Atene è allarmata per il discorso che Tayyp Erdogan ha tenuto il 29 settembre ai sindaci della Turchia riuniti a congresso ad Ankara. Il Trattato di Losanna, ha scandito il dittatore, non è stata una vittoria per la Turchia ma una sconfitta, perché ci ha costretto a cedere “le nostre isole” del Mar Egeo alla Grecia.
Nel Trattato di Losanna (1923) Ankara, sconfitta (s’era alleata con gli Imperi Centrali) s’era vista fare a pezzi quel che restava dell’impero ottomano: Cipro agli inglesi, Tunisia ai francesi, Libia e Dodecanneso all’Italia, e qualche isola alla Grecia; oltre a un tragico trasferimento forzato delle varie etnie nelle rispettive nazioni (orribile pulizia etnica legittimata dall’Occidente). Nella narrativa dei kemalisti passa come una “vittoria”, perché almeno Mustafa Kemal (futuro Ataturk) e il presidente Inonu scongiurarono lo smembramento della Turchia e la cessione di metà del territorio anatolico ai curdi, che sono maggioranza nell’Est (vedi mappa):.
Nelle sue memorie, Ismet Inonu (il kemalista secondo capo dello stato laicisssimo) ha scritto: “Abbiamo fondato uno Stato partendo da un ‘uomo malato’ [uomo malato d’Europa veniva chiamato dalla propaganda europea l’impero Ottomano]. Il Trattato di Losanna costituisce l’atto politico del nuovo stato turco[…] stato-nazione pienamente indipendente che gode pienamente dei suoi diritti”.
Ora Erdogan non solo contesta questa narrativa (fissata nei libri di scuola) ma dimostra la volontà di contestare un trattato internazionale e una variazione di confini che dura da quasi un secolo. Ha intenzione di passare dalle parole agli atti?, si domandano ad Atene, che denuncia continue violazioni dello spazio aereo da parte di caccia turchi,da quando Erdogan è diventato padrone del paese, sempre più aggressivo.
Il tipo ha mostrato di essere prono ai colpi di testa; la debolezza economica e politica (e militare) della Grecia, abbandonata dalla Unione Europea nella miseria, riempita di “profughi” e lasciata senza soccorso, può avergli risvegliato antichi appetiti. Tanto più acuiti dalla pecorile sottomissione della Merkel – e quindi di Bruxelles – ai suoi ricatti e alle sue minacce di inondare l’Europa di “siriani”.
Oltretutto, dopo il fallito golpe (vero o presunto) del 15 luglio sostenuto dagli Usa e UE, Erdogan ha intrapreso la colossale purga che sappiamo, profondamente destabilizzante per gli apparati statali; Erdo può trovare utile risolvere i problemi interni con una “riconquista” militare degli isolotti dell’Egeo?
In Siria, le truppe turche, impegnate nella operazione “Scudo sull’Eufrate”, non seguono più lo schema indicato da Washington, si occupano solo di sconfiggere le forze curde, ed hanno per ora scongiurato la nascita di una entità curda in Siria. Dopo aver per mesi guadagnato sostenendo la Stato Islamico e comprandone il greggio, adesso sta allontanando l’IS dai confini turchi. Inoltre ha introdotto forze turche in Irak, presso Mossul, tra insensibile alla protesta del governo iracheno, che non ha dato il permesso e accusa la Turchia di invasione. Secondo l’ex capo di stato maggiore ellenico, generale Fragoulis Fragos, Erdogan sta cercando di assicurarsiun accesso al greggio iracheno di Mossul.
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“Da quando la Turchia è nella NATO, dal ’52, gli Usa hanno trattato la Turchia come un posto di polizia al loro servizio. Le priorità di sicurezza Usa non hanno mai preso in considerazione gli interessi della Turchia”, recrimina Hakan Karakurt, un analista turco, filorusso (scrive su Katehon); e riferisce di due sondaggi. Il primo condotto da una organizzazione indipendente, MAK Consulting. L’80 per cento dei turchi interpellati ha dichiarato che non si può più contare sugli Usa e la NATO (prima del 15 luglio, erano il 50%). Il secondo, condotto dal TAVAK (fondazione per l’istruzione e la ricerca scientifica in Turchia e UE), ha mostrato che solo il 22 % dei turchi ritiene che la Turchia entrerà nella UE. Insomma la “nuova direzione” – di segnatura islamista – della politica estera di Erdogan, il suo voltare le spalle all’Occidente visto con ostilità, sembra avere l’appoggio dell’opinione pubblica.
Un articolo apparso venerdì su Yeni Safak, giornale del “nucleo duro” dello AKP, devotissimo ad Erdogan, ha aumentato le inquietudini di Atene. E’ firmato Ibrahim Karagul, uno dei più “duri” del nucleo duro, che ha voluto esplicitare quel che Erdogan, con la critica di Losanna, non ha potuto dire a chiare lettere. Non che il duro si occupa tanto delle isole greche. Ce l’ha con gli american i e gli occidentali, sostenitori del golpe di Gulen e anche complici dei curdi. E’ sicuro, Karagul (e quindi Erdogan di cui si dice interprete), che se il golpe fosse riuscito, alla Turchia sarebbe stata imposta la perdita delle regioni curde. Adesso, unita attorno al Capo, la nazione comincia una seconda “guerra d’indipendenza”. In cui gli occidentali, falsi amici, sono i peggiori nemici della nazione. C’è anche un implicito rimprovero ai kemalisti, molli nel proteggere la Turchao, o complici.
La realtà è che Erdo, per sradicare i golpisti, con le sue purghe, ha paura di aver indebolito lì apparato statale e soprattutto l’esercito, di cui ha bisogno per il suo progetto. L’attacco al trattato di Losanna potrebbe essere letto in questo quadro interno, in senso anti-kemalista.
Ma cosa fa’ la Grecia? Il governo SYRIZA? Si mette sotto la protezione della unica superpotenza rimasta. Il ministro della Difesa, Panos Kammenos, ha offerto agli americani delle nuove basi militari nell’Egeo; abbandonata dalla UE (del resto in via di sgretolamento), la disperata Atene vede la rottura fra Washington ed Ankara come un’occasione per sostituire la Turchia come antemurale del fianco Sud della NATO? Ciò può esasperare i turchi e suscitare le antiche inimicizie nazionalistiche e pulsioni dalle due nazioni che si sono combattute per secoli. Come la politica ‘americana’ (neocon per Israele) di destabilizzazione e frammentazione dell’area, il non voler far finire la tremenda guerra di Siria fino alla fine di Assad, stia mutandosi in un vero vortice di crisi dove sono sollevati nel turbine antichi revanscismi e nazionalismi passati, che divengono nuovi e aumentano il disordine, fino a mettere in pericolo i confini storici, spesso fragili, e basati su memorie di sangue. Già nel 1996 – l’altro ieri – Turchia e Grecia furono sull’orlo della guerra (in realtà, di riprendere la guerra plurisecolare) per un elicottero abbattuto dai turchi; la NATO allora calmò la situazione. Che farà ora la NATO? Difenderà la debole Grecia (suo membro) contro l’altro suo membro, l’armatissimo alleato che non si fida più di Washington e teme un “secondo golpe riuscito” con la firma occidentale, mentre fra Siria e Irak conduce una sua politica militare non più pedissequa agli Stati Uniti? Sarebbe interessante sapere anche quanto, nel settore kemalista, contino ancora i Dunmeh cripto-giudei e falsi islamici, che furono gli autori del sanguinoso colpo di stato dei (laicissimo, perciò salutato dalle massonerie franco-britanniche come “progressista”) con cui fu rimpiazzato il Sultano, cominciata la liquidazione dell’impero ottomano e la sua legittimità religiosa (la versione islamica di ‘alleanza fra il trono e l’altare’, il sovrano essendo anche capo dei credenti). Questi Giovani Turchi erano al 98 per cento ebrei nascosti, sionisti ante litteram, e autori del primo grande genocidio di cristiani in Medio Oriente, quello degli armeni – che hanno avuto al furbizia di addossare alla Sublime Porta. Quanto l’attuale Israele entra in questa destabilizzazione, lo sappiamo; quanto possa contare sui Dunmeh e come assista allo smantellamento finale, non si sa.
Sui greci non può che influire la profezia del monaco popolarissimo Paisios dell’Athos, morto nel 1994. Egli previde che la Santa Russia sarebbe venuta in soccorso alla Grecia aggredita militarmente dai turchi, e restituito ai Greci l’antica capitale della seconda Roma, Costantinopoli.
“La Turchia sparirà dalla mappa del mondo”, promise il monaco, “…Il Medio Oriente diverrà un teatro di guerra a cui i russi prenderanno parte. Molto sangue sarà versato”. La fase decisiva, l’intervento cinese oltre l’Eufrate, sarà preceduta dalla “distruzione della moschea di Omar”, al cui posto gli ebrei ricostruiranno il Tempio”. Il papa cattolico “ metterà assieme tutti, cattolici, protestanti, figli del diavolo, musulmani… Li metterà insieme lasciando a ciascuno libertà… “.
Il Pentagono alla guerra. Furtiva.
Uno scenario che sembrava fantasticamente assurdo vent’anni fa. Ma ora Mosca ha piazzato i suoi S-300 in Siria (il cui raggio copre una buona parte dell’Anatolia), è entrata in una imprevedibile guerra vicinissimo alla Grecia, la “alleanza” di Erdogan con Putin è inaffidabile e opportunista.
E gli Usa? Persistono nello straziare la Siria, non vogliono permettere la sconfitta dei loro islamisti. “Il Pentagono inizia una guerra furtiva di bassa intensità in Siria, annuncia il giornalista Mike Whitney su Counterpunch. Da giorni si susseguono alla Casa Bianca riunioni di ‘servizi’ e militari che propongono continuamente piani per recuperare la sconfitta che hanno subito: “Per aggirare l’opposizione della Casa Bianca ad eliminare il regime di Assad senza una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, si è proposto di procedere a colpi segreti, all’insaputa dell’opinione publica”, ha riferito lo stesso Washington Post, che non è un blog complottista. “Bombardamenti di piste d’atterraggio della forza aerea siriana con missili da crociera e altre armi a lunga gittata lanciate dalle navi della coalizione”. Una ipotesi contro cui la Russia ha già messo in guardia il Pentagono e “tutti gli esaltati”: ogni aereo ostile che colpisca le forze siriane (non quelle russe) sarà abbattuto. Molto più probabile che gli “esaltati” stiano già fornendo di nascosto ai jihadisti partite di MANPADS, i missili anti-aerei a spalla, che finora persino gli Usa hanno esitato a mettere in mani incontrollabili perché possono fare stragi di apparecchi di linea.
L’idea è naturalmente di “far pagare un prezzo” a Putin, di costringerlo adf aumentare l’impegno militare, dunque la spesa, e il suo affondare nel “pantano” medio-orientale.