I capi di Stato devono preoccuparsi soprattutto dei peccati che si commettono nel loro territorio. I peccati sono le grandi sventure nazionali, perché attirano i castighi di Dio, e perché rappresentano essi stessi un castigo, perché non c’è male più grande quanto quello di perdere la grazia di Dio.
I peccati impuri poi sono quelli che degradano una nazione e la rendono insensibile ai beni soprannaturali; sono quelli che rovinano la compagine della famiglia e l’ordine stesso della società.
I governi che non vigilano sulla nazione, e lasciano correre gli scandali della stampa, dei teatri e dei cinematografi, i governi che trattano con indulgenza i delitti impuri, condannano le nazioni alle più gravi sventure, e sono responsabili della loro rovina. Un giovane, per esempio, che rapisce una fanciulla con la forza, e le toglie l’innocenza, merita la morte molto più di un brigante che toglie la vita; una donna che insidia la pace di una famiglia e toglie ai figli il legittimo padre, avvinghiandolo nelle spire della seduzione; un uomo che sottrae ad una famiglia la madre, rendendola una vile megera, meritano l’ergastolo molto più di un ladro che per rubare uccide.
Quando si pensa che in certe nazioni apostate l’adulterio è legalizzato con il divorzio, e che i giudici quasi sorridono sui delitti della seduzione, si capisce perché i popoli sono infelici, e perché i regni sono pieni di sventure! Il castigo di Dio è una misericordia divina per queste nazioni apostate, perché il castigo risveglia la coscienza e la inclina al bene, il peggiore flagello è appunto il silenzio di Dio, perché allora i peccati avvincono i popoli e li condannano alla morte.
Dolindo Ruotolo sacerdote