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Profezie bibliche alla luce della tradizione ebraica e cristiana.
Circa due anni fa è stato pubblicato un libro alquanto insolito, un unicum, potremmo dire, nel panorama dell’esegesi biblica: “Il Messia nascosto. Profezie bibliche alla luce della tradizione ebraica e cristiana”, una coedizione Cantagalli-Chirico.
L’autore, diversamente dall’approccio metodologico tradizionale, che si rifà perlopiù ai Padri della Chiesa, ha voluto interrogare le fonti precristiane, in particolare quelle rabbiniche, al fine di saggiare le interpretazioni esegetiche cattoliche sul messia e, poi, individuare ulteriori passaggi dell’Antico Testamento che parlassero del Messia.
La ricerca prende le mosse dall’esegesi fatta da Gesù ai discepoli di Emmaus: «Cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27).
Di qui, poi, le domande che fanno da perno a tutto il libro: a quali passi dell’Antico Testamento ha fatto riferimento Gesù, lungo il cammino verso Emmaus? Quali e quante sono le profezie messianiche contenute nell’Antico Testamento? Queste si rivolgono davvero al Messia o sono per lo più interpretazioni esegetiche retrospettive? In altre parole, le profezie messianiche che emergono da una lettura cristiana dell’Antico Testamento, sono in parte condivise anche dall’esegesi ebraica?
Esiste una continuità tra la tradizione rabbinica e quella cristiana? Quali sono le profezie messianiche a cui fanno riferimento il Targum e la tradizione rabbinica?
Ed ecco che alla luce del Targum e della stessa tradizione rabbinica (Midrash Rabbah, Talmud, Zohar, etc) l’autore individua più di un centinaio di profezie messianiche, immerse nelle Sacre Scritture. Si tratta di passi biblici che presentano un inequivocabile senso messianico, che, nel Testo Masoretico, è spesso sottinteso se non (quasi) nascosto. Dall’analisi svolta, emerge che molte profezie inerenti alla venuta del Messia, alla sua incarnazione, morte e risurrezione non sono interpretazioni esegetiche retrospettive, generate da una lettura cristiana dell’Antico Testamento, ma sono proprio il frutto dell’esegesi rabbinica. Ciò mostra chiaramente l’esistenza di una continuità tra la tradizione rabbinica e quella cristiana, per cui il cristianesimo non può prescindere dalle sue radici ebraiche.
Ad esempio, in Lc 24,46 in 1Cor 15,4 si parla di risurrezione al terzo giorno secondo le Scritture ma, apparentemente, leggendo la Settanta o il Testo Masoretico non sembra emergere una simile affermazione, se non nel Targum di Osea (6,2), cioè, la versione aramaica, che in maniera molto esplicita parla di “giorni della consolazione” e “giorno della risurrezione dei morti”, dove il testo ebraico dice: «Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza».
Il libro è suddiviso in tre sezioni: Il Messia nel Pentateuco, il Messia nei libri storici e poetici e il Messia nei libri profetici, dove viene inserito anche il libro di Giobbe.
Nella prima parte, si analizzano tutti quei passi messianici contenuti nel Pentateuco, soprattutto in Genesi, Esodo, Numeri e Deuteronomio, da cui emerge che il Messia è la Sapienza creatrice del cosmo, la luce generata fin dall’inizio, che porterà nella pienezza dei tempi la medicina per il tallone ferito dal serpente antico. La maggior parte di queste profezie preannuncia la venuta delRe Messia, evidenziandone la filiazione davidica ma, anche, la forza del suo dominio, un dominio eterno a cui tutti saranno sottomessi. Il ritratto che ne esce fuori è quello di un Messia- Re-Profeta, il cui spirito preesiste alla creazione e che viene instaurare il suo regno con la sua sofferenza (Messia figlio di Joseph) per poi trionfare in eterno (Messia figlio di David).
Nella seconda parte, vengono esaminate le profezie contenute in alcuni libri storici e poetici, seguendo il canone della Bibbia cattolica: Rut, Samuele, Re, Cronache, Ester, Salmi, Proverbi, Qohelet, Cantico dei Cantici, Sapienza e Siracide. Il Cantico dei Cantici e i Salmi cantano la bellezza del Re Messia, «il più bello tra i figli dell’uomo», che viene a portare la nuova Torah, «il vino antico, tenuto in serbo nei suoi grappoli fin dal giorno in cui fu creato il mondo»; proclamano la divinità del Re-Messia-Sacerdote, «la porta del santuario del Signore», il «fondamento eterno», che sta alla destra di YHWH e nasce da un grembo dall’aurora come rugiada.
Nella terza ed ultima parte, il nostro indaga sugli annunci messianici contenuti in alcuni libri profetici, come Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele e i profeti minori, tra cui si distinguono Osea e Zaccaria. I riferimenti al Messia sono molti e lampanti, soprattutto nei Targumim. L’intero libro di Isaia, ad esempio, ruota intorno al «Germoglio di David», «l’Emmanuele», «il Dio potente, che vive in eterno, il Messia, la cui pace sarà grande su di noi nel Suo giorno». Dai libri profetici appare un Messia Re, Pastore e Redentore; il «Maestro di giustizia», che risorge dalla morte, dà la vita nei giorni della consolazione e fa rivivere i morti nel giorno della risurrezione; il consolatore, il servo sofferente di YHWH, la «carne di Dio» che prende su di sé le iniquità del popolo; il consacrato che sarà soppresso senza colpa in lui, innalzato e trafitto, ma anche colui che dopo la sua redenzione si ergerà sulla polvere della morte.
Più in dettaglio, vediamo il Verbo, la Sapienza di Dio, già presente nel primo versetto della Genesi, con il nome Reshit, Inizio, primizia. Stando al Targum e ai commentari rabbinici, Bereshit vuol dire “in principio” ma, soprattutto, “per mezzo di Principio”, dove Principio è la Chochmah, la seconda emanazione di Dio, che risponde alla seconda lettera del Nome stesso di Dio YHWH (He) e che è la Sapienza dall’alto (noi diremmo il Verbo), mentre la seconda He del Nome di Dio risponde a Shekhinah, cioè, la Sapienza dal basso (il verbo incarnato).
Leggendo con attenzione il primo versetto della Genesi secondo la versione aramaica saltano all’occhio forti somiglianze con il prologo di Giovanni. Nel salmo 110 e in Geremia, scoviamo la nascita del Verbo dal seno di una vergine direttamente da Dio, mentre un misterioso passo di Osea preannuncia l’incarnazione del Messia.
Alla fine della lettura, emerge chiaramente che l’interpretazione messianica della Chiesa, molte volte contestata da alcuni teologi, è confermata dagli stessi rabbini. C’è come un filo rosso, a volte molto sottile, che collega le antiche profezie alla loro realizzazione, un’armonia tra l’antica Sinagoga e la Chiesa, tra la tradizione rabbinica di Israele e quella dei Padri della Chiesa. Leggendo questo volume, appare chiaro come tutto l’Antico Testamento sia cristocentrico sia orientato a Cristo, come trovi in Cristo la sua piena realizzazione e il suo significato più profondo. Cristo è la chiave di lettura di tutta la Scrittura. Tutto viene da Dio e ritorna a Dio. In queste pagine, affiorano molti passi biblici messianici secondo una lettura ebraica e una lettura cristiana della Bibbia, comparando il Testo Masoretico con il Targum e, in alcuni casi, con la Settanta, ma soprattutto con i principali testi della tradizione rabbinica, per cui «la lettura ebraica della Bibbia è una lettura possibile, che si trova in continuità con le sacre Scritture ebraiche dall’epoca del secondo Tempio ed è analoga alla lettura cristiana, che si è sviluppata parallelamente ad essa».