Fatte salve le imperdonabili colpe della Francia in Africa, qui un’informazione del Moon of Alabama blog:
[…]
il presidente francese Macron e il suo governo hanno dato agli Stati Uniti l’opportunità di fregare nuovamente la Francia.
Lo ha fatto con AFRICOM, lo strumento statunitense per indebolire i paesi africani attraverso la “cooperazione” militare.
Gli Stati Uniti hanno utilizzato la formazione di ufficiali africani per trovare e addestrare le persone con cui potevano “lavorare”. Un numero sorprendente di questi ufficiali furono successivamente coinvolti in colpi di stato che spesso si son0 rivelati antifrancesi e filoamericani:
[S] dal 2008 ufficiali addestrati dagli Stati Uniti hanno tentato almeno nove colpi di stato, e sono riusciti in almeno otto in cinque paesi dell’Africa occidentale: tre volte in Burkina Faso; tre volte in Mali; e una volta ciascuno in Guinea, Mauritania e Gambia.
L’addestramento e il sostegno degli Stati Uniti alla regione passano attraverso il Dipartimento di Stato e l’Africa Command, un braccio del Dipartimento della Difesa, responsabile delle operazioni militari in tutto il continente.
Da quando è stato scritto quanto sopra, il Niger ha seguito col suo golpe, poi il GAbon
Il generale Moussa Barmou, il comandante addestrato dagli americani delle forze per le operazioni speciali del Niger, era raggiante mentre abbracciava un generale americano di alto livello in visita alla base di droni del paese finanziata da Washington, costata 100 milioni di dollari, a giugno.
Sei settimane dopo, Barmou ha contribuito a spodestare il presidente eletto del Niger.
Per gli ufficiali militari e i diplomatici statunitensi è diventata una storia fin troppo familiare – e profondamente frustrante.
Il Niger è uno dei numerosi paesi dell’Africa occidentale in cui ufficiali addestrati dall’esercito statunitense hanno preso il controllo dal 2021, tra cui Burkina Faso, Guinea e Mali. Alcuni golpisti hanno avuto stretti rapporti con i loro istruttori americani, il cui tutoraggio comprendeva lezioni sulla salvaguardia della democrazia e dei diritti umani insieme alle tattiche militari.
Ma per favore risparmiami le lacrime di coccodrillo sul “salvaguardare la democrazia”. Gli Stati Uniti hanno una grande base militare in Niger e questo, insieme all’influenza che porta con sé, è tutto ciò che conta.
Dopo il colpo di stato, al contingente militare francese in Niger e al suo ambasciatore è stato detto di andarsene, mentre è probabile che la grande base di droni americana rimanga.
È un risultato negativo per gli Stati Uniti o il risultato di un piano?
Gli Stati Uniti hanno interessi strategici in Africa e, come scrive Michael Shurkin (j, Yale) , ex analista della RAND e della CIA e membro senior del Consiglio Atlantico, vogliono che la Francia se ne vada :
Ho accolto con favore gli sforzi francesi volti ad aiutare i paesi del Sahel – in particolare Burkina Faso, Mali e Niger – a difendersi dalle insurrezioni jihadiste affiliate ad Al Qaeda o allo Stato islamico.
Eppure, l’unica conclusione ragionevole da trarre ora è che la Francia dovrebbe chiudere le sue basi e andarsene.
Il problema, come è stato reso chiaro dai recenti eventi in Niger, è che qualunque cosa faccia la Francia, nel bene o nel male, provoca una reazione allergica in popolazioni da tempo condizionate a diffidare delle motivazioni francesi e a pensare il peggio.
Che questo sentimento antifrancese sia giusto o meno non ha alcuna importanza. I legami con la Francia sono ormai diventati un bacio della morte per i governi africani – un fenomeno dimostrato dal destino del presidente del Niger Mohamed Bazoum.
Vabbè. Chi ha creato Al Qa’eda e lo Stato Islamico? Chi li ha spostati dall’Asia occidentale all’Africa?
Sì, la Francia ha mantenuto alcune delle sue cattive abitudini e influenze coloniali e alcune persone la odiano davvero per questo. Ma chi è la propaganda che li ha spinti in quella direzione?
Il piano è ovvio. La Francia deve essere espulsa affinché gli Stati Uniti possano entrare:
…. la minaccia che la Russia riempia il vuoto è sopravvalutata e non dovrebbe giustificare un ulteriore coinvolgimento [della Francia]. In effetti, parte del fascino della Russia risiede nel fatto che molti africani la vedono come una sorta di anti-Francia. E quanto meno la Francia vive “senza rendita” nell’immaginario collettivo, tanto minore sarà il suo fascino simbolico.
Un altro motivo di attrazione della Russia è che alcuni governi africani, tra cui il Mali, sono frustrati dalla reticenza della Francia ad assisterli in una strategia che troppo spesso implica prendere di mira alcune comunità etniche – soprattutto Fulani ma anche arabi e tuareg. E se è questo ciò per cui vogliono aiuto, allora la Francia e le altre potenze occidentali hanno ragione a rifiutare.
Il fatto che gli Stati Uniti e altri partner europei come la Germania non provochino la stessa reazione fornisce loro un’apertura, un modo per contribuire a riempire il vuoto per tenere fuori la Russia e aiutare gli stati africani a difendersi. Ma ciò richiederà loro di preoccuparsi e di esercitare un grado di creatività maggiore di quanto abbiano dimostrato finora.
Significherà anche che la Francia dovrà fidarsi di loro nel suo ex impero. Questo costituiva un ostacolo fino agli anni ’90, ma a questo punto Parigi è pronta.
E, davvero, non ha scelta.
Povera Francia. Gli viene detto di andarsene e di lasciare che gli Stati Uniti prendano il controllo delle sue ex colonie. Non ha scelta.
Ci è voluto molto tempo prima che i francesi si rendessero conto di quel piano. Ma finalmente si sta prendendo coscienza. La principale rivista geopolitica francese, Conflits , discute l’articolo di Shurkin e chiede:
Pourquoi l’Amérique veut-elle chasser la France d’Afrique ?
Perché l’America vuole cacciare la Francia dall’Africa?
Si conclude correttamente:
Gli americani vogliono sacrificare la presenza francese per sostituirli e sostenerli.
Da quando la Francia ha rifiutato l’invasione americana dell’Iraq, gli Stati Uniti hanno fatto del loro meglio per negare alla Francia qualsiasi ruolo internazionale indipendente. La rivista discute vari luoghi globali e pianifica dove e come la Francia può ragionevolmente impedirlo. Conclude
“Ciò che è in gioco non è semplicemente la presenza della Francia nel Sahel o in Africa. La sta mantenendo come potenza sovrana globale o lo sta riducendo a potenza in Europa. Per estensione, la sua relazione naturale sarà quella di essere una delle maggiori democrazie dipendenti dagli Stati Uniti, che formano una struttura rigida, imperiale, dietro gli Stati Uniti, o sarà in grado di formare una libera alleanza in un quadro multilaterale, una posizione molto migliore per difendere i propri interessi e valori?
Senza dubbio, l’America e gli europei hanno bisogno di una voce che ricordi loro i pericoli della rispettiva arroganza o della loro debolezza. Indubbiamente, il mondo ha bisogno di potenze medie e autonome e che la Francia trovi un nuovo equilibrio, aiutando i paesi emergenti, sostenendoli senza soffocare gli Stati fragili ed evitando la logica dello scontro diretto tra i blocchi.
Ma per raggiungere e rimanere in quella posizione, la Francia deve contrastare ulteriori piani statunitensi volti a spingerla fuori da dove gli Stati Uniti vogliono essere. La Francia imparerà finalmente come farlo?
Ricordiamo la precedente fregatura che Washington ha inflitto a Parigi nel Pacifico : la Francia che aveva un grosso contratto con l’Australia per costruire sottomarini convenzionali. Gli USA hanno “convinto” il governo australiano a comprare invece sommergibili nucleari americani. Il ministro degli Esteri francese ha detto che si tratta di “una pugnalata alle spalle”. La Francia non è stata nemmeno informata dell’accordo ma ne è venuta a conoscenza dalla stampa.
Il fatto che gli Stati Uniti abbiano fregato la Francia, un grande alleato europeo della NATO, per i propri scopi politici ed economici non è necessariamente senza precedenti, ma farlo pubblicamente e apertamente come ha fatto l’accordo AUKUS avrebbe dovuto essere un grande campanello d’allarme.
Sfortunatamente il presidente francese Macron e il suo governo si sono riaddormentati e hanno dato agli Stati Uniti l’opportunità di fregare nuovamente la Francia.
Dopo questo, posto il link all’informatissimo articolo di Sacchetti, che interpreta i golpe in Africa come una sconfitta dei Roltschild.
Il golpe in Gabon, la strategia della Russia e il colpo ai Rothschild
Categorie: Stato profondo
I BRICS, Goldman Sachs e i depistaggi della falsa controinformazione
di Cesare Sacchetti La pagina che è stata scritta la passata settimana dai BRICS è una di quelle…
Sogno di un gatekeeper di mezza estate
di Cesare Sacchetti Erano giorni relativamente tranquilli che passavano per molti nel tentativo di…
Di Cesare Sacchetti
L’Africa si è risvegliata sotto il sole di un nuovo colpo di Stato. È da circa un anno che il continente africano è il protagonista indiscusso di un completo riordino politico e geopolitico dei suoi governi.
Stavolta è toccato al Gabon essere il protagonista dell’ennesima giunta militare che sale al potere e rovescia il governo precedente.
Il Gabon è uno Stato non molto grande che si trova sulla costa Occidentale dell’Africa bagnato dall’Oceano Atlantico e confinante con il vastissimo Congo e con il Camerun.
È un Paese che è stato per più di 50 anni nelle mani della dinastia politica dei Bongo, l’ultimo dei quali, l’ormai ex presidente Ali Bongo, è stato rovesciato proprio dai militari e che si trova ora agli arresti domiciliari.
Bongo era il garante di uno status quo molto preciso e molto definito che ha tenuto in ostaggio per troppi decenni il continente africano.
Se si dò uno sguardo alle sue fotografie sui motori di ricerca lo si vede spesso in compagnia dei personaggi più influenti dello stato profondo di Washington, quali i democratici Barack Obama e Hillary Clinton.
Ali Bongo assieme a Hillary Clinton
Quando il presidente autoritario di turno è del tutto allineato agli interessi del mondo Occidentale, allora non è un segreto che l’ipocrita “regola” del culto dei diritti umani non vale più nulla.
Viceversa, se esiste un disallineamento tra gli interessi dell’Occidente e quelli di un determinato Paese, allora in quel caso troveremo intere pagine dei media mainstream dedicate a presunte violazioni dei diritti umani da parte del governo di quel Paese.
È il caso dell’Iran che negli ultimi mesi è stato al centro di una enorme campagna diffamatoria volta ad accusare Teheran di aver commesso degli abusi contro una donna curda, Mahsa Amini, fermata per non aver indossato il velo, quando in realtà le immagini, nemmeno mostrate dalle televisioni europee, smentiscono completamente che Masha sia stata vittima di aggressione e che è invece morta per uno degli ormai tristemente noti “malori improvvisi”.
Il Gabon non veniva sfiorato da tale campagna nonostante il suo ex presidente, Ali Bongo, sia stato accusato in passato di aver truccato le elezioni e di essere salito al potere attraverso gravi irregolarità.
Le mani della Francia sull’Africa
Gabon però vuol dire anche Francia perché questo Paese non era solamente sotto l’egida di Washington ma soprattutto sotto quella di Parigi.
Il Gabon è infatti membro del famigerato franco CFA del quale avevamo parlato in altre occasioni.
Attraverso tale cappio monetario, ben quattordici Stati africani appartenenti alla cosiddetta Françafrique si sono ritrovati impossibilitati ad esercitare una loro politica monetaria indipendente.
Il Franco CFA è legato ad un cambio fisso con l’euro e ciò impedisce ai suoi membri di poter svalutare la moneta per poter alleggerire le inevitabili pressioni deflazionistiche sui salari e dare così nuova linfa vitale alle esportazioni.
Non è solamente questo il giogo che Parigi ha imposto agli appartenenti a questa unione monetaria. Ogni Paese che si ritrova a dover utilizzare il franco CFA è tenuto a versare metà delle proprie riserve in valuta estera nelle casse del Tesoro francese.
E il colonialismo di Parigi viene esercitato anche ovviamente sull’enorme giacimento di materie prime che custodisce il continente africano.
Ovunque si scavi nel sottosuolo dell’Africa si trovano enormi giacimenti di minerali o di idrocarburi.
L’Africa è un immenso deposito di materiali indispensabili per le economie di quei Paesi che lo depredano lasciando agli africani poche briciole.
E ciò che accadeva, solamente per citare un esempio più recente, al Niger. Il Niger è uno dei produttori più grossi di uranio in assoluto e occupa la settima posizione su scala mondiale nell’estrazione di questo minerale.
Uranio vuol dire necessariamente nucleare perché, come molti lettori probabilmente già sanno, per alimentare le centrali nucleari è necessario proprio avere la disponibilità di questo materiale.
Per la Francia avere il controllo della produzione di uranio nigerino era semplicemente fondamentale per tenere in piedi tutte le sue centrali nucleari.
Parigi esercitava la sua famigerata regola coloniale su questo Paese spiegata molto bene nelle settimane scorse dal leader del gruppo Wagner, Prigozhin, di cui parleremo anche successivamente nel corso di questa analisi.
Prigozhin nel suo video rilasciato nei primi giorni di agosto denunciava i saccheggi perpetrati dalla Francia ai danni del Niger.
L’estrazione dell’uranio nigerino veniva eseguita principalmente da una società partecipata al 45% dal governo francese di nome Urano.
Urano estraeva il minerale e pagava al governo nigerino solamente 11 dollari dei 218 che invece il mercato attribuisce per la sua vendita.
Non era altro che una depredazione delle preziose risorse del Paese africano.
La famiglia Rothschild e il Gabon
In Gabon, aveva luogo un processo del tutto simile.
Questo Paese è noto principalmente per l’estrazione di manganese che viene effettuata da un’altra società francese di nome Eramet che stavolta però non è partecipata dal governo francese.
Eramet ha radici alquanto antiche perché la sua fondazione risale al 1880. Se leggiamo la sua storia, apprendiamo che i fondatori di questa compagnia che ha adottato la forma giuridica della società anonima sono i noti, o famigerati, Rothschild.
A quanto pare, i banchieri di origine askenazita, che già nell’anno della fondazione di Eramet erano una delle famiglie più potenti e influenti del pianeta, cercarono di mantenere segreta la loro partecipazione in questa società.
Il casato dei Rothschild segue una regola molto ferrea dalla sua fondazione trasmessa dal capostipite della famiglia, Mayer Amschel, ai suoi cinque figli.
L’esatto ammontare della ricchezza non avrebbe mai dovuto essere rivelato al mondo esterno e anche le varie partecipazioni della famiglia andavano nascoste attraverso società di copertura o prestanome.
Il ricercatore americano Eustace Mullins afferma proprio a questo riguardo che anche il noto banchiere americano JP Morgan ha ricevuto i capitali per la fondazione del suo impero dai Rothschild.
La rete di questi banchieri è praticamente sterminata e in ogni singola corporation di rilievo si trovano spesso molto ben occultate le loro partecipazioni.
È il caso dei due fondi di investimento Vanguard e BlackRock. BlackRock è salito agli onori delle cronache per essere il fondo di investimenti che praticamente possiede l’economia globale.
In esso, fino a poco tempo c’erano 17 trilioni di dollari in valore complessivo dei suoi investimenti fino a quando l’anno scorso non ha subito una grossa perdita da 1,7 trilione a causa della progressiva erosione della ricchezza del capitalismo finanziario che procede da circa un anno e mezzo.
BlackRock però è a sua volta partecipata da un altro fondo di investimenti che è quello citato precedentemente, ovvero Vanguard.
Se si guarda al dedalo di società partecipate da questi due fondi si entra in una fittissima rete di scatole cinesi dove praticamente c’è dentro tutta l’economia globale.
Dentro Vanguard e BlackRock ci sono società come la Boeing, la Coca-Cola, Dupont, Exxon, la General Motors, JP Morgan, Microsoft, Pfizer e una lista interminabile di colossi societari ognuno leader del suo settore.
All’interno di questi due fondi c’è ogni singolo componente della nostra economia e quando ci rechiamo al supermercato oppure andiamo a mettere benzina nella nostra vettura è dentro tali fondi che i nostri soldi finiscono.
E in questo dedalo di società ci sono i capitali dei Rothschild, dei Rockefeller, della famiglia Dupont e dei banchieri Morgan.
Vanguard e Blackrock esprimono perfettamente la summa dell’ideologia neoliberale che non è altro che il dominio di queste famiglie di capitalisti ignoti al grande pubblico sull’economia mondiale e sui governi Occidentali.
Quando è giunta la notizia che in Gabon ha avuto luogo un altro golpe per mano dei militari, la reazione di Eramet in borsa è stata quella di chi è in preda al panico.
Sul listino della borsa francese, la società dei Rothschild ha perduto il 16% del valore delle sue azioni. I mercati hanno probabilmente già fiutato il sangue e temono che il nuovo governo gabonese possa seguire l’esempio di quello nigerino e procedere ad una nazionalizzazione della produzione di manganese nel Paese.
La parola nazionalizzazione per questi capitalisti senza volto suscita la stessa reazione che la criptonite provocava per Superman.
È il loro incubo peggiore perché ciò significa che lo Stato attraverso una sua società pubblica si appropria di una sua risorsa nazionale e la sottrae alla disponibilità di società straniere.
Nel secolo scorso, le nazionalizzazioni attuate da leader politici sono state la causa di diversi colpi di Stato eseguiti da Washington che è stata per più di mezzo secolo il braccio armato della finanza globale.
I casi del presidente iraniano Mossadegh che nazionalizzò la produzione di petrolio e del presidente cileno Allende che nazionalizzò quella di rame sono solamente due dei più famigerati esempi di come i poteri di queste multinazionali ordinino l’eliminazione di chi si rifiuta di servire i loro interessi.
La Russia e la strategia della decolonizzazione
Questa strategia di decolonizzazione del continente africano e di restituzione delle risorse dell’Africa agli africani non è il frutto del caso e segue una precisa strategia geopolitica, militare ed economica.
Nell’ultimo anno abbiamo assistito infatti a numerosi golpe che hanno visto salire al potere governi militari acclamati dalle popolazioni festanti di africani che sventolavano la bandiera russa.
È quanto accaduto, ad esempio, in Burkina Faso, nel Mali e nello stesso Niger. Gli eserciti di questi Paesi per la prima volta si sono potuti organizzare e rovesciare nel giro di relativamente breve tempo quei governi che spadroneggiavano indisturbati per decenni sotto l’egida dell’Occidente.
Ciò è stato possibile attraverso la sponda della Russia che attraverso il gruppo Wagner ha consentito a questi eserciti di avere la necessaria assistenza ed intelligence militare per poter procedere a dei colpi di Stato molto ben eseguiti e con pochissimo spargimento di sangue.
Al tempo stesso, ciò che consente alla Russia di perseguire la sua strategia di decolonizzazione è l’assenza e la passività di Washington.
Washington è infatti divenuta apparentemente un enigma. Se nel 2020 lo stato profondo internazionale esultava di fronte alla prospettiva di una presidenza Biden possibile solamente grazie ad una massiccia frode elettorale, tre anni dopo, coloro che esultavano scoprono che i vecchi equilibri non sono tornati al loro posto.
Lo status quo precedente non è stato ripristinato, e la finanza internazionale si ritrova senza la sua milizia privata che era quella che garantiva la sua indiscussa supremazia.
Questo ha provocato un completo riassetto dei rapporti di forza su scala globale e l’ascesa dei BRICS è lì a testimoniare che la stagione degli imperi si è chiusa sostituita da quella del prepotente ritorno sulla scena degli Stati nazionali.
La ormai nota citazione dell’affranto D’Alema che riconosce l’affermazione di questo passaggio è lì a confermare che i membri dell’establishment Euro-Atlantico sanno di essere finiti in una terra di nessuno dove non ci sono più i referenti di un tempo.
La presunta morte di Prigozhin legata al golpe in Gabon?
Il golpe in Gabon però ha una strana tempistica legata apparentemente a quanto accaduto nei giorni scorsi in Russia.
Lo scorso 23 agosto com’è noto è caduto un aereo diretto a Mosca sul quale era stato detto in un primo momento che non risultava esserci Prigozhin.
Noi avevamo dei dubbi che questa notizia potesse essere effettivamente vera e persino alcune cancellerie Occidentali, su tutte quella della Francia, avevano espresso perplessità al riguardo.
Dubbi che si sono fatti più forti quando si è diffusa la notizia che il cellulare di Prigozhin sarebbe stato trovato vicino ai rottami del velivolo quando della indistruttibile scatola nera ancora apparentemente non c’è traccia.
Lo stesso dicasi per il test del DNA sul corpo, presunto, di Prigozhin che sarebbe stato eseguito a tempo record, quando in realtà risultano essere necessarie dalle due alle quattro settimane per poter essere eseguito.
La sensazione è che quanto accaduto nei giorni scorsi a Mosca sia la prosecuzione della tattica militare nota con il nome di maskirovska attraverso la quale si mette in atto una raffinata dissimulazione per ingannare l’avversario.
Lo scorso giugno il gruppo Wagner ha dato vita ad un finto golpe che è servito per distrarre l’attenzione generale mentre i paramilitari russi si spostavano e si posizionavano a 100 km da Kiev e, al tempo stesso, venivano eseguiti degli arresti di quinte colonne infiltrate nelle istituzioni russe.
Stavolta la probabile finta morte di Prigozhin serve a far uscire di scena i paramilitari per evitare ogni eventuale accusa di coinvolgimento di Mosca nei golpe africani.
Proprio ieri è uscito un video del leader della Wagner in Africa che afferma di non essere morto e che apparentemente sarebbe stato girato il 23 agosto o nei giorni precedenti.
In questo ultimo caso, non si comprende perché l’ex cuoco di Putin avrebbe dovuto far sapere di essere vivo quando in realtà ancora non c’era nemmeno stato l’incidente aereo che lo avrebbe visto presumibilmente coinvolto.
La tempistica può aiutarci a comprendere cosa è davvero accaduto. Il 23 agosto Mosca fa sapere che Prigozhin sarebbe morto tra molti dubbi e sei giorni dopo viene eseguito il golpe in Gabon.
Nel video di cui si accennava prima Prigozhin fa sapere di trovarsi in Africa. Difficile pensare ad una semplice coincidenza.
Si può ipotizzare che Mosca forse abbia pensato di inscenare la morte del paramilitare per evitare ogni possibile collegamento con il golpe in Gabon.
Se è stata questa la ragione dell’annuncio della presunta morte, è stata certamente una mossa molto astuta.
Ciò però ci porta necessariamente a considerare la strategia del Cremlino sotto una prospettiva più ampia. Se l’Africa è indiscutibilmente il deposito delle materie prime delle corporation Occidentali e di Paesi come la Francia, la Russia è tale deposito che sta svuotando.
Questi poteri si ritrovano privi di materie prime essenziali per il sostentamento delle loro economie e Mosca in questo modo fa terra bruciata attorno alla debole Unione europea.
La maskirovska si sta rivelando dunque alquanto efficace. Attorno all’Occidente liberale c’è soltanto il vuoto. Il mondo multipolare continua ad espandersi ad una velocità impressionante.
Questo blog si sostiene con le donazioni dei lettori. Se vuoi aiutare anche tu la libera informazione, clicca qui sotto.