di Giorgio Saibene e Carloalberto Rossi
La globalizzazione ha trasformato il mondo della logistica e, tutti ne siamo convinti, ha trasformato anche le nostre vite. Dall’abitudine di prendere un caffè al bar, ci troveremo a poterlo ordinare da casa: decaffeinato, d’orzo, macchiato, con uno o due cucchiaini di zucchero. Arriverà caldo e ci costerà come al bar. Manca poco: in offerta ci sarà una brioche alla crema chantilly!
Da tempo si parla di ultimo chilometro, la parte terminale della logistica, che nessuno sa cosa sia e quanto sia veramente lungo questo chilometro. C’è chi traccia la riga dal porto alla città, chi dal centro di smistamento notturno al domicilio del compratore finale..insomma non si capisce quanto sia grande questo mondo e quanta merce ci viaggi al suo interno. Intanto i compensi a consegna sono rimasti gli stessi sin dagli anni ’80, quando un litro di super costava circa 1 euro al cambio di oggi, mentre il diesel costava la metà. Una volta com’era? ”Vivibile” dice un imprenditore della logistica, un corriere insomma, che consegna buste e piccoli pacchi a casa vostra, “Si prendevano 4.000 lire a consegna, diciamo che se ti accontentavi, di consegne ne facevi 10 al giorno. Se ci davi dentro, con il motorino a pedali di una volta, ne facevi anche 30, mentre i fenomeni arrivavano a 40-50 e il motorino non lo mettevano neanche loro”.
Si stava così bene che hanno anche fatto il film TAXXI con Samy Naceri e la bellissima Marion Cotillard. Daniel, il protagonista, è un fattorino e guidatore eccellente, che scorrazza per tutta Marsiglia. Poi cresce, con i soldi risparmiati cambia lavoro e diventa taxista, alla guida della sua mitica Peugeot 406 da lui stesso opportunatamente modificata, arrivando sempre regolarmente tardi agli appuntamenti con la ragazza . . . per amore del lavoro, si capisce.
Potrebbe non essere stato per tutti divertente come nel film, ma comunque nella maggior parte dei casi si portavano lettere, buste, pratiche d’affari e firme. Era un lavoro che funzionava per chi non sapeva fare altro, per chi si accontentava e per chi era studente. Poi il fax e l’email hanno cambiato il segno del business, e la trasmissione dei documenti per pony express e corrieri è diventata un ricordo.
Oggi il sistema è un po’ cambiato, crescendo e allargandosi a molti settori, ma la paga è sempre e incredibilmente come allora: oggi, dopo quasi 40 anni, si parla di soli 2 euro a consegna. I trasportatori di lusso, i raider metropolitani, portano il cibo in bici nelle case della gente: guadagnano in media dai 2,50 ai 3,70 a consegna, che spesso risulta essere quantificabile in un’ora tra andare, prendere e trasportare fino a destinazione e ritorno. L’orario di lavoro è in coincidenza di pranzo e cena, un altro costo personale di rinuncia alla vita sociale, anche se le aziende pubblicizzano: “consegniamo qualsiasi cosa sotto i 9 kg”.
Invece chi lavora come corriere con il furgone oggi fa dalle 30 alle 50 consegne al giorno. La maggior parte dei corrieri consegnano pacchi, anche voluminosi e pesanti, e vengono pagati anche meno, intorno a 1 euro l’uno. E’ il compenso che arriva in tasca di chi fa lo sfruttato e anche del padroncino, l’intermediario dei corrieri, facenti parte entrambi della categoria dei nuovi martiri del lavoro: stressati, sempre di corsa, sempre in affanno con i pagamenti, a rischio incidenti, impossibilitati a parcheggiare e spesso soggetti al pagamento di multe salate.
Sinceramente un lavoro che non riuscirei mai a fare. E non perché voglia fare l’Engels che nel 1840 descriveva giovani sfruttati delle fabbriche di Manchester: “umiliati, truffati e raggirati, lavorano come animali per stipendi da fame”; e nemmeno il Giovanni Verga delle miniere siciliane che narrava delle sventure di Rosso Malpelo. Si tratta di un mondo estremamente complesso. Se poi volessimo vedere chi gestisce la logistica, le aziende o meglio le numerosissime partite IVA in Italia, di cui se ne contano a milioni, anche loro fanno un lavoro da negrieri, in perfetto stile Django Unchained. Il film di Quentin Tarantino, con Leonardo di Caprio, tratta uno dei temi più orribili della storia d’America: lo schiavismo nelle piantagioni di cotone del Sud degli Stati Uniti.
Verrebbe da chiedersi come siamo arrivati a questo punto?
Forse, con il passare del tempo, le parole libertà e sicurezza sono state sostituite dalla flessibilità, portando in qualche modo il sistema ad autoregolarsi sull’onda della sempre più pragmatica riduzione dei costi e dell’eventuale sfruttamento. Infatti dagli scioperi degli addetti ai lavori si alza in coro la protesta sia per il sistema a salario fisso, perché i datori di lavoro vogliono a tutti i costi aumentare il numero di consegne con orari di lavoro sempre più flessibili e allungati, mentre non è una soluzione neanche il sistema a cottimo, con pagamento a fine giornata, perché i lavoratori cercano di fare più consegne e più in fretta possibile, con ovvi rischi di incidenti stradali che tra l’altro sono all’ordine del giorno in tutte le città del mondo.
In generale, il largo pubblico non si immagina cosa ci sia dietro la comoda consegna a domicilio che ci fa sorridere e soddisfa ogni nostro desiderio d’acquisto. I motivi sono molteplici: ci siamo ritrovati con questo sistema online che ha una grafica accattivante, le uniformi dei corrieri sono professionali e coordinate al logo dell’azienda, riconosciamo gli operatori per strada e siamo rassicurati che stiano facendo il lavoro per noi. Le nostre più importanti necessità, i documenti, le lenti a contatto scontate, le medicine, gli acquisti irrinunciabili per la casa e il nostro look passano per le mani di questo esercito che popola le strade. I contratti sono ritagliati alla perfezione per incanalare nel mondo del lavoro delle persone che forse in molti casi non avrebbero avuto altre alternative: per ragioni d’istruzione o di esperienze di vita, non possono che accettare una paga troppo bassa e un ritmo di lavoro eccessivo.
Se si guardasse bene ai contratti dei settori sindacalizzati nella logistica, la cui applicazione scende al multiservizi e poi alle pulizie, ci sono persone che prendono meno di 1000 euro con ritmi e orari calcolati sulla base dei costi e di una produttività da 50 consegne al giorno. Quindi, lo sviluppo del mercato dei corrieri, a guardarlo da questa prospettiva, sembra avere effetti negativi. In Italia, per coerenza e onestà, la contribuzione da lavoro dovrebbe essere garantita in ugual misura a tutti quelli che lavorano nel mondo dei corrieri, ma anche le tariffe dovrebbero essere rimodulate in aumento, magari fissate per legge, per garantire a tutti il minimo di stipendio. I costi della logistica sono infatti aumentati dagli anni ‘80: il carburante e il furgone nel 1985 incidevano intorno al 25% della consegna, considerata il consumo medio di 8-10 km al litro in città, mentre oggi l’incidenza è intorno al 40% del prezzo di trasporto. Dal tentativo di ridurre questo parametro di costo ecco che è arrivata la rivoluzione delle biciclette con portapacchi.
Invece di fornire tutele, siamo in una situazione da far west: lo stato è troppo occupato in altre questioni, e come unica soluzione alla cronica difficoltà di budget accresce le tasse che gravano sugli imprenditori, i quali scaricano gli aumenti sull’ultimo anello della catena di valore: i lavoratori e i subappaltatori.
Ma il bassissimo costo delle consegne produce anche modificazioni del mercato.
Infatti con l’aumento delle consegne a domicilio, qualche ristoratore ha espanso virtualmente i tavoli del proprio piccolo esercizio, altri settori ci hanno perso o andranno in crisi molto presto. Infatti i primi a perderci, al di fuori del mondo del cibo, saranno soprattutto i negozianti, cioe’ i tradizionali punti vendita fisici. In Italia secondo l’Istat, sono circa 515.000 esercizi (variazione in aumento nel triennio 2016-2019), e pagano stipendi e contributi previdenziali a 1,6 milioni di lavoratori dipendenti. Un numero socialmente rilevante, ma che si scontra con la positiva sensazione di esserci finalmente evoluti sul piano tecnologico, mentre siamo in quarantena. Quindi viene da porsi giustamente la domanda: “Ma dopo la quarantena, riapriranno i negozi? Ne avremo ancora bisogno?”
Oggi ci siamo resi conto di poter ordinare e ricevere a casa nostra non solo pizze a forno a legna e porzioni di sushi, ma anche jeans 501, vino, mobili e medicinali; qualcuno persino si fa consegnare video game e incensi rilassanti. Sembra evidente che, se non finiranno le scorte e quindi diventi impossibile comprare su internet, i prezzi del commercio on-line saranno nettamente più bassi rispetto ai negozi tradizionali. Peccato che una parte della popolazione, che in Italia può stimarsi in qualche milione di persone, non possa sopravvivere senza la sua piccola bottega: bar, caffetterie, pub, ma anche piccoli negozi, che con i margini sui prodotti acquistati e rivenduti e con il loro lavoro quotidiano riescono a malapena a vivere e mantenere le loro famiglie. Se questi esercizi chiuderanno avendo sempre più difficoltà a fare prezzi concorrenziali, triste da dire, ma possiamo attenderci un aumento del numero di fattorini e corrieri, che potrebbe proprio essere la prossima occupazione per molti di questi negozianti.
Sommando traportatori e bottegai, si tratta quindi di una parte ingente della popolazione italiana nel suo complesso. Come si potranno ricollocare le attività non più al passo con i tempi e come sarà possibile offrire una posizione lavorativa più dignitosa all’interno della catena dei trasporti, in continua espansione, sono argomenti che non dovrebbero passare di moda, ma anzi essere presi seriamente in considerazione, in primo luogo dalle istituzioni.