Persino la Botteri dovrebbe essersene accorta: è in corso una guerra civile negli Stati Uniti. Una guerra non (ancora) dal basso, ma che oppone i vertici. Una guerra pericolosissima. Anche per noi vassalli, ovviamente, perché deciderà se saremo in mano ad un superpotere totalmente criminale o meno.
E’ la guerra civile che oppone la Cia al presidente eletto Donald Trump. Ovviamente, nella frase qui sopra, “la Cia” è una semplificazione. Sta per i numerosi “servizi” in attività clandestina che, dall’11 Settembre 2001, sono stati autorizzati (dall’amministrazione Bush jr.) ad ogni genere di operazioni criminali, torture, assassini, false flag, disinformazione, reclutamenti di terroristi islamici eccetera; e che negli 8 anni dell’Amministrazione Obama hanno acquisito una autonomia e un potere senza precedenti.
Il punto è che tale contropotere si sente abbastanza forte distruggere Donald Trump: altra semplificazione, “Donald Trump” essendo la figura su cui settori “sani” dei servizi e dell’apparato militare hanno puntato per neutralizzare quel contropotere, da troppi anni deviante.
Il 5 gennaio, in udienza al Senato, James Clapper, ha confermato per l’ennesima volta che la Russia coi suoi hacker ha influenzato le elezioni americane, anche se “non possiamo valutare” come ha influito “sulle scelte fatte dall’elettorato”; e ha ridefinito la Russia “una minaccia esistenziale per l’America”, evidentemente contro la volontà politica espressa dal prossimo presidente.
Clapper, 75 anni, è il capo (dimissionario) è il Direttore della National Intelligence (DNI). Il suo Ufficio (ODNI) è l’’organo di collegamento fra i 17 “servizi” Usa, civili e militari, esteri ed interni, e la Casa Bianca: in pratica è il mezzo con cui i servizi “parlano” con un’unica voce al presidente.
Clapper è anche quello che, nella veste di DNI, e certo per conto di Obama, ha sbattuto fuori dalla DIA (Defense Intelligence Agency) il generale Michael Flynn, che ha diretto questi servizi militari fino al 2013, ostacolando le losche manovre Cia e del Dipatimento di Stato sotto Hillary Clinton Clinton in Libia e Siria di armamento dell’IS. Ed ora, si ritrova Flynn come consigliere della sicurezza nazionale di Donald, che gli ha affidato apertamente il compito di ristrutturare la Cia e gli altri servizi. “Il team di Trump ritiene che il mondo dell’intelligence è diventato troppo politicizzato”, ha confidato al Wall Street Journal un anonimo che fa parte del team; “Tutti devono essere snelliti. Il punto sarà la ristrutturazione delle agenzie e di come interagiscono”.
Flynn essendo del ramo, sa esattamente dove tagliare e come ristrutturare, e colpire dove fa più male. Rabbia e panico nella “community” sono palpabili. È ancor più impressionante che essa sfidi apertamente il presidente che entrerà in carica fra pochi giorni. E’ una rivolta che, mi pare, non ha precedenti (salvo forse l’assassinio di Kennedy); prima, almeno, l’intelligence fingeva lealtà; ora ha gettato la maschera.
L’insistenza con cui accusano Mosca di aver di fatto aiutato la vittoria di Trump, senza fornirne indizi decisivi, ha lo scopo di far pendere sul neo-presidente un’accusa di tradimento? Intendono delegittimarlo al punto da arrivare alla sua sostituzione con vicepresidente Pence, molto più docile? Forse sperano di delegittimarlo quanto basta per renderli impossibili i cambiamenti maggiori in politica estera che Trump ha progettato: la fine del conflitto con la Russia e la sua associazione nella stabilizzazione del Medio Oriente, la riduzione del bellicismo NATO, l’esportazione della democrazia…
E’ molto istruttivo vedere come il Carnegie Endowment for International Peace, storico think tank dedito a tale missione, abbia appena lamentato, per voce del suo vicepresidente Thomas Carothers, che “sotto Trump” le “prospettive di diffusione della democrazia Usa” sono “negative”: citando espressamente il “brutale Duterte dittatore delle Filippine” e Orban dell’Ungheria: due paesi bisognosi di democrazia, che dovranno aspettare.
http://carnegieendowment.org/2017/01/05/prospects-for-u.s.-democracy-promotion-under-trump-pub-66588
La Commissione Difesa davanti alla quale Clapper ha ripetuto le accuse dei servizi contro Putin (di fatto contro Trump) è capeggiata da una vecchia conoscenza: il senatore dell’Arizona John McCain, quello che per anni ha canterellato Bomb Bomb Bomb Iran sicuro di far piacere ai suoi amici neocon, quello che ha avuto le mani in pasta nella creazione del Califfato. E adesso, prima ancora che cominciasse l’udienza di Clapper, ha detto: “Ogni americano deve essere allarmato dalle aggressioni della Russia alla nazione”.
McCain in Ucraina, di nuovo
McCain, insieme al suo complice e subalterno di sempre senatore Lindsey Graham, hanno passato parte delle feste natalizie sapete dove? In Ucraina dell’Est, nella “zona di combattimento avanzato” di Shirokyn, dove hanno arringato le milizie neo-nazi e i pochi “regolari” che fanno provocazioni contro il Donbas separatista (e dopo tale incoraggiamento hanno portato sul fronte artiglierie pesanti in spregio a Minsk 2) e criticando esplicitamente la politica di riavvicinamento a Mosca di The Donald.
Sono due senatori repubblicani, che sicuramente Trump avrà contro nel Congresso; come forse la maggioranza del Partito, che ha vinto le elezioni grazie a lui ma lo detesta e non lo riconosce come suo organico esponente: il Grand Old Party (GOP) è il partito dei complesso militare-industriale, di quella Boeing e Lockheed di cui Trump ha denunciato i sovraccosti che accollano alle finaze pubbliche coi loro aerei, per non parlare dei neocon come Kagan (il marito della Nuland); dall’appeasement con Putin hanno solo da perdere.
Ed hanno molti mezzi per fermare il cambiamento, in associazione come sono con il contropotere che abbiamo chiamato, per semplificazione, “la Cia”. Nel maggio scorso, il senatore Graham è giunto a “prevedere” (ossia a minacciare) “un altro 11 Settembre” se Trump veniva eletto presidente al posto di Ted Cruz. “C’è una guerra civile dentro il GOP”, disse allora.
http://edition.cnn.com/2016/05/01/politics/lindsey-graham-gop-civil-war/
In Senato, questi repubblicani voteranno contro Trump: quanti saranno con loro e a fianco dei democratici, è da vedere. La loro opposizione potrà non limitarsi al voto contrario. Il 4 dicembre scorso, il senatore democratico Chuck Schumer (ebreo, uomo di Wall Street), ha commentato in questo modo i propositi di Trump di riformare la Cia: “Lasciatemelo dire: se te la prendi con la Intelligence Communiy – loro hanno sei modi da domenica per fartela pagare”.
E la giornalista che lo intervista, Rachel Maddow, lesbica militante (onde si ritiene “progressista” ) e stella della MSNBC, ridacchia con lui con un’aria di intesa.
http://www.zerohedge.com/news/2017-01-04/did-chuck-schumer-just-threaten-donald-trump
Il Wall Street Journal raccoglie le lamentele di una fonte che dice: “E’ orribile. Nessun presidente ha mai tanto sfidato e diffamato così tanto la Cia, sperando di poterne uscire senza ostacoli”.
Vi si aggiungano le operazioni finali di Barak H. Obama, che non possono essere ridotte a meschine pugnalate alla schiena di un cattivo perdente, ma forse vanno intese come la preparazione a qualche evento gravissimo: dal massiccio riarmo della NATO, con l’ammasso di truppe e mezzi ai confini della Russia: si va dallo sbarco di 2500 automezzi militari a Bremerhaven ed avviati verso la Polonia, a cui si sono aggiunti 84 elicotteri da combattimento (dodici elicotteri Classe CH-47 (Chinook), 24 AH-64 (Apache), 30 OH-58 (Kiowa) e 50 UH-60 (Blackhawk)) per una esercitazione enorme in extremis, chiamata Atlantic Resolve; fino all’enigmatico ritiro di tutte le portaerei Usa (dieci, coi relativi gruppi navali d’appoggio) da tutti i mari. E’ la prima volta dal 1945 che accade. La cosa è così strana che il noto blogger Alex Jones ha paventato sia la preparazione ad un qualche “false flag”, magari nell’imminenza dell’inaugurazione di The Donald. Sembra anche che il generale Mattis, che sarà il nuovo ministro della Difesa tra un paio di settimane, non ne fosse informato e sia rimasto estremamente irritato. Ultimo, con un decreto, Obama ha dichiarato “infrastruttura critica” tutto l’apparato elettorale (a cominciare dagli elenchi computerizzati dei registrati al voto) mettendolo sotto controllo del Dipartimento della Sicurezza Interna, come per sottrarlo ai fantomatici hackers di Putin – o come se lui dovesse aprire una nuova elezione fra poco.
La forza e quantità dei poteri che sono contro Trump e con “la Cia” in questa sfida – dai Kagan ai neocon dei due partiti, dal Sistema Militare Industriale , al NewYork Times, Washington Post e stelle televisive “giornalistiche” e “di sinistra” schierate coi neocon a sparare fake news (e spesso J, complici della falsificazione fondamentale avvenuta con l’11 Settembre, versione ufficiale), è tale da far tremare le vene e i polsi chiunque. E “la Cia” infatti si sente abbastanza forte da sfidare il presidente parvenu, non scelto dal sistema.
Ma Trump sbatte fuori Woolsey, neocon
L’altra parte – a cominciare da Trump – non sembra intimorita, il che depone –se non altro – a favore del suo coraggio; coraggio anche fisico. Dal transition team di Donald si è dimesso l’ex capo della Cia James Woolsey: uno dei neocon più pericolosi e compromesso con l’11 Settembre. Woolsey è stato infatti firmatario del documento “Rebuilding of American Defense” (emanato dal Project for a New American Century) in cui si auspicava “una nuova Pearl Harbor” come scusa per invadere l’Irak; auspicio che l’attentato alle Torri Gemelle esaudì finalmente. Tra i firmatari, con Woolsey, figuravano Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz (il supersionista allievo di Leo Strauss), Richard Armitage, Michael Leeden…
https://it.wikipedia.org/wiki/Progetto_per_un_nuovo_secolo_americano
L’inserzione nel transition team di un simile personaggio aveva fatto pensare ad un’altra presidenza, la terza, in mano al sistema neocon-israeliano. Adesso Woolsey (o un anonima fonte “a lui vicina”) ha lamentato al Washington Post che era sempre più a disagio di dare “il suo nome e la sua credibilità al transition team senza essere mai consultato”; che “non è stato coinvolto nelle discussioni, la sua opinione non è stata ricercata”, insomma il gruppo di Trump hanno fatto come non ci fosse.
Steve Pieczenik s’è rifatto intervistare da Alex Jones ed ha evocato “l’omosessualità del mulatto”, il fatto che Obama è stato “creato dalla Cia”, che “non sa cosa fare col mezzo milione di gente che ha aiutato ad ammazzare in Siria”, il patetico “ebreo” John Kerry, il coinvolgimento del gruppo Hillary e Cia nell’11 Settembre”: sono rapide allusioni a panni sporchi e sporchissimi che il gruppo attorno a Donald può sciorinare a danno degli avversari, se è il caso. Ha evocato chiaramente “la necessità di ripulire tutta la zona neocon” e la Cia che ha “creato Al Qaeda e ISIS”. La minaccia di rivangare la verità sull’11 Settembre è tale da portare ad esecuzioni capitali, se si aprisse un processo.
Insomma pare una sfida all’ultimo sangue. Senza compromessi. Con accuse reciproche che possono trarre l’una parte o l’altra in tribunale per alto tradimento. Forse è prematuro, quindi, valutare l’intenzione dell’amministrazione Trump nel rovesciare l’ostilità verso la Russia in vicinanza: sarebbe il progetto di mettere un cuneo fra Mosca e Pechino, unite da un’alleanza (o semi-alleanza) dalla politica ostile di Obama e dei neocon. Sarebbe un progetto di importanza strategica storica, non necessariamente un male – salvo, ovviamente, per la classe dirigente dell’Europa che ha sbagliato tutta la politica estera degli ultimi dieci anni, opponendosi al “destino manifesto” che era l’integrazione con la Russia.
Lo sparatore di Fort Lauderdale: “Voci nella testa mi dicono di lottare per l’IS”
Non sarà sfuggito il profilo di Esteban Santiago, il giovane che ha fatto strage all’aeroporto di Fort Lauderdale: ex soldato, un anno di servizio in Irak, sofferente di turbe mentali, disoccupato per essere stato rimosso dalla Guardia Nazionale di Alaska per ripetute assenze : il profilo tipico del “solitary assassin” , se non del “terrorista dell’IS” che urla Allah Akhbar e viene fulminato dalla polizia; tanto più che per la sua fisionomia potrebbe passare per un medio-orientale.
Quindi non è affatto da svalutare o beffeggiare ciò che lui stesso andò a dire, un anno fa (o a novembre per altre versioni), ad agenti dell’FBI di Anchorage: che “udiva delle voci in testa che gli dicevano di guardare materiale dello Stato Islamico”, ma che “lui non voleva far male a nessuno”. Una prima versione del suo racconto apparsa sui media, e poi modificata, diceva che il povero sciagurato, all’FBI, aveva detto: “Il governo mi ha obbligato a vedere video dell’IS” e “a combattere per l’IS”. Secondo la CBS, nel 2011 o 12, Santiago fu “trattato” dalla Homeland Security per “pornografia infantile”: gli sarebbe stato sequestrato un computer (probabilmente con le immagini vietate?) e tre armi; ma poi non sarebbe stato più perseguito “per scarsità di indizi”.
E’ decollato da Anchorage dopo aver dato come unico bagaglio quello in cui teneva l’arma da fuoco. Dopo un scalo a Minneapolis, sceso a Fort Lauderdale in Florida, ha preso il bagaglio e si è diretto alla toilette: qui ha caricato l’arma, è tornato in sala e ha cominciato a sparare, mirando alla testa delle persone. Non ha detto una parola. Ha continuato a sparare finché ha esaurito il caricatore; allora ha buttato l’arma e si è steso sul pavimento a braccia e gambe aperte in attesa di essere ammanettato. Si è comportato come un automa.
Per coincidenza, ha assistito alla sparatoria Ari Fleischer, ex portavoce del presidente Bush jr., ebreo neocon, che ha tenuto un resoconto della tragedia in diretta a forza di tweet.
Forse è lecito vedere in questa tragedia l’azione di uno strumento del contropotere che abbiamo chiamato “la Cia”. Una sua scheggia impazzita, o un elemento di quella strategia della tensione che dura da troppi anni.