L. Garofoli – Già dalla seconda metà del diciannovesimo secolo le allora nazioni egemoni mondiali, tutte europee, stavano cercando di dare un senso a quale realmente fosse l’importanza del Medio Oriente. Dopo che in quella parte di mondo furono scoperti i più grandi giacimenti di petrolio esistenti, il suo totale controllo divenne essenziale per lo sviluppo economico futuro delle grandi potenze, ma soprattutto per il mantenimento della loro potenza politica e militare nel mondo. Ma sul controllo della regione aumentarono immediatamente anche le mire di altre nazioni “emergenti” che avevano come obiettivo, sia quello di crescere come importanza mondiale, sia anche quello di diventare le uniche a poter dominare l’area.
Gli Stati Uniti erano ovviamente in prima linea.
Allo scoppio della Grande Guerra, l’opportunità che si presentò loro fu davvero immensa e gli americani giocarono le loro carte molto bene. Innanzitutto cominciarono con il far lavorare a pieno regime la loro industria pesante ed a fare buoni affari con tutti i belligeranti, ma soprattutto calarono il loro asso sfruttando sapientemente, l’immensa capacità finanziaria: prestare soldi fu la mossa vincente. Quando gli eserciti in conflitto arrivarono ad una empasse che avrebbe portato, dritto dritto, all’esaurimento ed allo sfinimento delle nazioni belligeranti, furono le Massonerie internazionali, largamente dominate dall’elemento americano, ad imporre il loro volere con il Convento di Strasburgo: niente mediazioni, nessun tentativo di risoluzione del conflitto attraverso trattative di pace!
Il tentativo dei principi Sisto e Saverio di Borbone Parma, ispirato e sostenuto da Benedetto XV, fu fatto fallire: la guerra sarebbe terminata soltanto con la resa incondizionata degli Imperi Centrali! Ma restava da risolvere il grave problema di come far pendere la bilancia dalla parte dell’Intesa, cosa non da poco.
Proprio a questo punto, scende in campo il più grande banchiere americano e mondiale, Lord Lionel Walter Rothschild, il quale incontra il Ministro degli Esteri di Sua Maestà Britannica Lord Balfour: Rothschild promette al Ministro degli Esteri britannico, che se lui capo della diplomazia inglese, si fosse impegnato formalmente a stilare una dichiarazione che avesse riconosciuto, agli Ebrei, il diritto di poter creare
uno stato ebraico in Palestina, lui stesso si sarebbe formalmente impegnato a far sì che gli Stati Uniti sarebbero entrati in guerra a fianco dell’Intesa.
Il testo della Dichiarazione Balfour
Così avvenne puntualmente!
In realtà il capo della diplomazia britannica fu molto vago nello stilare il documento, a cui non dava assolutamente alcun tipo di importanza formale.
Prova ne sia che, appena terminata la guerra Francesi ed Inglesi si misero all’opera per insediarsi saldamente in Medio Oriente spartendoselo: le due potenze europee stabilirono, con l’arroganza dei vincitori, confini destinati a creare ancora oggi, seri problemi nell’area: il merito di aver tracciato questi confini va al britannico Sir Mark Sykes e al francese François Georges-Picot).
Da quel momento l’attenzione americana sulla zona è andata aumentando sempre di più, dopo il termine della seconda guerra mondiale la cosa ha assunto connotati sempre più evidenti ed il controllo dell’intera area è diventato, per gli americani, una vera e propria ossessione. Due erano gli stati su cui puntavano tantissimo: l’Arabia Saudita e l’Iran, retto dallo scià Reza Pahlavi. Di errori ne hanno fatti tantissimi come quello di favorire l’ascesa di Nasser e Neghib in Egitto in funzione antibritannica, poi di lasciarli in mano ai Russi; poi di aver tradito ed abbandonato lo Scià e soprattutto di aver creato un legame sempre crescente ed esclusivo con Israele a scapito di tutti gli altri stati medio orientali, Arabia Saudita esclusa.
Poi con un’inversione a 360°, la strategia statunitense è completamente cambiata soprattutto dopo l’invasione dell’Iraq: si punta ora ad una totale destrutturazione dell’area ed allo stravolgimento della carta geografica di tutto il Medio Oriente.
Hanno cominciato con la Siria, poi la rivolta “democratica” (forse più integralista che democratica e poi della peggior specie di integralismo) ha causato il fenomeno delle primavere arabe contagiando l’Egitto, lo Yemen, la Tunisia che, lungi da rafforzare, in questi paesi, la democrazia ha favorito l’ascesa di fazioni esacerbate e totalmente antitetiche tra loro. Quando la rivolta si estende all’Oman ed al Bahrein i sauditi intervengono militarmente ed il 14 marzo 2011 chiudono la partita reprimendo la rivolta “spontanea” nel sangue.
Come se non bastasse a creare ancora maggior confusione ci si mette anche quel “genio della lampada” di Sarkozy, il quale, pur di far dispetto all’Italia, si inventa di abbattere il regime di Gheddafi in Libia.
A questo punto tornano estremamente di attualità due cartine pubblicate una sulla rivista The Armed Forces Journal, nel giugno del 2006, a corredo di un articolo del colonnello a riposo Ralph Peters, l’altra dalla giornalista specializzata in geopolitica Robin Wright, autrice del volume “Rock the Casbah: Rage and Rebellion Across the Islamic World” e analista del United States Institute of Peace and the Wilson Center, questa pubblicata sul New York Times del 28 settembre 2013, quindi molto più recente.
Robin Wright, autrice dell’articolo del New York Times
La mappa, ipotetica, mostra come evolverebbe, al termine del caotico terremoto in corso, l’area: dai cinque paesi attuali (Siria, Libia, Yemen, Iraq, Arabia Saudita) ne verrebbero fuori quattordici. Senza calcolare la possibilità della eventuale creazione di una città Stato: Misurata. Quindi, in ultima analisi, secondo il pensiero di Tariq Ramadan, la rivolta siriana, inizialmente la meno prevedibile di tutte, avrebbe soltanto moltiplicato, nella regione, i fronti, le contrapposizioni ed anche, purtroppo, i rischi, il caos e le stragi.
Il frazionamento del Medio Oriente permetterebbe, di poter essere meglio controllato da parte di Washington. Entrambe le carte seguono la stessa logica: scindere in più parti gli Stati mussulmani più potenti della regione, creando delle unità più piccole, sfruttando a questo scopo, le differenze religiose, etniche e tribali esistenti.
La prima carta interessa una vasta area che, partendo dal Nord Africa, arriva fino al Pakistan.
La seconda, invece, quella edita dal New York Times, la zona interessata a questo tipo di frazionamento, è quella compresa tra la Libia ed il Golfo Persico : l’asse davvero portante di tutte le ̋preoccupazioni ˝ americane.
L’Institute of Peace and the Wilson Center, è uno dei tanti che compongono quella galassia di istituzioni, fondazioni, Onlus finanziati dalle grandi fondazioni americane, o dai grandi magnati ˝ liberals ̋. Essi hanno per unico loro scopo, la manipolazione di forze politiche di opposizione all’interno di molti stati, a varie latitudini.
Le due rappresentazioni cartografiche si sovrappongono pienamente, come per incanto, specialmente nella parte più strategicamente sensibile della regione: quella che comprende la cosiddetta Mezzaluna Fertile[1] e la penisola arabica. Come abbiamo già accennato prima la logica è la stessa: dividere gli Stati musulmani e soltanto questi, utilizzando tutte quelle possibili fratture che in essi possano sussistere. Siamo portati a credere che la differenza tra le due carte ed i due eventuali scenari, non sono altro che delle varianti e delle correzioni apportate in itinere, tenendo conto dei fatti che si sono svolti di cui gli autori hanno preso atto man mano che questa strategia veniva posta in essere.
Cartina della Mezzaluna Fertile..
A ben pensarci, tutto era iniziato con l’occupazione dell’Iraq, posta in essere nel marzo del 2003, da parte degli Americani: va da sè che la cartina pubblicata nel 2006, era stata concepita ben prima di questa data, dagli strateghi del Dipartimento di Stato e del Pentagono e prudentemente tenuta segreta.
L’odio tra sunniti e sciiti, era perseguito scientemente dal governo iracheno a maggioranza sciita e totalmente impegnato nell’accaparrare, alla propria comunità, il più largo potere possibile. E’ questa forse la causa più credibile dello smembramento in atto in Iraq. Questo smembramento, de facto, in tre parti, avveniva mentre sunniti e sciiti erano troppo occupati a fronteggiarsi gli uni contro gli altri, lasciando ai Curdi la possibilità di diventare praticamente indipendenti.
Ma il nascente piano subisce una improvvisa battuta di arresto a causa della inattesa resistenza posta in essere dal regime siriano di Assad. Dunque si è dovuto concedere, come chiaramente appare nella seconda carta, oltre alla enclave aluita già prevista, anche tutta la parte occidentale del paese tra cui Damasco. La nuova Siria, secondo i piani e gli intenti americani, non doveva essere assolutamente guidata da Assad : qui a sparigliare le carte nella crisi siriana interviene, come un ciclone, Putin che rallenta e quasi fa fallire i piani di destabilizzazione concepiti dagli USA.
Oggi tutto questo assume una secondaria importanza: in Siria come in Iraq filo governativi e anti governativi, permettono ai Curdi di governare, come essi vogliono, in quella parte di territorio che controllano, anche e soprattutto sotto il punto di vista militare. Ma i Peshmerga non sono assolutamente in grado di condurre, al posto degli Americani, ˝ operazioni umanitarie ˝ rilevanti, per poter mettere fine alle stragi, alle deportazioni, alle riduzione in stato di schiavitù ed alle persecuzioni perpetrate dal Califfato, contro le popolazioni cristiane caldee e contro gli Yazidi. I Curdi non posseggono armamenti pesanti ed adeguati mezzi aerei, gli Americani non glieli hanno mai voluti fornire, per evitare reazioni stizzite da parte della Turchia e dell’Iran : ora non possono pretendere che altri caccino le castagne dal fuoco al loro posto, evitando così il diretto coinvolgimento in situazioni volute e create dalle strategie sbagliate realizzate dal Pentagono.[2]
A questo punto torniamo all’attualità. Vista la situazione è sembrata essere un’opportunità auspicabile, per i servizi americani, unire i sunniti dei due Stati arabi frazionati, in un solo blocco, una specie di ˝ Sunnistan ̋ : il tutto con il preciso intento, di rinforzare questi due gruppi ribelli al governo centrale, in modo tale da rendere vane le frontiere e dunque cancellarle meglio.
Ci troviamo pertanto nella fase in cui i servizi americani (ed ovviamente anche quelli israeliani) favoriscono la costituzione, nel modo più veloce possibile, di questo ̋Sunnistan ˝. Devono, quindi, aiutare, con tutti i mezzi, la creazione di un esercito dell’emirato islamico (in cui in questo momento la fiamma religiosa è molto più forte e dinamica di quella etnica) cercando di creare e stabilizzare l’ISIS o Emirato islamico dell’Iraq e del Levante. In quest’ottica si spiegano le incertezze, o peggio il disinteresse, del presidente Obama nel porre in essere un’azione di interdizione che fermi queste forze violente e sanguinarie che spadroneggiano nella regione.
La rapidità fulminea con la quale si sono svolti i fatti ricorda molto da vicino la velocità improvvisa ed ˝ inesplicabile ̋ dell’avanzata delle truppe croato-mussulmane in Bosnia nel 1990 ai danni dei Serbi. Il blitz permise di raggiungere quella linea, che soltanto in seguito, si scoprì essere stata preventivamente concordata, per permettere ad ognuno dei beligeranti di poter entrare in possesso della metà del territorio.
Quanto alle prossime mosse esse sono quasi imprevedibili: rispetto a quanto presentato dalle cartine pubblicate ed in modo particolare nella seconda, quella cioè di Robin Wright.
Assistiamo alla solita fasulla pantomima iscenata dagli Americani che fanno intervenire i loro caccia bombardieri impiegandoli in delle azioni dimostrative di nessun valore, ma che, adeguatamente propagandate, rafforzano l’immagine della grande potenza sempre sensibile ai diritti umani di tutti : fossero anche quelli dei cattolici, ma, in questo caso con estrema moderazione, si intende.
Quanto ai Curdi sarà molto più conveniente unire gli stati che di fatto esistono nel Nord della Siria e nel nord dell’Iraq sotto il loro controllo diretto creando un’unica entità nazionale, ma tutto ciò in modo molto discreto e progressivo, nel timore di provocare una reazione da parte della Turchia scomoda confinante, estremamente sensibile su questa questione.
Si cercherà anche, con tutti i mezzi di dividere in due lo Yemen ora ridiventato da parecchi anni una sola nazione. Yemen che era stato messo un po’ nel dimenticatoio dopo la spartizione creata, come al solito, in maniera fantasiosa dall’occupazione britannica del sud della penisola arabica.
E adesso viene la parte più delicata del piano, cioè quella che riguarda l’Arabia Saudita.
Fedele e sicuro alleato da sempre degli Stati Uniti, costantemente pronto a mediare, a spianare la strada ai superiori Americani : un altro stato suzerain americano. Ma soprattutto sempre pronta l’Arabia Saudita, a calmierare il prezzo del petrolio che permette agli statunitensi di poter continuare a scorazzare con i loro Suv dalle cilindrate da mezzi corazzati, ma con dentro tanto spazio per il surf, la bicicletta ed, orribile dictu, anche per i bambini quei pochissimi, che ancora nascono a quelle latitudini nelle maniere più strane e difformi dal naturale!
Non dimentichiamo che dietro tutto questo vasto progetto ci sono i milioni di dollari che i sauditi profondono alle varie organizzazioni fondamentaliste islamiche, in nome anche di quella fratellanza Waabita, che è un po’ il collante e la base storica della nascita dello stato dominato dalla dinastia Saud. Questa massa di dollari prendono sia la strada del Nord Africa, sia quella della Siria, sia ovviamente quella dell’Iraq e dell’Afghanistan, o dell’Europa, spesso con il precipuo scopo di arginare, se non cancellare, gli apostati sciiti iraniani che oltre tutto, sotto il profilo raziale, non sono nemmeno arabi.
Il nord della penisola arabica verrebbe aggregato alla Giordania in cambio dell’accettazione, da parte di re Abdallah II, di riprendersi in carico un cosistente numero di palestinesi, individui senza terra e senza pace, braccati, come animali da macello, dai tank e dalla aviazione israeliana a Gaza. Oppure isolati, come appestati, o come paria, da un muro di cemento armato lungo centinaia di chilometri in Palestina.
Ma c’è di più: l’ossessione americana per il controllo di tutti i territori dove ci siano consistenti giacimenti petroliferi, porterebbe alla unione della provincia costiera di Hassa con il sud dell’Iraq ed il sud ovest dell’Iran arabofono in un nuovo stato arabo sciita sempre sotto il controllo della dinastia Saudita. Ricordiamo che la provincia costiera di Hassa racchiude, nel proprio sottosuolo, la quasi totalità delle risorse petrolifere ad oggi conosciute e mappate, dell’attuale regno saudita.
La cosa sarebbe ancora più grave in quanto il successore del novantenne e malato attuale re Abd Allah non è ancora chiaro chi sarà, forse il potentissimo principe Bin Sultan, molto legato ai servizi americani, ma non è pacifico che questo avvenga, senza scatenare un sanguinoso regolamento di conti all’interno della famiglia reale: in passato questo scontro per la supremazia della dinastia è già accaduto provocando un bagno di sangue.
Più drammatico ed ancora più traumatico, sotto l’aspetto del prestigio, sarebbe la creazione di un ” Vaticano islamico ” che, tra i propri confini, contenesse la presenza delle due maggiori città sante dell’Islam la Mecca e Medina.
E qui la cosa diventerebbe addirittura non solo complessa, ma molto rischiosa in quanto il neo Stato, prevederebbe non uno stabile governo, ma un’alternanza governativa di differenti gruppi musulmani. La presidenza del medesimo potrebbe essere assunta, a turno, anche dai detestati sciiti (arabi, o peggio ancora iraniani), oppure dagli indonesiani che mangiano carne suina, o dai falsi arabi del Maghreb, o peggio ancora dai neri discendenti degli schiavi.
Come questo coacervo di forze possano coesistere è pura follia soltanto pensarlo, ma gli “Amerikani” amano molto destabilizzare e destrutturare tutto ciò che può essere monolitico e solidissimo, con un occhio sempre attento anche a destrutturare qualsiasi tipo di fede religiosa, ritenuta nei principi massonici molto pericolosa in quanto troppo dogmatica, o integralista.
Forse, alla fine, la soluzione finale potrebbe essere quella di insediare in questo stato, a forte connotazione religiosa, una setta integralista waabita o magari farne grazioso omaggio alla famiglia Bin Laden, considerata la fedeltà dimostrata ed i miliardari affari che hanno sempre intrattenuto con gli Americani in tanti campi di diversa natura economica : petrolio, banche, oleodotti, costruzioni. Del resto la pecora nera della famiglia, quella testa calda di Bin, giace su un fondale in un punto segreto dell’Oeceano Indiano e quelli che esistono ancora sono tutta brava gente, tutta affari ed amicizia con gli USA.
A questa situazione già ingarbugliata, quasi a voler aggiungere un buon peso, una porzione del sud ovest dell’attuale regno saudita potrebbe andare ad ingrandire lo Yemen.
Sembra che chi, nell’ombra crea queste trame strategiche molto complesse e criminali, abbia ben compreso che tutti i sudditi sauditi, compresi coloro i quali si oppongono, molto fortemente, alla casta principesca del regime autoritario e fortemente caratterizzato da un punto di vista religioso, si sentirebbero umiliati dall’essere aggregati a degli Stati confinanti. Stati che essi guardano dall’alto verso il basso. Come, per esempio, la Giordania che la dinastia Saudita ha rinnegato da tempo usurpando al re di Giordania la custodia dei luoghi santi dell’Islam, oppure come l’Iraq dilaniato dalla guerra, o lo Yemen economicamente molto arretrato.
La nuova carta geografica ha come obiettivo la spartizione dell’Arabia Saudita in cinque entità statuali, ma non di meno traspare chiaramente che chi ha creato questa nuova cartina geopoliticamente molto scorretta, abbia privilegiato soltanto una logica di carattere tribale. Appare chiaro anche che, nonostante tutto, Ryad sarà privata del suo sbocco al mare.
Insomma questo piano è ancora tutto da realizzare. Secondo fonti bene informate, il clan familiare dei principi sauditi, ancora molto potenti e fortemente compatti ed uniti (condizione questa essenziale per poter continuare a sopravvivere nella regione), pur essendo coscienti di ciò che viene preparato, non hanno proprio del tutto l’intenzione di cedere e lasciar fare agli americani senza opporre una forte resistenza, o perlomeno, a ricavarne il massimo di profitto economico.
Da ultimo la Libia : il caos seguito alla eliminazione, democraticamente ̋semi violenta˝, del colonnello Gheddafi, ha dovuto tenere in considerazione, le istanze separatiste della regione di Bengasi. In Libia coesistono, molto male, due tribù etnicamente distinte : i Tripolitani, più orientati verso il Maghreb ed al mondo islamico filo occidentale ed i Cirenaici rivolti, invece, all’islam orientale. Nemici giurati culturalmente, ma anche economicamente, dei primi, giacchè sin dai tempi di Gheddafi, la capitale gestiva gli introiti del petrolio proveniente all’80% dalla Cirenaica.
Il futuro prevede una Libia smembrata in due o tre parti: a giugno il Consiglio Nazionale della Cirenaica, ha già dichiarato la propria “autonomia”. Il terzo moncone potrebbe essere il Fezzan dove coesistono etnie e tribù assolutamente diverse da quelli della Tripolitania e della Cirenaica.
Noi italiani lo sappiamo bene: dopo l’annessione del 1912, una lunga guerriglia continuò usurante e strisciante, fino a quando Mussolini nominò governatore della Libia il generale Graziani che riuscì a vincere la resistenza e a riunificare il paese, anche facendo ricorso alle maniere forti, le uniche che dettero dei risultati pratici. Ciliegina sulla torta alla tripartizione territoriale suddetta, si aggiungerà la creazione di una città stato, o un porto franco, ancora non è dato a sapere, che dovrebbe riguardare la città di Misurata: in base a quale logica, od obiettivo, nessuno sa dare spiegazioni plausibili o razionali. Tutto resta coperto da un velo matematico spesso ed esotericamente consistente!
Statene certi che i progetti hanno sempre una riserva mentale, o un piano B: se, per esempio, venissero scoperti altri giacimenti petroliferi, gli Americani sarebbero pronti a scatenare ancora di più il caos per poter controllare, attraverso la vecchissima politica romana del divide et impera, o a quella più “umanista” e massonicamente democratica dell’Ordo ab Chao, la nuova situazione che verrebbe a concretizzarsi.
Basta saper controllare il caos ed avere la possibilità di ristabilire un ferreo ordine gerarchico selettivo. Intanto divisioni, guerra civile, rivalità tribali e religiose, o tutto quello che vogliamo, non impediscono assolutamente l’arrivo in Libia di disperati da ogni parte dell’Africa sub Sahariana, dal Medio Oriente e perfino dal sub continente indiano.
Gente che percorre migliaia di chilometri, non si sa con quali mezzi, che paga dai 1500 euro in su il prezzo della loro fuga verso un miraggio di benessere e di tranquillità che non troverà mai. C’è da domandarsi chi mette a disposizione simili somme che sarebbero delle vere e proprie fortune in quei paesi, ma soprattutto costoro non potrebbero imbarcarsi comodamente su un volo di linea ed arrivare a destinazione con dei rischi molto più bassi e con un viaggio molto meno pericoloso? Forse che arrivati a destinazione, non potrebbero fare, comunque, domanda di asilo politico ed ottenere lo stesso lo status di rifugiati politici?
Mistero dei misteri!!!
Ma nonostante tutto dalle coste libiche i barconi della morte continuano a salpare verso le nostre coste senza che nessuno, colà, muova un dito e, cosa ancora più scandalosa ed inquietante, senza che nessuno da noi provi nemmeno ad alzare una voce di dissenso per fermare questo scempio.
Non bastano di certo le corone di fiori gettate dal Pontefice in mare a Lampedusa, o le chiacchiere ferragostane dl Ministro degli Interni Alfano rivolte ad una UE sorda ed insensibile per fermare questo genocidio e questo oltraggio alla dignità umana. Tra poco anche da noi, come successo in Francia e sta succedendo nelle enclaves spagnole di Ceuta e Melilla, cominceranno a manifestarsi focolai di ribellione e problemi gravi di ordine pubblico. La retorica dell’accoglienza verrà spazzata via da una rabbia incontrollata o da una cieca ed inarrestabile reazione violenta a questo diktat, di chi vuol cancellare, oltre che le frontiere naturali, anche ogni traccia di civiltà passata che possa ricordare una diversa impostazione di vita e di gestire il proprio futuro, in maniera difforme da quello che, le centrali mondialiste, hanno disegnato per creare una massa di schiavi, senza più storia, senza speranza e senza domani.
Carta elaborata da Robin Wright, pubblicata il 28 settembre 2013 sul New York Times
luciano garofoli
[1] Il termine “Mezzaluna Fertile” fu coniato negli anni venti dall’archeologo James Henry Breasted dell’Università di Chicago. è una regione storica del Medio Oriente che include la Mesopotamia, il Levante e l’Antico Egitto:quella valle fertilissima dai quattro grandi fiumi Nilo, Giordano, Tigri ed Eufrate. La regione dal Neolitico fino all’Età del ferro vide il nascere delle più grandi civiltà umane. In essa si istallarono i Sumeri creandovi la prima civiltà sedentaria della storia umana, circa cinquemila anni prima di Cristo. A ben vedere, il territorio corrisponde perfettamente alle parole di Theodor Hertzel quando preconizzava la creazione “di un grande stato ebraico tra il Nilo e l’Eufrate”.
[2] Per salvare la faccia, gli Americani, ordinano ai loro lacchè europei di rifornire loro di armi i Curdi. In questo modo qualsiasi tipo di responsabilità politica o economica ricadrà sopra di loro, mentre gli USA non potranno essere accusati da Turchia ed Iran di essere intervenuti in maniera diretta. Quasi tutti gli stati della UE aderiranno. Ultimo particolare: chi pagherà la fornitura di armi? Gli Americani no di certo, quindi il peso ricadrà, statene certi, unicamente sui già martoriati contribuenti del vecchio continente. Cornuti e bastonati!!