La penitenza è il riconoscimento del nostro “passato”. Riconoscere il passato non è un fatto morboso: lo è piuttosto negarne l’esistenza. Questo passato influisce sul nostro futuro. Noi non siamo soltanto ciò che mangiamo: siamo ciò che i nostri peccati ci hanno fatto. Se non facciamo ammenda del nostro passato, posponiamo e aumentiamo le nostre pene eterne. Il tempo ci è dato solo perché possiamo fare penitenza. Chi ama veramente Dio, conscio di aver ferito l’Amore, rinuncerà volentieri ai suoi privilegi e si comporterà in modo da identificarsi in Cristo che ha cinque orrende piaghe alle mani, ai piedi e al costato.
In questo mondo la maggior parte di noi si preoccupa più della pena che del peccato, perché crede che il dolore fisico sia il più grande dei mali. La penitenza ci aiuta a rimettere queste idee false nella loro giusta prospettiva; chi trova gioia nella penitenza capisce che nessun male può nuocergli più del peccato. Se non c’è amore, la penitenza e il sacrificio saranno sentiti come un male; non così quando c’è amore. Noi comprendiamo, quando accettiamo la penitenza, che è proprio l’egoismo che ha causato il nostro peccato a rendere necessario un qualche sacrificio, senza il quale non si possono domare gli impulsi incontrollati che hanno generato il male.
E quando la piena luce dell’amore di Cristo brilla in un’anima, questa comincia a incorporare non soltanto le penitenze imposte dalla Chiesa, ma tutte le amarezze della vita, nella grande opera della Redenzione. Invece di esplodere in tristi lamenti contro i rovesci della fortuna e le amarezze della vita, essa li accetta con spirito di rassegnazione, come sconto del peccato: con la paziente rassegnazione vengono espiati molti peccati.
(Fulton J. Sheen, da “La Pace dell’Anima” edizioni Fede e Cultura)