Nuovi e vecchi “loro” attorno a Trump. Tanto vale imparare a conoscerli.

“Incontriamo gli ebrei nella cerchia interna di Trump”: è un titolo esultante della Jewish Telegraphic Agency  (JTA), storico  strumento mediatico del sionismo. Che dice ai suoi lettori: non preoccupatevi se Trump ha nominato come suo stratega Steve Bannon,   antisemita [l’etichetta non  se la toglierà mai più, ndr.] ed  un ammiratore del razzista bianco David Duke.  Guardate invece ai suoi più intimi collaboratori   di una intera vita.

Vale la pena di percorrerne i profili e impararne i nomi; conteranno molto nei prossimi anni.

Jason Greenblatt –  è  da 19 anni il suo avvocato  per gli affari immobiliari.  Ebreo ortodosso, laureato nella Yeshiva University [l’università talmudica di NewYork], Greenblatt ha ‘studiato’ in una yeshiva nei Territori Occupati negli ani ’80; uno “studio” che comprendeva anche   turni  di guardia armata.  “Trump   ha assicurato che lo  vuole come suo consigliere  su Israele”.

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Un consigliere oggettivo e sobrio. Greenblatt “non ha alcuna esperienza  politica”, riconosce la JTA,  ma “parla spesso con persone del governo isreliano, mentre non ha mai parlato con un palestinese dagli anni dei suoi studi nella yeshiva.   Come sua fonte principale di  informazione sullo stato ebraico, egli cita l’American Israeli Public Affair  Committee”  – ossia l’AIPAC, la più potente lobby di Washington, quella che storce le politiche americane in senso pro-israeliano,  anche (se occorre) intimidendo  gli eletti dal popolo. Sono molti i politici che hanno visto la loro carriera stroncata  dall’AIPAC; al suo ordine, il politico preso di mira perde  i finanziamenti,   vede emergere nel suo collegio elettorale un  concorrente con molti donatori, o vede persino il suo collegio elettorale essere ridisegnato in modo da escluderlo dal suo elettorato tradizionale.

Così Greenblatt,  intervistato una settimana fa dalla Radio dell’Armata Israeliana, ha potuto assicurare: Trump “non imporrà alcuna soluzione allo stato dì Israele. Non vede  gli insediamenti ebraici illegali come un ostacolo alla pace”.

David Friedman.  Avvocato esperto in fallimenti, è da sempre il difensore di Trump. E’ figlio di un rabbino con legami di famiglia con il partito repubblicano, specie coi candidati presidenziali di detto partito: per esempio la famiglia Friedman “ospitò Ronald Reagan per il pranzo di Shabbat nel 1984”,   lo stesso anno in cui (quando si dice il caso) Reagan vinse le elezioni.  Friedman, oltre la magione  dove abita a New York (nel quartiere di lusso di Woodmere), possiede una casa a Gerusalemme, quartiere Talbieh:  altro sintomo del  suo fanatismo   talmudico. Solo gli ebrei che  sono seppelliti in Israele risorgeranno  l’ultimo giorno per dominare il mondo nel Regno. Spiega la JTA: Friedman è il promotore di una progetto di legge del partito repubblicano che ha omesso ogni riferimento alla soluzione a due stati per Israele.

Boris Epshteyn –  Nato nell’83 in quella che era allora l’Unione Sovietica, costui è a New  York come un topo nel formaggio:  insieme   banchiere d’affari, procuratore presso la magistratura contabile e stratega politico – in quest’ultima veste è stato  l’addetto alla comunicazione per  il senatore John McCain  nel 2008, quando   il noto personaggio partecipò alla ridicola campagna di  Sara Palin alla Casa Bianca;  McCain sarebbe stato il vicepresidente.

NEW YORK, NY - JUNE 30: (L-R) Andrew Wilcow, Joan Walsh, John Fugelsang, Dean Obeidallah and Boris Epshteyn attend SiriusXM's Karen Hunter hosts "White in America" special at SiriusXM Studios on June 30, 2015 in New York City. (Photo by Ilya S. Savenok/Getty Images for SiriusXM)

 

Ovviamente sarà Epshteyn, russofono, al fianco di The Donald in tutte le sue trattative con Vladimir Putin.   Persino la JTA gli riconosce un difetto di carattere:  “abrasivo” “iracondo”, pronto a passare alle vie di fatto: nel 2014  è stato imputato   per aggressione durante una rissa da bar  (un  comportamento che lo fa sospettare   come membro della mafia ‘russa’ in Usa).

Stephen Miller  –  giudeo “praticante”  per sua stessa definizione, è l’autore dei più importanti discorsi   di The Donald, quelli che hanno scaldato l’elettorato.  Prima,  Miller ha lavorato per sette anni come portaborse del senatore Jeff Sessions (Repubblicano Alaska), per il quale ha preparato la campagna in cui Sessions s’è più distinto: l’eliminazione di un progetto di legge che facilitava l’immigrazione. Ben prima di Trump, è stato Sessions (dunque il suo  sottopancia Miller) a promuovere  la causa del Muro da costruire lungo il confine del Messico e proporre il divieto all’immigrazione di musulmani in Usa.

Del resto  la volontà di cui i media  mainstream  accusano Trump, ossia di voler schedare i musulmani alla frontiera, è esistito dal 2002: la legge  National Security Entry-Exit Registration System, introdotta da Bush jr. ; vero che  il sistema è stato  abolito nel 2011, ma con la motivazione che era “ridondante”: esistono  diversi altri sistemi che conservano  i dati dei musulmani in USA e ne controllano tutti gli spostamenti.

 Steve Mnuchin

Steve Mnuchin

Steven Mnuchin  – Uomo di Goldman Sachs, è stato il  direttore della campagna di finanziamento per Trump Presidente, con la mira di raccogliere un miliardo di dollari  per la causa. Membro di quella che il New York Times ha definito “una delle più influenti famiglie” di New York  (lui e suo padre sono diventati ricchi a Goldman Sachs)  il finanziere  amico di Trump da 15 anni; si è  dedicato anche al mondo dello spettacolo;  possiede una ditta cinematografica che ha collaborato a film di successo come “Avatar”.  Durante la campagna, Trump ha detto peste e corna di Goldman Sachs,  fra il crescente entusiasmo del  suo elettorato. Ora, si dice, medita di dare al suo amico Mnuchin (ossia a Goldman Sachs) il segretariato al Tesoro.

 

Hanno  affittato le Twin Towers a Silverstein

Lewis Eisenberg –  capo del settore “private equity” del  fondo speculativo Granite Capital International Group, Eisenberg presiede alle finanze del Republican National Committee. E’ – dice JTA – “uno dei  pochi  dirigenti della Coalizione Ebraica Repubblicana che non ha preso le distanze   dalla candidature di Trump”, anzi è stato un grosso donatore. Solo 9 dei 55 dirigenti della Republican Jewish Coalition  si  sono dichiarati pro-Trump. Eisenberg ha assicurato la JTA che Donald “è un forte avvocato per Israele” e le sue cause.

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Eisenberg

Notizia significativa: Eisenberg, nei giorni dell’11 Settembre, era  presidente della Port Authority (l’ente portuale) di New York, la proprietaria del World Trade Center con le due torri abbattute dalla cosiddetta Al Qaeda.

 

Michael Glassner   –  Trump l’ha scelto un anno fa   ad essere il suo direttore politico nazionale, perché Glassner (che ha una sua ditta di consulenza) è  molto desiderato “per la sua esperienza nel rapportarsi con l’elettorato ebraico”. Per questo è stato direttore della campagna di McCain nel 2008, e  prima di George  W. Bush nel 2000.

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Glassner

Nel 2001 era  il numero 2 della Port Authority di New York subito sotto Eisenberg, ed è stato lui,  nell’aprile 2001, a affittare l’intero WTC con le due torri e altri cinque edifici,   per 99 anni  a 3,2 miliardi, a Larry Silverstein.  Il noto immobiliarista J  che, previdente, fece subito assicurare le due Torri contro due distinti disastri aerei. Sicché  quando le Twin Towers collassarono, lui, che aveva pagato una sola rata dell’affitto di 99 anni,  si fece risarcire dalle assicurazioni con 7 miliardi di dollari.

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2004/12_Dicembre/07/torri.shtml

Oggi  Glassner è anche esponente di spicco dell’AIPAC (American Israeli Public Affairs Commitee),   la lobby pro-Israele  più temuta dai politici, e quindi la più obbedita. “Il mio interesse nella causa di Israele  è cresciuto esponenzialmente dopo l’11 Settembre”, ha dichiarato  Glassner: “ho capito che l’Islam radicale rappresenta una vera minaccia per tutti noi americani, e specialmente per me in quanto ebreo”.  Il che va lodato  come un notevole esempio di chutzpah.

Jared Kushner  – il bel genero di Donald, marito di Ivanka,    lo si posta in fondo ma andava messo in cima alla lista:  si è fatto largo a gomitate per diventare (lui senza alcuna esperienza politica) il capo del transition team, sbattendo fuori persone più sperimentate  che  odiava. Secondo la JTA, che gongola, è vicinissimo al Likud,  ed ha organizzato un viaggio del suocero in Israele l’anno scorso –  viaggio che è stato cancellato dopo che Netanyahu ha attaccato Trump per le sue proclamate intenzioni di bandire l’immigrazione musulmana negli Usa.  Trump si dice “innamorato” del suo “fantastico” genero.  E il bel Jared  si sta prodigando  per riempire il team, e la futura amministrazione, di  neocon del vecchio stampo.  Per esempio Frank Gaffney:  un personaggio  che fu anche assistente  segretario di Stato  sotto Reagan. Ma fu cacciuato dopo sette  mesi perché il suo estremismo filo-israeliano rasentava –  anzi superava – l’insanità mentale:   creava e diffondeva false informazioni,   ha inventato diverse teorie del complotto – spesso riprese  dai media – che sono palesemente false: per esempio, che l’attentato di Oklahoma  City nel 1995 era opera di Saddam Hussein, che Obama è un musulmano,   che il generale Petraeus  è “soggetto alla Sharia”, che il logo della US Missile Defense Agency nasconde una mezzaluna islamica ed è “la  prova della sottomissione ufficiale dell’America  all’Islam”, che lo sceriffo della contea di Broward  “ha legami diretti con Hamas”…; nel 2011, quando Obamam decretò la no-fly zone sulla Libia   come atto preliminare per  rovesciare Gheddafi,  Gaffney accusò Obama di stare meditando una no-fly zone anche per una invasione americana di Israele.  Forse stupirà sapere che, anziché dirigere un simile personaggio a cure psichiatriche, il candidato Ted Cruz, rivale per qualche settimana di Trump, ha annunciato che avrebbe fatto di  Gaffney il suo consigliere per la sicurezza nazionale: “E’ un serio pensatore  dedicato a lottare il jihadismo in tutto il mondo”, disse  Ted Cruz alla CNN.

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Gaffney, caso clinico

http://edition.cnn.com/2016/03/21/politics/ted-cruz-frank-gaffney-national-security/

Ora, grazie a Jared,  Gaffney è nella squadra di Donald.  E non  è il solo:  Jared Kushner è  quello che ha trascinato dentro Jmes Woolsey, l’ex capo della Cia che   fu probabilmente uno degli architetti dell’11 Settembre,  e John Bolton .

 

Il giornalista investigativo Wayne Madsen si allarma di questa torma di “insetti che infettano   il gruppo Trump”. Giudica particolarmente pericoloso  il ben noto Michael Ledeen, che si sta scavando un posto  nella futura amministrazione al seguito del generale Flynn, a cui ha scritto di fatto il libro di memorie  Field of Fight.

“Leeden” ricorda l’amico ed ottimo  Madsen, “è stato un danno alla sicurezza nazionale fin dai tempi dell’amministrazione Carter:  era allora un giornalista, che piantò sul New York Magazine una storia inventata su presunte preoccupazioni nel controspionaggio Usa circa la presenza di una “talpa sovietica”  nel governo Carter”, asserzione senza alcun fondamento.   Anni dopo, Ledeen riapparve come consigliere   Robert McFarlane, National Security advisor di Ronald Reagan,   e  in quella veste ‘consigliò’  un patto con l’Iran per  un traffico d’armi – che  portò  alla vicenda nota come “Scandalo Iran-Contra” e quasi provocò la caduta di Reagan per impeachment.  Ledeen raccomandò alla CIA  un iraniano espatriato, di nome Manucher Ghorbanifar, come preziosa fonte di intelligence; presto risultò che Ghorbanifar trafficava informazioni false per denaro.

Anche nell’amministrazione Bush jr.  Ledeen riuscì a  inserire Ghorbanifar  come informatore, con il quale architettò  la storia dell’Uranio del Niger:  secondo cui Saddam Hussein aveva comprato minerale d’uranio (yellowcake) per fabbricarsi l’atomica.  Fu una faccenda in cui fu coinvolto anche  il SISMI, lo spionaggio italiota,  e costò  la carriera al direttore Nicolò Pollari  – ma un’invenzione che venne giusto a puntino all’amministrazione Bush e  a Dick Cheney  per giustificare l’invasione dell’Irak. ‘

http://archivio.panorama.it/archivio/Chi-ha-mentito-sull-uranio-del-Niger

Poco dopo Ledeen, sempre col compare Ghorbanifar, propose alla Casa Bianca di pagare 25 milioni di dollari al gruppo terrorista iraniano anti-ayatollah Mujaheddin e-Kalk (MeK), il quale avrebbe piazzato  armi chimiche e radiattive  oltre il confine iraniano, in modo da incolpare Teheran di voler danneggiare le truppe americane in Irak, e quindi giustificare  il tanto desiderato  (da Israele) attacco Usa all’Iran.  In quegli stessi giorni,  da parte sua, James Woolsey, ex capo della Cia, vendeva alla Casa  Bianca  informazioni  spionistiche su “laboratori mobili per la fabbricazione di  armi biologiche”  in possesso di Saddam Hussei; la fonte di tali informazioni  era un iracheno  fuggito all’estero, Rafid Alwan al-Janabi,   noto alla Cia con lo pseudonimo di Curveball,  a cui la Cia credette ( o volle credere: a quel tempo la Casa Bianca voleva pretesti per attaccare, l’Irak), e che  resterà nella storia dell’agenzia come perenne vergogna.

E non basta.   Tra il 2001 e il 2005  – rievoca Madsen –  Michael Ledeen, attivissimo a Roma, organizzava riunioni segrete nell’ambasciata Usa fra agenti del Mossad, il capo del Sismi,  ministri di Berlusconi (Gianfranco Fini, Antonio  Martino) e “dissidenti iraniani”, che altri non erano che Ghorbanifar ed alcuni suoi compari – tutto allo scopo di trovare un pretesto per attaccare Irak e Iran; il tutto sotto la direzione di un funzionario dell’ambasciata, “il colonnello Franklin”.  L’indagine dell’FBI ha portato all’incriminazione del funzionario Larry Franklin per aver passato documenti segreti a due  dirigenti dell’AIPAC, che li hanno passati al Mossad.   Ledeen fu finalmente dichiarato “persona non grata” in Italia. Ha fatto danni a una quantità di gente, per il sommo bene di Israele e la guerra senza fine   all’Islam.

L’esempio serve a Madsen per concludere: “Se questi personaggi fanno il nido nell’amministrazione Trump, quel che ci guadagnerà sarà una presidenza   di un termine (soli quattro anni) a causa di scandali politici  provocati da accordi di retrobottega con interlocutori bugiardi e una quantità di informazioni d’informazioni falsificate”.

http://www.strategic-culture.org/news/2016/11/18/neocon-blasts-from-past-threaten-undermine-trump-presidency.html

Ma che importa a Ledeen, se la causa è adempiuta? L’ha scritta lui stesso così, in un fondo sul Wall Street Journal del 4 settembre 2002, a proposito della “espansione della democrazia” nei paesi che l’America si preparava ad attaccare: “La stabilità è una missione insegna dell’America, e per giunta un concetto sbagliato.  Noi non vogliamo ‘stabilità’ in Iran, Irak, Siria, Libano, o anche in Arabia Saudita; noi vogliamo che cambino le cose. La vera questione  non è se, ma come destabilizzare”. Il piano Kivunim spiegato in tre righe.