di Giuseppe Reguzzoni
Lo so che abbiamo visto di peggio. Lo so che abbiamo visto persino le tovaglie per altare color arcobaleno rovesciato. Lo so che non c’è limite alla stupidità clericale, ma questa vignetta, che non riesce a far ridere, è troppo emblematica, per lasciarla passare. Sono i giorni in cui, tiepidamente, L’Osservatore Romano si indigna per la solita copertina blasfema di Charlie Hebdo e, guarda caso, me la ritrovo a girare sui Social, di parroco in parroco, fino a raggiungere anche me, povero cristiano tra i tanti. A parte il cattivo e, grazie al cielo, intraducibile gioco retorico, da pubblicitari babbuini, tra “loro” e l’oro” (le vocali aperte e chiuse per qualche parroco lombardo-veneto non esistono), la vignetta è la rappresentazione emblematica di una teologia suicida, anzi della piena autoliquidazione di qualunque ragione che possa indurre una persona di buon senso a mettere piede in una chiesa così malridotta. Per certi versi, la freddura equivoca sul “loro/l’oro” (che rispecchia alla perfezione i livelli di certa predicazione domenicale) ci porta a uno dei nodi più drammatici dell’attuale crisi della fede: la trasformazione della Chiesa Mistero in un’organizzazione umanitaria puramente orizzontale e solidale. Se così fosse, perché partecipare a riti e simboli? Se l’oro dei tre saggi venuti dall’Oriente è inutile, allora sono inutili anche l’incenso e la mirra e, dunque, tutto il complesso rituale cattolico. Basta e avanza, per gli uomini di buona volontà, fare i volontari con Emergency. E, neppure si capisce, a questo punto, che ci sta a fare il parroco che la vignetta la fa circolare: per coerenza, dovrebbe chiudere la sua chiesa e andare a fare il volontario UNHCR in un campo profughi.Ma c’è qualcosa di ancor più inquietante, in quache modosinanche escatologico, in questo moralismo a senso unico. C’è una pericope evangelica che la Chiesa ha sempre contrapposto ai pauperisti di ogni tempo che le rimproveravano la sua ricchezza liturgica (non la ricchezza degli ecclesiastici, che è ben altra cosa) e che il nostro parroco mostra di ignorare: «Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo. Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: “Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri!”. Ed erano infuriati contro di lei. Allora Gesù disse: “Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona; i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre. Essa ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto”. Questo è il Vangelo secondo san Marco. In quello secondo san Giovanni, gli “alcuni” che erano lì sono, invece, ben individuati e a pronunciare la richiesta di vendere il vasetto di alabastro con gli oli profumati è Giuda, “che poi lo avrebbe tradito” e che disse questo “non perché gli importasse dei poveri, ma perché era avaro”. È questo il punto più drammatico, perché respingere i tre Magi in nome della solidarietà orizzontale significa proprio liquidare il culto di cui parla il Vangelo e, dunque, la prima missione della Chiesa, che è l’adorazione e la chiamata di tutta l’umanità a prendervi parte.Per i Padri della Chiesa, la donna, la peccatrice adorante, rappresenta proprio la Chiesa, il cui primo ed essenziale compito è, appunto, “adorare”. Sarà anche per questo che la nuova chiesa orizzontale non riesce a produrre, sul piano artistico, se non delle banalità. D’altra parte, anche l’arte, la grande arte sacra, o è adorazione o semplicemente non è. Nikolaj Berdjaev, il grande filosofo russo ortodosso, distingueva, acutamente, tra arte sacra e arte a soggetto religioso. Si era ai primi del Novecento e ancora non esisteva il terzo gradino, a cui ci sta abituando la catechesi postconciliare: quello della fumettistica a soggetto religioso-solidale, la più inutile e vuota, a riprova che, oggi, il grande nemico della Fede è ormai la sua diffusa banalizzazione. Affoghiamo in una banalità senza spessore e senza drammaticità, al più giustificandola con un’altra banalità: era solo una battuta. Che non fa ridere, ma fa molto pensare.