Antonio
Brandi
«Una legge dolorosa», ma che «garantisce una traduzione (? ndr) laica importante» e che «nessuno pensa di mettere in discussione». Sono state le parole – apprese con perplessità e stupore – che il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, ha pronunciato il 2 aprile in un’intervista al direttore de Il Domani Stefano Feltri, in merito alla Legge 194 sull’aborto.
Si parlava di diritti, e Sua Eminenza ha detto – giustamente – che «la Chiesa è a favore dei diritti». Occorrerebbe, però, chiarire quali diritti, o meglio cosa si intenda per tali.
Siamo certi che il cardinal Zuppi non consideri l’aborto un diritto. Ma se “nessuno” mette in discussione la 194, allora i nascituri non avrebbero diritto alla vita in palese violazione della legge morale naturale. Ed è impossibile tutelare i vari “diritti umani” se non è garantito il diritto alla vita che è presupposto necessario di tutti gli altri. Per questo speriamo che Sua Eminenza voglia presto chiarire che non esiste un diritto per le madri di sopprimere i propri figli nel grembo.
La Chiesa da sempre ha affermato, attraverso le parole dei Papi, l’iniquità dell’aborto. Papa Francesco, in più di un’occasione, ha definito l’aborto come un vero e proprio omicidio, per giunta accostando questa pratica a quella dell’assunzione di un sicario.
E anche i discorsi e i documenti di Benedetto XVI e di san Giovanni Paolo II sono stati sempre inequivocabili.
In particolare il Papa polacco – che fu eletto pochi mesi dopo l’approvazione della legge 194 – fu sempre molto chiaro e fermo non solo contro la pratica dell’aborto, ma anche contro le istanze legislative e referendarie a suo favore. Nel marzo del 1981, infatti, menzionò la dichiarazione dei vescovi che allora erano scesi in campo contro la legge. «Faccio mia – disse – la loro sollecitudine pastorale per ogni uomo e per la società intera». Pochi giorni dopo chiarì che l’aborto non è una questione privata, ma riguarda tutta la società. Il 10 maggio dello stesso anno, invece, affermò davanti ad oltre 70mila persone, durante il Regina Coeli, che «la Chiesa considera ogni legislazione favorevole all’aborto procurato come una gravissima offesa dei diritti primari dell’uomo e del comandamento del “non uccidere”» e definì addirittura «una causa santa» ciò che la Chiesa stessa faceva per difendere la «santa inviolabilità della vita concepita». Anche nelle sue encicliche e specialmente nella Evangelium Vitae – del 1995 – Giovanni Paolo II deplorò l’aborto inserendolo tra le “strutture di peccato”, i peccati “sociali” di cui tutti siamo responsabili se li accettiamo passivamente.
Benedetto XVI, in occasione della XVII Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita ribadì che «l’aborto non è mai la soluzione», e mise in guardia la società dal pericolo a cui va incontro la madre, «spesso convinta, a volte dagli stessi medici, che l’aborto rappresenta non solo una scelta moralmente lecita, ma persino un doveroso atto “terapeutico” per evitare sofferenze al bambino e alla sua famiglia, e un ingiusto peso alla società».
È vero, come dice Sua Eminenza il Cardinale Zuppi, che le questioni non sono quasi mai bianche o nere, e che c’è una vasta zona grigia in cui si deve fare discernimento.
Ma se una legge permette la volontaria uccisione del più indifeso e debole degli esseri umani, il bambino nel grembo della mamma, non riusciamo a vedere dove sarebbe questa zona grigia. Perciò auspichiamo che presto Sua Eminenza voglia aiutare i fedeli nel discernimento, chiarendo che la legge 194 è oggettivamente iniqua e contraria alla legge naturale e quindi al Magistero della Chiesa.
Toni Brandi
Presidente di Pro Vita & Famiglia Onlus
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