PAOLO SENSINI – Per provare a situare la “questione ebraica” in una prospettiva differente da ciò che oggi il politicamente-mediaticamente corretto consenta, vale forse la pena citare alcuni passi dell’ebreo anarchico e sionista Bernard Lazare, il quale nel suo libro L’Antisémitisme, son histoire et ses causes (Ed. L. Chailley, Paris 1894), avanzava alcune tesi che avrebbero fatto discutere a lungo:
“Se quest’ostilità e ripugnanza si fossero esercitate nei confronti degli Ebrei soltanto in un limitato periodo e in un solo paese, sarebbe facile rintracciarne le cause particolari; al contrario, questa stirpe è stata oggetto dell’odio di tutti i popoli in mezzo ai quali si è stabilita. Posto che i nemici degli ebrei appartenevano alle etnie più svariate, che vivevano in contrade distanti tra loro, che erano guidati da leggi differenti e governati da princìpi diversi, che non avevano né le stesse tradizioni né gli stessi costumi, che erano animati da spirito diverso che non permetteva loro di esprimere un giudizio identico su tutte le questioni, ne consegue che le cause generali dell’antisemitismo sono state sempre insite in Israele stesso e non in coloro che lo contrastavano. Con questo non si vuole affatto affermare che i persecutori degli Israeliti abbiano avuto sempre il diritto dalla loro parte, né che non si siano abbandonati a tutti gli eccessi che comporta l’odio violento, ma invece stabilire come principio che gli ebrei causarono – almeno in parte – i loro mali […]. Perché ovunque, e fino ai nostri giorni, l’Ebreo è stato un essere asociale. E le ragioni di questa asocialità risiedono nel suo esclusivismo, che era nel contempo politico e religioso, o per meglio dire, egli teneva esclusivamente al suo culto politico-religioso, alla sua Legge […]. Volevano restare Ebrei in ogni luogo e ovunque ottenevano privilegi, esenzioni e sgravi d’imposta, si trovavano rapidamente in una condizione migliore rispetto agli abitanti delle città dove vivevano; avevano maggiore facilità a trafficare e quindi ad arricchirsi e così suscitavano gelosie e odio […]. L’ulteriore timore della contaminazione, separò gli Ebrei dal mondo, rendendo più inflessibile il loro isolamento. Così si isolarono rifiutando di sottomettersi agli usi che creavano dei legami tra gli abitanti dei paesi in cui si erano stabiliti, ma anche respingendo ogni rapporto con gli abitanti stessi. Alla sua insocialibilità, l’Ebreo sommò l’esclusivismo […]. La fede nella loro predestinazione, nell’essere gli eletti, sviluppò negli Ebrei un orgoglio immenso. Successivamente, quando alle ragioni teologiche si aggiunsero quelle patriottiche, essi giunsero a considerare i non-Ebrei con disprezzo e spesso con odio […]. L’ulteriore timore della contaminazione, separò gli Ebrei dal mondo e rese più rigido il loro isolamento […]. Fu il risultato di queste stesse cause e vedremo che furono in parte l’esclusivismo, il persistente patriottismo e l’orgoglio d’Israele che spinsero l’Ebreo a diventare l’usuraio odiato dal mondo intero” (ed. orig. pp. 42-43; trad. it. “L’antisemitismo, la sua storia e le sue cause”, Altrimedia Edizioni, Matera 2006, pp. 39-40, 42-44, 50).
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