Il Premier Giorgia Meloni ha definito la cattura una grande vittoria dello Stato, «che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia. All’indomani dell’anniversario dell’arresto di Totò Riina, un altro capo della criminalità organizzata viene assicurato alla giustizia
La sceneggiata dell’arreso di Matteo Messina Denaro. Spigolature
La ‘profezia di Baiardo’. Due mesi fa, i primi di novembre, le rivelazioni choc di Salvatore Baiardo, a suo tempo persona di fiducia di boss mafiosi, a Massimo Giletti per ‘Fantasmi di mafia’, su La7.
“Che arrivi un regalino?… Che magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso?”. Per il governo, aveva aggiunto Baiardo, “sarebbe un fiore all’occhiello”. E a Giletti, che gli chiedeva se dunque la trattativa Stato-mafia non fosse mai finita, “si”, rispondeva laconico, ipotizzando un legame con l’ergastolo ostativo. “Se non si avvererà quel che ho detto – aveva dunque chiuso Baiardo – ci rivedremo e lei mi dirà che ho raccontato una fesseria. Vedremo…”.
Basta? Ancora no? Un articolo da Il Faro di Roma (vedete sotto quali improbabili testate locali deve leggersi la verità):
“ […] Il capomafia trapanese è stato condannato all’ergastolo per decine di omicidi, […] e per le stragi del ’92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino […]
Una comoda e anomala latitanza
Nell’estate 1993 Messina Denaro andò in vacanza a Forte dei Marmi insieme ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano e da allora si rese irreperibile, dando inizio alla sua lunga latitanza resa possibile da connivenze politiche siciliane tra cui Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano deceduto nel maggio 2021, inquisito per associazione mafiosa che nel 2004 si mise a disposizione del SISDE per la cattura del super-latitante. Purtroppo le connivenze non si limitarono al mondo politico siciliano ma si estesero a quello nazionale e all’universo imprenditoriale italiano, riuscendo a garantirsi anche la fedeltà di elementi deviati nei servizi e nell’Arma dei Carabinieri.
Da latitante U Siccu riusciva a gestire il suo impero mafioso, usando il pseudonimo di «Alessio ». Riscossione dei pizzi ai negozianti in cambio di protezione, traffico di droga e armi, riciclaggio di denaro tramite apertura di una catena di supermercati nella provincia di Agrigento e distributori di carburante nella provincia di Trapani. Queste alcune delle molteplici attività del suo Impero.
Le attività criminali di U Siccu subiscono un contraccolpo con l’arresto del Boss Bernardo Provenzano avvenuto nell’aprile 2006. All’epoca il SISDE era vicino a catturare il super-latitante grazie alla collaborazione di Vaccarino, ma la diffusione della sua segreta collaborazione con i servizi da parte del quotidiano “La Repubblica” fece saltare l’intera operazione del SISDE e la cattura di Messina Denaro. Su tale fuga di notizie non è mai stata aperta un’indagine.
Nel giugno 2009 l’impero del U Siccu subisce un seconda battuta d’arresto a causa dell’operazione «Golem» degli agenti del Servizio centrale operativo e delle squadre mobili delle questure di Trapani e Palermo che portò all’arresto di tredici persone tra mafiosi e imprenditori trapanesi, accusati di favorire la latitanza di Messina Denaro fornendogli documenti falsi ma anche di gestire, per conto del latitante, estorsioni, traffico di stupefacenti e riciclaggio di denaro tramite attività legali.
Nel Marzo 2010 l’operazione «Golem 2» porta all’arresto di altre diciannove persone a Castelvetrano, accusate di aver compiuto estorsioni e incendi dolosi per conto di Messina Denaro ai danni di imprenditori e politici locali. Tra gli arrestati figurarono anche il fratello del latitante, Salvatore Messina Denaro e i suoi cugini Giovanni e Matteo Filardo, nonché l’ottantenne Antonino Marotta, definito “il decano della mafia trapanese” perché ex appartenente alla banda di Salvatore Giuliano.
Anche la latitanza di Denaro risulta anomala. Il super-latitante non era rinchiuso in un bunker ma conduceva una tranquilla e normale vita andando anche allo stadio Renzo Barbera per assistere le partite di calcio della sua squadra del cuore: il Palermo, nonostante che le sue foto segnaletiche erano state ampiamente diffuse e nel 2010 Messina era stato inserito dalla rivista Forbes nell’elenco dei dieci latitanti più pericolosi al mondo.
U Siccu si recava regolarmente in villeggiatura presso la sua villa a Baden in Germania, percorrendo mezza Europa in auto. Nel 2015 l’emittente Radio Onda Blu fornì le immagini satellitari della sua auto parcheggiata presso la villa tedesca ma queste rivelazioni non fecero scattare una collaborazione con le forze dell’ordine tedesche. Qualcuno la fermò. Dal 2016 U Siccu inizia ad avere problemi di salute e si reca più volte in cliniche private a Pisa e Lamezia Terme, protetto dalla ‘Ndrangheta. Si reca anche in Piemonte per sottoporsi ad un intervento di chirurgia plastica al volto per non essere riconoscibile.
Nel frattempo il suo impero mafioso in Sicilia si espande a Malta dove gestisce il riciclaggio di denaro tramite dei casinò e in Venezuela dove alcuni italiani legati al U Siccu gestiscono i suoi affari tramite la copertura di aziende legali e pulite. U Siccu espande le sue attività persino negli Stati Uniti grazie al collegamento tra i suoi picciotti trapanesi e Cosa Nostra americana. Tramite un’alleanza con la ‘Ndrangheta, U Siccu entra pure nel giro d’affari legato al narcotraffico a Milano e in Spagna. Il patrimonio del super-latitante ammonta a decine di miliardi di euro, grazie alle attività illecite che lo hanno visto coinvolto, tanto da fare di lui uno dei mafiosi più ricchi e più abili nella gestione delle proprie entrate.
La latitanza protetta e facilitata da un intricato network di fedeli a U Siccu
L’arresto di Messina Denaro avvenuto presso la clinica privata della Maddalena mette fine alla lunga latitanza che è stata possibile solo grazie a connivenze e protezioni del mondo della politica, dell’imprenditoria italiana e di elementi di spicco «deviati » all’interno dei servizi e dell’Arma dei Carabinieri.
Tra i protettori di U Siccu figura Marco Lazzari, agente dell’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna) arrestato nel 2015 con l’accusa di proteggere la latitanza di Messina Denaro. Il Lazzari aveva il compito di intercettare tutti i tentativi di cattura delle procure di Trapani e Palermo informando preventivamente U Siccu al fine di evitare la sua cattura. Lazzari è sospettato anche della clamorosa scomparsa, avvenuta nel 2015, di un computer portatile e due « pendrive » appartenenti al capo del Pool che indagava su Messina Denaro, che contenevano importantissime informazioni riguardanti le indagini, coperte da segreto istruttorio.
Nel 2019 la procura della Repubblica di Palermo arresta il Tenente Colonnello Marco Zappalà, ufficiale dei Carabinieri in servizio alla Direzione antimafia di Caltanissetta e Giuseppe Barcellona, appuntato dei Carabinieri in servizio alla Compagnia di Castelvetrano che avevano sostituito il Lazzari nell’opera di intercettazione delle mosse dello Stato volte alla cattura del super-latitante.
Due protettori di U Siccu perfetti in quanto uomini chiave nei tentativi dello Stato italiano di catturare il super-latitante. Il Colonnello Zappalà era considerato uno degli uomini in prima linea alla caccia di U Siccu ed era anche impegnato in prima persona nelle indagini sulle stragi di Falcone e Borsellino di cui il super-latitante era coinvolto. L’appuntato Barcellona, ex Reparti operativi speciali dell’Arma, era in servizio al NORM di Castelvetrano e svolgeva attività di indagine su delega dei PM di Palermo anche sulla cattura di Messina Denaro. In particolare si occupava dell’ascolto delle intercettazioni telefoniche e ambientali.
Nel giugno 2020 viene scoperto e arrestato un altro fedelissimo protettore di U Siccu: il sindaco di Castellamare del Golfo Nicola Rizzo. L’arresto avviene durante l’operazione «Cutrara » avviata dal Nucleo Investigativo del Commando Provinciale di Trapani, coordinato dalla DDA di Palermo dove finiscono in manette anche il Boss «Ciccio Tempesta » (al secolo Francesco Domingo) e altri 9 personaggi. Domingo curava gli interessi di U Siccu in Sardegna e la gestione dei depositi di armi di U Siccu nel trapanese.
Legami con la politica e l’imprenditoria
Secondo il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori e l’ex senatore Vincenzo Garraffa, nel 1994 Messina Denaro si attivò per fare votare Antonio D’Alì (rampollo della famiglia D’Alì Staiti), candidato nelle liste del Popolo della Libertà, e tra i fondatori siciliani del nuovo movimento politico di Silvio Berlusconi : “Forza Italia”. Alle elezioni politiche del marzo di quell’anno D’Alì risultò eletto al Senato con 52 000 voti nel collegio senatoriale di Trapani-Marsala, e venne rieletto per altre tre legislature, mentre nel regno di U Siccu (collegio Mazara-Castelvetrano) fu eletto Ludovico Corrao. D’Alì nel 2001 venne nominato sottosegretario di Stato al Ministero dell’interno nei Governi Berlusconi II e III fino al 2006.
Sinacori dichiarò inoltre che «era risaputo che i D’Alì con i Messina Denaro erano in buoni rapporti», tuttavia la famiglia D’Alì Staiti si difese dichiarando che si era dissociata dai Messina Denaro dopo aver saputo U Siccu era diventato latitante. Secondo un altro collaboratore di giustizia Francesco Geraci (ex gioielliere e mafioso di Castelvetrano), l’Onorevole Antonio D’Alì cedette alcuni suoi terreni nei pressi di Castelvetrano a Messina Denaro, il quale li regalò al boss Salvatore Riina.
Nell’ottobre 2011 la procura di Palermo chiese il rinvio a giudizio nei confronti del senatore D’Alì per concorso esterno in associazione mafiosa a causa dei suoi rapporti con Messina Denaro e altri mafiosi della provincia di Trapani, sempre smentiti pubblicamente dal senatore. il 30 settembre 2013 D’Alì venne assolto soltanto per i fatti successivi al 1994 mentre i giudici dichiararono la prescrizione per quelli precedenti, nonostante l’accusa avesse chiesto una condanna a sette anni e quattro mesi di carcere. Qualcuno di molto potente all’interno del establishment politico intervenne per salvare D’Alì.
Nel 2007 venne arrestato l’imprenditore Giuseppe Grigoli, proprietario dei supermercati Despar nella Sicilia occidentale, il quale era accusato di essere favoreggiatore e prestanome di U Siccu, che investiva denaro sporco nei suoi supermercati. Nel 2011 Grigoli venne condannato a dodici anni di carcere per riciclaggio di denaro sporco mentre nel settembre 2013 il tribunale di Trapani dispose la confisca di società, terreni e beni immobiliari di proprietà di Grigoli dal valore di 700 milioni di euro.
Nel 2010 la Direzione Investigativa Antimafia di Palermo mise sotto sequestro numerose società e beni immobili dal valore complessivo di 1,5 miliardi di euro, le quali appartenevano all’imprenditore Vito Nicastri, ritenuto vicino a Messina Denaro: tra il 2002 e il 2006 Nicastri aveva ottenuto (grazie alla mediazione discreta e occulta di U Siccu) il più alto numero di concessioni in Sicilia per costruire parchi eolici. Secondo gli inquirenti il suo patrimonio sarebbe frutto del reinvestimento di denaro sporco del super-latitante.
Il 12 marzo 2012 la Direzione Investigativa Antimafia di Trapani chiese il sequestro del patrimonio dell’imprenditore Carmelo Patti, proprietario della Valtur, considerato anch’egli favoreggiatore e prestanome di Messina Denaro. Nel dicembre 2012 un’indagine coordinata dalla DDA di Palermo e condotta dai Carabinieri portò all’arresto di sei persone, tra cui l’imprenditore Salvatore Angelo, il quale era accusato di investire il denaro sporco dei Messina Denaro nella costruzione di parchi eolici fra Palermo, Trapani, Agrigento e Catania, destinando una percentuale degli affari al U Siccu.
Il 6 dicembre 2013 la DIA sequestra al settantunenne imprenditore palermitano Mario Niceta, , presunto prestanome del boss Messina Denaro, 50 milioni di euro in immobili e quote di società operanti nel settore della vendita di abbigliamento e preziosi. Esponenti di una cosca vicina a Matteo Messina Denaro sono stati arrestati per aver trasferito in Sicilia una somma di denaro guadagnata con l’allestimento di alcuni stand dell’EXPO di Milano del 2015. Le indagini hanno portato a indagare anche il vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona.
Anche a San Marino si è trovato un legame: un professionista ha avuto contatti email con uno stretto collaboratore di Matteo Messina Denaro che nel frattempo si era interessato nel traffico di reperti archeologici tramite alcune società riconducibili all’imprenditore Gianfranco Becchina. Tra le acquisizioni del U Siccu figurava nientemeno che una intera ala del castello di Castelvetrano appartenuto a Federico I nel 1239, divenuto Palazzo ducale dei principi Pignatelli.
Anche Salvatore Barone, ex direttore dell’azienda dei trasporti ATM di Trapani era un fedelissimo di U Siccu. Barone aveva ricevuto il compito di creare un network di imprenditori legati al super-latitante e alle famiglie mafiose di Alcamo e Calatafimi. Al Network collaborava attivamente Antonio Accardo, sindaco di Calatafimi Segesta. Il 15 dicembre 2020 Barono e Accardo vengono arrestati. Il primo con l’accusa di fiancheggiatore di Messina Denaro e il secondo per corruzione elettorale.
U Siccu e lo Stato-Mafia.
Tutte questi episodi dimostrano senza ombre di dubbio che la lunga latitanza di U Siccu è stata protetta da persone «deviate » dei servizi, dell’Arma dei Carabinieri, da imprenditori e politici, anche di grosso calibro. Giorgio Bongiovanni, esperto di mafia e collaboratore del sito di informazione AntiMafia Duemila, si spinge ad affermare che la latitanza del Boss di Trapani è stata protetta da uno Stato-Mafia. Un’affermazione che stride con la propaganda ufficiale che dipinge l’attuale compagine di potere come il «Governo dell’antimafia, il Governo della legalità».
«L’ex procuratrice aggiunta di Palermo (oggi alla DNA) Teresa Principato aveva parlato di una rete occulta della protezione politica offerta ai boss mafiosi da faccendieri, politici, funzionari di Stato e persino membri della massoneria. L’arresto di Matteo Messina Denaro avviene in un momento storico in cui siamo in presenza di un Governo di stampo fascista e razzista che gode del sostegno di un partito che ha come leader un uomo (Silvio Berlusconi,) che ha avuto rapporti pluriennali con la mafia e che ha tra i fondatori un uomo della mafia, ovvero Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa», afferma Bongiovanni.
Occorre ricordare che la forza delle mafie italiane nel nostro paese è attualmente a livelli inauditi e continua ad allargarsi in maniera spaventosa tra le pieghe della politica, dell’economia e della finanza in tutte le regioni del nostro paese anche nei baluardi della sinistra PD : Toscana ed Emilia Romagna.
Nel caso della «rossa » Emilia Romagna il regno è stato conquistato dalla ‘Ndrangheta all’inizio degli anni Ottanta. Secondo il pentito Antonio Valerio (Processo Aemilia) le famiglie mafiose Lucente, Bonaccio, Salvatore Tirotta conquistarono l’Emilia rossa attraverso i loro rappresentanti : Raffaele Dragone, Antonio Mutuo, Antonio Fava, Rocco Gualtieri (ora collaboratore di giustizia, Rosario Sorrentino. L’analisi dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata dell’Università (CROSS) di Milano nel settembre 2018 presentò un rapporto guidato da Nando Dalla Chiesa che descriveva le operazioni di insediamento della ‘Ndrangheta a Brescello e la sia espansione nelle province di Reggio Emilia, Parma, Modena e Piacenza.
Uno studio della Banca d’Italia pubblicato a dicembre del 2021 aveva rappresentato come il volume d’affari stimato delle mafie sul territorio nazionale superasse il 2% del PIL italiano. Parliamo di almeno 38 miliardi di euro l’anno (104 milioni al giorno). Qualche anno addietro alcune stime di Confesercenti indicavano in 105 miliardi all’anno gli utili della Mafia Spa che mette insieme gli affari di Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita. Numeri spaventosi, ben maggiori delle banche più ricche d’Italia, o di società come Enel, Assicurazioni Generali o Luxottica o aziende come Exor.
Il giornalista de Il Sole 24 Ore, Gianni Dragoni, ha evidenziato in maniera scientifica come la holding Mafia Spa potrebbe avere un valore ben superiore dell’intera Borsa italiana. “La Mafia Spa produce più utili di tutte le banche italiane insieme. Potenzialmente, se quotata in borsa, il valore di Mafia Spa potrebbe essere pari a 1.680 miliardi. Cioè quasi il triplo (2,85 volte) di tutte le 260 società italiane quotate in Borsa, che valgono complessivamente 587,6 miliardi. Come dire che, se si quotasse in Borsa, e quindi vendesse le sue azioni al pubblico, con il ricavato la Mafia Spa potrebbe comprarsi tutta la Borsa di Milano”, spiega Dragoni.
L’arresto di U Siccu sta facendo tremare molti imprenditori e politici che temono disastrose conseguenze collegate ad eventuali confessioni del super-latitante che potrebbero portare a nuove e inconfutabili prove che le mafie italiane sono inserite all’interno dello Stato e sono riuscite a creare un Sistema Criminale in grado di alterare la nostra democrazia.
Il destino di molti politici (alcuni che risiedono all’interno dell’attuale governo) e «rispettabili » imprenditori sembra ora legato al grado di omertà di U Siccu. Se Matteo Messina Denaro confermerà la sua reputazione di «Uomo d’Onore » molti VIP del mondo politico e imprenditoriale italiano ne usciranno illesi da questo arresto e la Mafia Spa potrà continuare ad imperare.
Aurelio Tarquini
Un altro articolo su un lato che mai sarà indagato dei rapporti Mafia e PD:
Quando fu ucciso, Falcone stava per inchiodare il PCI
Giovanni Falcone, con la moglie e la scorta, fu ucciso dalla colossale esplosione il 23 maggio 1992. Così non poté salire sul volo per Mosca, dove si preparava ad andare il 6 giugno seguente, 13 giorni dopo, per coordinarsi con il procuratore di Mosca Valentin Stepankov. Il quale stava indagando sull’estrema ruberia che dissanguò il popolo russo, commessa dalla dirigenza del PCUS e del KGB (il loro deep state) prima che Gorbaciov, il 6 novembre 1991, proibendo le attività del PCUS in Russia, gli sbarrasse l’accesso ai vasi di miele del Tesoro sovietico. Leggo: “..fondi segreti del KGB, molti patrimoni di occulti della nomenklatura sovietica” […] il procuratore di Mosca Stepankov aveva appurato che “il tesoro d Mosca era stato fatto affluire nella disponibilità del PCI attraverso canali finanziari già usati per il trasferimento di ‘aiuti ai partiti fratelli”.
Come giornalista io stesso parlai di questo saccheggio: una quantità incalcolabile di miliardi svaniti, centinaia di miliardi di dollari in valute pregiate e metalli preziosi, forse migliaia di miliardi – non si sa quanti – finiti all’estero, nel libero occidente: ma dove? Dove chi poteva riciclare e “lavare” un simile inaudito e mostruoso tesoro, in modo totalmente clandestino?
“Secondo gli atti giudiziari di Valentin Stepankov e di Giovanni Falconi era la mafia, sia quella italiana che quella siculo-americana insieme alla terribile mafia russa, usando il canale delle svariate società organiche al PCI, da sempre abituate a riciclare i fondi illeciti con cui lo finanziava il PCUS. Falcone e Borsellino cercavano che fine avevano fatto i ‘fondi segreti’ che il PCUS aveva esportato illegalmente in Italia ‘dopo la caduta del Muro”. Il PCI si rifiutò di collaborare. Magistratura democratica non mosse un dito” … Falcone, Borsellino e il ROS del generale Mario Mori avevano avviato un’inchiesta giudiziaria (Mafia e Appalti, dossier dei ROS) che avrebbe devastato le collusioni tra la mafia e il mondo delle cooperative rosse del PCI ”.
Così scrive Gaetano Immé nel suo “Attacco al potere comunista – gli intrighi, le collusioni, gli omicidi di mafia utili alla sinistra (Bonfirraro, 319 pagine, euro 18.90). Lasciamo a lui queste affermazioni, che sembra in grado di documentare in giudizio.
Fatto sta che Falcone “cessa di essere il fiore al’occhiello delle sinistre” per le sue inchieste sul “terzo livello” democristiano, e viene criticato dai media di riferimento –Repubblica, Espresso – e dai tele-giornalisti dell’area (Santoro, Augias) in una operazione di discredito e linciaggio morale . “Da qualche tempo”, scrisse Sandro Viola su Repubblica quattro mesi prima dell’assassinio del giudice “sta diventando difficile guardare al giudice Falcone con il rispetto che sì era guadagnato” .
Peggio: “dopo la morte di Falcone e Borsellino, tutti i fascicoli dell’inchiesta di Mosca e di Stepankov furono trasmessi alla procura di Roma da procuratore generale (di Palermo) dr Ugo Giudiceandrea […] Nessuno ne parla più […] l’inchiesta Mafia e Appalti di Falcone e Borsellino viene ‘archiviata’ dopo l’eliminazione dei due magistrati. In compenso, tutti quei magistrati di Palermo hanno fatto una straordinaria e brillante carriera”.
E aggiunge un passo terribile: il procuratore capo di Palermo Pietro “Giammanco [deceduto nel 2018] non è stato condannato per i 400 milioni [di lire] ricevuti dalla mafia, la famosa ‘nticchia i grassu’di cui parla il mafioso Angelo Siino, “episodio confermato da sentenza del tribunale di Caltanissetta (GIP Gilda Lofforti) ove, a pagina 21, 25 e 135 si parla di una cifra complessiva di 800 milioni di lire che Siino afferma di aver consegnato a Salvo Lima ; somma destinata, secondo quanto dichiarato dallo stesso Siino al dr. Giammanco per 400 o 600 milioni di lire”.
Calunnia sanguinosa! Come si fa a credere a un “pentito” come Siino? Attenzione, scrive Immé: la sentenza di Caltanissetta con la dichiarazione di Siino , “ che seppure non condanna penalmente Giammanco lo svergogna totalmente , si badi bene, non è stata nemmeno appellata da quei magistrati palermitani …. Parliamo del dottor Pignatone? Stessa sentenza di Caltanissetta, ma diventa procuratore generale a Roma” e dal 2019, pensionato dalla giustizia italiana, fatto da El Papa presidente del tribunale vaticano.
Ma in questi giorni in cui si rivela la marcescenza, la corruzione l’impunità onnipotente dei procuratori, consiglia la lettura di quel precedente scandalo soffocato e sepolto.
La mezza verità di Claudio Martelli:
"Falcone stava per partire per Mosca, mi disse che la mafia russa aveva in mano lo Stato" https://t.co/OGFcQNsJZp
— L'HuffPost (@HuffPostItalia) May 23, 2022
“Mafia russa” per non dire mafia PD: che ha in mano lo stato più di prima.
Qui Cesare Sacchetti:
A pagina 19 del Corriere della Sera del 4 giugno 1992 è sepolta, ben nascosta agli occhi dell’opinione pubblica di allora e di oggi, la verità sulla strage di Capaci. Falcone era stato ucciso barbaramente da 11 giorni. Quel giorno vennero a Roma i magistrati russi per fare luce sui fondi neri del PCUS transitati nel PCI. Marco Nese scriveva questo al riguardo dell’inchiesta.
“Se le carte dei russi sono veritiere, dal punto di vista giudiziario (per i responsabili del PCI-PDS n.d.r.) non si configurano solo il reato di violazione della legge sul finanziamento dei partiti. Ci sono anche illeciti tributari e falsi in bilancio. Dai documenti pare non risulti una clausola speciale. Se venisse confermata, sarebbe un fatto clamoroso. Si tratta di questo: i soldi arrivavano a condizione che il PCI seguisse in certe occasioni la linea dettata da Mosca.”
Questa è la verità che la magistratura italiana non ha mai perseguito negli ultimi 30 anni. Questa è la vera ragione per la quale Giovanni Falcone fu eliminato.
Vi basta? Festeggiate! E’ una grande vittoria dello Stato!