Carissimi Stilumcuriali, qualche giorno fa mi sono imbattuto su Facebook in un commento dell’amico e collega Gianni De Felice, una firma storica del Corriere della Sera. Lo riporto adesso – in ritardo, lo so – perché comunque la sua critica a Paolo Mieli (a onor di cronaca successivamente Mieli ha ammesso forse di essersi sbagliato; ma scripta manent…) è indicativa di qualche cosa che abbiamo sotto gli occhi. E cioè che da parte della grande stampa, internazionale e italiana, partigianeria e servilismo nei confronti di una ben precisa parte politica, economica e culturale hanno sostituito senza più pudori la spesso sottile vernice di correttezza che almeno serviva a placare i problemi di coscienza di alcuni. Ormai i problemi sono scomparsi. E possiamo assistere a quello che state per leggere, scritto da qualcuno che è stato direttore di giornali come La Stampa e il Corriere, e dovrebbe essere un maestro per le nuove generazioni di giornalisti. Povero mestiere, mai nobile, ma almeno – talvolta – dignitoso. Buona lettura.
§§§
NO, CARO MIELI, LA CENSURA LIBERTICIDANON È MAI DEONTOLOGICAMENTE CORRETTA
“Impeccabile. Perfetta. Inappuntabile. La decisione di Brian Williams, Shepard Smith, Jake Tapper, Lester Holt anchorman di Nbc, Cbs, Abc, Cnn (e altre reti televisive) di togliere la parola a Donald Trump nel momento in cui si accingeva a denunciare non provati brogli elettorali, è stata corretta sotto il profilo deontologico”.
Lo scrive oggi sul Corriere della Sera Paolo Mieli, firma prestigiosa ma non nuova a disastrosi endorsements. Figlio di un famoso corrispondente dell’Unità da Mosca, Renato Mieli [in realtà direttore de L’Unità su invito di Togliatti, poi responsabile del Partito Comunista per l’estero] , l’ormai attempato Paolino deve aver subito una scarica genetica di censurite ereditaria. Forse nei suoi cromosomi si agitano ancora i geni del Kgb e della Tass, l’imprinting della Pravda, la sbrigatività brutale dei regimi.
Monsieur Arouet, in arte Voltaire, gli è rimasto sconosciuto, nonostante i ponderosi studi. Quel venerato campione della libertà di pensiero e di parola soleva dire: “Non condivido quello che affermi, ma mi batterò fino alla morte perché tu possa dirlo”. Quanta carica di cultura, civiltà, libertà c’era in questo illuminante impegno.
Purtroppo, dopo Voltaire è arrivato il sovietismo e ha lasciato pesanti impronte, che ora – in nome di una pericolosissima democrazia – violano e offendono anche il suolo di una Repubblica, quella degli Stati Uniti, che ha combattuto terribili guerre e lasciato sul suolo insanguinato centinaia di migliaia di suoi figli per difendere e affermare il sacro principio della libertà di opinione e di espressione.
Il Primo Emendamento della Costituzione americana testualmente reca: “Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o della stampa.” Il professor Mieli è sicuro che imbavagliare proditoriamente e arbitrariamente il presidente degli USA ancora in carica, spegnendo i microfoni, non costituisca “limitazione alla libertà di parola, o della stampa”?
Mettendo il sasso in bocca al presidente degli Stati Uniti in carica, i liberticidi delle tv americane – osannati da Mieli fino alla apoteosi di “eroi”, mentre a me sembrano assimilabili a una banda di asserviti – hanno eseguito una sentenza senza prova di colpevolezza. Erano fino allora senza prove anche i concetti e i sospetti che Trump voleva esprimere, ma chi aveva il potere di condannarli come menzogne e diffamazioni?
I paladini di una pelosissima democrazia hanno spento i microfoni “inaudita altera parte”, cioè senza sentire spiegazioni, motivazioni, giustificazioni. Partendo dall’arrogante presupposto di essere loro indiscutibilmente nel vero e gli altri sicuramente nel falso.
E questi sono gli “eroi” che Paolo Mieli celebra come campioni di giornalismo? Pure stimandolo come storico, devo a malincuore rilevare che oggi la firma principe del Corriere ha preso un devastante, clamoroso, intollerabile abbaglio.
Caro Mieli, nei Paesi che abbiamo faticosamente provato a rimettere in piedi dopo le cadute di Mussolini, di Hitler e di Stalin, le censure – che mal sopportiamo anche in Cina e in Nord Corea, in Brasile e in Bielorussia – non sono mai “corrette”. Né “sotto il profilo deontologico”, né sotto alcun altro profilo. Sono sempre la morte del giornalismo e della libertà.
Mi dispiace che il Corriere della Sera si sia macchiato di questo avventato rigurgito liberticida in un momento difficile per tutti. Lo considero il frutto avvelenato dell’odio dei dem per Trump e chiudo lì. Diciamo il solito bersaglio unico che in tutto il mondo e a qualsiasi livello la Sinistra deve inventarsi per sopravvivere.