordinazione dei paesi dell’Est, Ungheria, Polonia, Slovacchia. Mentre Merkel rimproverava e minacciava Orban perché alzava reticolati, ad alzare il muro sono state Svezia e Danimarca, sopraffatte dall’onddesche (e di Bruxelles), dopo aver scoperto “il doppio gioco della Germania”: di nascosto, gli rimandava indietro migliaia di rifugiati economici a cui non aveva concesso asilo (fra cui quasi quattromila marocchini, algerini ed egiziani autori di furti e palpeggiamenti nei treni: “Non è più possibile mandare i figli a scuola sui treni locali”, dicono a Linz): “Non siamo la sala d’aspetto”, ha detto il cancelliere austriaco: se non ci si può fidare fra “noi” che ci parliamo in buon tedesco, figurarsi gli altri.
La Francia le ha detto che al massimo, dei suoi migranti, ne prende 30 mila e non più; pateticamente il suo ministro degli Interni De Maizière si è fatto sostenere dal collega italiota, il ridicolo Alfano, nel minacciare “sanzioni” a Ungheria, Polonia, Slovacchia se non prendono le loro quote. Ormai le sanzioni sono la risposta tutto: alla Russia, alla Siria – Assad è gravato da un embargo internazionale, tuttora vigente nonostante il cessate-il-fuoco, mentre i suoi nemici sono riforniti da Turchia, Usa, Saudia…e (eh sì) Germania che vende ai sauditi una bella quota di armamenti. La politica “europea” da Bruxelles (Berlino) si riduce a questo: applicare e minacciare sanzioni. Peggio: come fa’ notare DWN, con l’annuncio di accogliere i siriani, la Merkel ha “privato il governo siriano di soldati per la lotta contro gli islamisti e i mercenari”: sono accorsi decine di migliaia di giovanotti in età militare renitenti alla leva, che hanno lasciato là ai jihadisti donne e bambini.
Per esser giusti, non è colpa della Cancelliera soltanto: se “L’Europa è nel caos e la UE indebolita come non mai”, bisogna riconoscere che il più l’ha fatto Bruxelles, l’eurocrazia. In pochi mesi, i paesi europei hanno annunciato uno dopo l’altro il ritorno al controllo dei confini: è così sgretolato il mitico “spazio Schengen”, costruzione dogmatica ed ideologica che l’oligarchia sovrannazionale soleva vantare come suo grande passo verso il federalismo, verso “Più Europa” (in neolingua verso l’abolizione totale delle sovranità nazionali).
Naturalmente, Bruxelles ha risposto come al solito: strepiti, e minacce di sanzioni. E contro chi? Contro i paesi che difendevano lo spazio Schengen, trovandosi per accidente geografico suoi confini, o perché respingevano e alzavano reticolati, (Ungheria) o perché accolgono troppo e male (Italia e Grecia). Senza mai farsi una domanda sulla cosa in sé, come l’hanno voluta: ossia un spazio senza frontiere interne che fa’ pesare le frontiere esterne e la sua salvaguardia su singoli stati, per lo più piccoli e senza mezzi, e lasciati privi di solidarietà, anzi minacciati di espulsione e di embarghi.
Mai i tecnocrati e i governanti europeisti hanno riconosciuto questo fatto elementare: che in uno spazio senza frontiere interne, per i migranti l’entrata in un paese diventa un passaporto per tutti i paesi.
Profughi a domicilio coatto?
Lo dimostra la loro ingiunzione, dopo l’arrivo dell’ondata: “Ciascuno si prende a la sua quota, è un ordine”. Ma scusate, mettiamo che l’Ungheria ceda e si prenda 300 mila cosiddetti “siriani”: siccome questi vogliono andare in Germania, cosa fa? Li si obbliga a restare lì dove non vogliono? Deve controllare che non prendano un treno per Francoforte? Bloccarli con la polizia? E dove sono i loro “diritti umani”?
Appare così che la mitica “libera circolazione” UE sbocca, grazie agli eurocrati, nel suo contrario: il domicilio coatto. Chi arriva in un posto deve restarci: al confino.
La sua politica del confino, la UE è riuscita ad imporla alla Grecia, la sua vittima preferita: che ha dovuto accettare di “prendere il controllo delle sue frontiere” (incontrollabili) in cambio di 300 milioni: cifra derisoria, laddove la stessa Merkel ne ha offerto 3 miliardi l’anno a Erdogan, il quale adesso – avendo il coltello dalla parte del manico – ne vuole cinque, e in più, l’entrata degli 80 milioni di turchi in Europa senza visto. Bruxelles dunque, dopo aver tenuto la Turchia sulla porta con assurde promesse d’integrazione (al diavolo le radici cristiane) e facendo la difficile: dovete fare i compiti a casa, diventare sempre più “stato di diritto” e adottare il pluralismo democratico ossia della civiltà come “noi (eurocrati) la intendiamo”, adesso deve accettare una Turchia che incarcera i giornalisti, stermina le sue minoranze (i curdi), arma e fa affari coi jihadisti decapitatori in Siria. Senza alzare che una flebile, inutile protesta: basta che si riprenda i profughi, tutto è permesso.
Bruxelles però ha avuto successo solo con Tsipras (facile), non con Orban e con il nuovo governo polacco. Anche qui, non volendo riconoscere l’equazione impossibile di imporre una politica migratoria unica a paesi così profondamente diversi. L’Ungheria ha 9 milioni di abitanti; quanti islamici si deve accollare? Un paese piccolo e fiero, con il suo carattere nazionale e la sua storia di libertà contro i totalitarismi, la sua storia cristiana e fedele nell’impero absburgico, la sua rivoluzione anticomunista nel 1956 – niente conta: Bruxelles vuole omologare tutto e tutti, trasformare le numerose e articolate culture, in una fantomatica identità omogeneizzata, OGM, lo “europeo”standard definito dalle normative, dalle direttive, dall’adesione ai valori come le nozze gay e la teologia del gender. La Polonia ha già accolto qualche mezzo milione di ucraini che scappano dal regime di Kiev (un altro grande successo europoide): niente, si accolli anche i suoi islamisti. Il risultato, è il governo “di destra” che Bruxelles mette sotto accusa permanente, minacciandolo non solo di sanzioni ma di cambio di regime. La storia della Polonia, la recente libertà ritrovata che fa’ di questi paesi dei gelosi fortemente consapevoli della loro identità nazionale, viene spregiata e ignorata. O meglio: il nazionalismo, che è vietato agli “europei-standard” (poniamo) in Francia, è eccitato nei baltici e negli ucraini, per farne dei galletti anti-russi. Nei polacchi va’ bene, il nazionalismo, se si esercita contro Mosca; contro Bruxelles, è peccato mortale. E va punito con sanzioni.
Merkel, la sua eredità è il caos
E il bello è che la UE non è stata sgretolata dagli anti-europeisti. Non dal Front National, da Farage, da Salvini o da Grillo, né dalla Alternative fur Deutschland o da Pegida o da Podemos: no, hanno fatto tutto loro, gli “europeisti” ideologici al potere. Da soli hanno indebolito la UE come non era mai avvenuto prima. E come e perché l’hanno fatto, si vede benissimo: hanno voluto più Europa. Più paesi dentro, in funzione anti-moscovita, per obbedienza agli americani, senza alcuna tradizione di solidarietà e conoscenza coi paesi del Sud Europa; storie e culture nazionali diversissime, che si conta di omologare con le sanzioni e le direttive burocratiche. Hanno voluto essere insieme la UE e la Nato, una NATO che è diventata da difensiva un’alleanza aggressiva debordante, e dove adesso (come in Libia) ognuno fa’ per sé e cerca di fregare gli altri soci, i commando francesi e britannici non si coordinano con gli italiani, e il principale alleato della NATO è in combutta col Califfato e coi Sauditi. E Bruxelles ci ha intricato in questo orrendo pasticcio, senza districare un capo della matassa: chi siamo contro chi? Ah sì, siamo contro Putin, che ha “aggredito l’Ucraina”: sanzioni, embargo, armi americane sul territorio.
La UE non si accontenta di essere UE, né di coincidere con la nuova NATO: vuol essere UE più spazio commerciale transatlantico, zona unica euro-american- messicano-canadese, in dirittura per il governo mondiale che sta per arrivare.
L’Europa degli europeisti è come la rana di Fedro:
“Una rana vide un bue in un prato. Presa dall’invidia per quell’imponenza prese a gonfiare la sua pelle rugosa. Chiese poi ai suoi piccoli se era diventata più grande del bue. Essi risposero di no. Subito riprese a gonfiarsi con maggiore sforzo e di nuovo chiese chi fosse più grande. Quelli risposero: – Il bue. Sdegnata, volendo gonfiarsi sempre più, scoppiò e mori”.
Alla prima crisi, la costruzione è crepata, e sta saltando. Tanto che la Svizzera addestra le truppe in vista del disordine europeo da tener lontano da suoi confini, e ha dichiarato, nel modo più ufficiale, di aver seppellito ogni precedente candidatura a far parte del mostruoso pasticcio chiamato “”Europa Unita”.
E a chi l’Europa deve la sua frattura, catastrofe e caos? Facciamo i nomi: ai Barroso, ai Solana e Van Rompuy, ai Mario Monti, ai Padoa Schioppa. Gli europeisti ideologici più totali, che non avevano altra mira che la federazione, da tenere unita fino all’ultimo europeo.
Il progetto di Jean Monnet essendo detestabile in sé, sono stati detestabili anche gli “europeisti” della generazione che l’ha costruita. Ma i Delors, i Giscard d’Estaing, gli Strauss, il Kohl, financo Mitterrand (rispetto ad Hollande), persino il nostro Prodi torreggiano come statisti e giganti intellettuali in confronto a Solana, Barroso, e Angela Merkel. Intanto, quelli, andavano avanti a piccoli passi, secondo l’accorto consiglio di Monnet, di agire nell’ombra; non si facevano illusioni sulla illegittimità di quel che tramavano. Poi avevano qualche piano di sviluppo comunitario. Prodi – lui stesso lo ricorda troppo spesso – quando è stato presidente ha lanciato il progetto Galileo, i satelliti di posizionamento satellitare alternativi al GPS degli Usa come al Glonass sovietico. Era la prospettiva di un posizionamento europeo nelle alte tecnologie, lo sviluppo di industrie avanzate in competizione con l’Asia; aveva trovato anche i finanziamenti cinesi (ecco perché Prodi è così ben visto in Cina): il Galileo è fallito per gli inglesi (che naturalmente vogliono la continua dipendenza dagli Usa), perché Parigi e Berlino trovavano il progetto costoso,e per la UE in quanto tale obiettava alla dipendenza dai capitali cinesi per motivi “strategici” (sic),preferendo la subalternità strategica da Wall Street e da Londra. L’effetto ve lo vedete attorno: case, uffici, scuole sono pieni di oggetti elettronici che comprate dalla Cina, Taiwan e Corea del Sud. Voi, producete merci come “il cibo” e “il lusso Made in Italy”, la Germania auto.
Insomma, si ha un bel criticare la generazione di potere nata negli anni ’30. Oggi, si deve ammettere che la generazione di europeisti nati negli anni ’50 è peggio: presa l’eredità europeista, l’ha ridotta ad un caos a forza di ignoranza, di presunzione, di mancanza di idee e di cultura. Si è ridotti a rimpiangere Prodi e Chirac, come in Usa la generazione dei sessantenni della Israeli Lobby fa’ rimpiangere Kissinger.
Era l’agosto del 2015 e la Merkel, passata di successo in successo, chiamava i migranti e ai tedeschi diceva: “Wir schaffen das”, ce la facciamo,fidatevi, so cosa faccio. Adesso ha andato Dold Tusk ad implorare pubblicamente i profughi: “Non venite in Europa!”. La UE ha dichiarato chiusa la rotta dei Balcani, in pratica lasciandoli alla Grecia.
Consolazione ancora più magra, a giudicare da Donald Tusk, Weidman e Valls, la generazione nata negli anni ’60 è ancora più idiota, rozza, malvagia e senza idee e servile verso i poteri forti, ancor più ligia ad un’ideologia invecchiata e ad una superpotenza agonizzante. Manterrà un’Europa che non esiste più, e degrada mentre si sgretola, a forza di sanzioni, impotenza e minacce.