Stato di diritto: violato in Polonia, e in Italia no?
Come noto, la UE vuol punire Polonia e Ungheria con sanzioni gravissime per “violazione dello stato di diritto”, per loro riforme intese a dar al potere esecutivo un certo controllo sul potere giudiziario. Dice Bruxelles: «il potere esecutivo e quello legislativo sono stati messi nella condizione di interferire sistematicamente in modo politico nella composizione, nei poteri, e nel funzionamento del potere giudiziario».
La prepotenza settario-ideologica di simili accuse è dimostrata dal fatto che Bruxelles ritiene lo stato di diritto funzionante e prospero in Italia, dove (vedi Palamara e suoi giudicanti) è “il potere giudiziario che si è messo nella condizione di interferire sistematicamente, in modo politico, sul potere esecutivo e legislativo”, in una lussuriosa commistione genetica, ormai irreversibile, fra i tre poteri – che dovrebbero essere separati per DNA – nelle complicità e omertà per cui, per esempio, alla Corte Costituzionale siede da secoli un volpone politico come Giuliano Amato: coronamento di un “Ordine” che è una ghenga che si accaparra poteri e posti e stipendioni, che se la canta e se la suona coi complici nei governi “amici” che ha creato incriminando governanti “nemici”. Fino ad assicurare la più losca impunità a Conte che governa con DCPM liberticidi, e all’immane magnazza di denaro pubblico messa in atto dai gestori del Covid.
Contro il governo amico italiota la UE nulla eccepisce.
Polonia: veto al Recovery Fund
Contro Varsavia e Budapest, Bruxelles (ossia la tedesca VDL) intende – con un inghippo la cui macchinosità è evidente già nella sola formulazione , “ tagliare gli aiuti finanziari dell’UE agli Stati membri se le violazioni dello Stato di diritto hanno un impatto sufficientemente diretto sulla gestione del bilancio e sugli interessi finanziari dell’Unione”, insomma far mancare i grassi finanziamenti di favore di la UE ha coperto i due paesi, senza altro motivo che renderli complici della “costruzione europea”. Ancor più grave è la minaccia di togliere ai due il diritto di voto nei consessi europei, misura in base a cui Bruxelles ha il potere di ridurre stati-membri allo stato di servi politici della gleba, inferiori senza voce in capitolo. Insomma la democracy
Democracy is freedom
IL punto è che i due governi-da-punire il diritto di voto ancora lo hanno; anzi, hanno anche il diritto di veto; e lo useranno per bloccare il Recovery Fund, quei fantomatici “209 miliardi” su cui il regime Conte-Gualtieri basano le loro mezze illusioni e la loro propaganda mediatica favoleggia. Miliardi che, come ha spiegato da mesi Bagnai, non ci sono, e che la Ue dovrà andare a cercare sui mercati, quand’anche vince le resistenze al piano, che vengono dal Nord (Spilorci) non meno che dall’Est.
Ora, il vice primo ministro polacco Jaroslaw Kaczynski (che di fatto è il vero capo) ha detto che sul Recovery Fund, per quanto riguarda la Polonia, “ci sarà un veto. Se le minacce e le estorsioni continuano, difenderemo duramente gli interessi vitali della Polonia “. Lo ha detto in una intervista alla Gazeta Polska Codziennie, martedì 13. «Difenderemo a tutti i costi la nostra identità, la nostra libertà e sovranità. Non permettiamo a noi stessi di essere terrorizzati con il denaro. La nostra risposta a tali azioni è chiaramente no ”, dichiarazione doppiamente interessante: concetti come “sovranità e identità” da noi sono termini proibiti, anzi crimini che ti escludono dal discorso pubblico se li pronunci, fanno di te un paria, e vieni pressantemente invitato a pentirti di averli pensati, perché altrimenti “in UE si è isolati”, il governo polacco non si vergogna di affermarli, e proprio in faccia alla UE.
Insomma il Recovery (o come nella neolingua della VDL “Next Generation” qualcosa fund, non essendo chiaro se sono due fud o uno solo) incontra un altro ostacolo maggiore. Poco male in fondo perché, come anticipa Giuseppe Liturri, “passeremo ad essere contributori netti per 50 miliardi anziché 37” .
E la UE stessa potrebbe essere avviata allo sgretolamento, indotto dalle sue paturnie ideologiche.
E rendere l’economia “verde” con punizioni distrugge la UE
Si prenda il caso del progetto “green” di cui la Von der Leyen ha fatto il suo cavallo di battaglia proprio in questo tempo di depressione gravissima: lo ha concepito essenzialmente come una formula punitiva delle industrie “marroni” (sic) che non passano al “green”: punizione che dovrebbe esere comminata attraverso la finanza, con tassi d’interesse più lievi per le attività “verdi” e più pesanti per le “marroni”.
Il mondo degli affari tedeschi (che ben conosce l’insipienza con cui la signori ha devastato le forze armate germaniche fino a renderle inutilizzabili, quando era alla Difesa) è insorto.
Le critiche si fanno più forti: l’UE schiaccia le PMI con il “mostro burocratico verde”
La Camera di Commercio e Industria di Monaco e dell’Alta Baviera ha rilevato che le specifiche previste da Bruxelles danneggiano le piccole- medie imprese. Poiché le piccole imprese si finanziano maggiormente attraverso il credito, hanno già sofferto molto di più a causa di requisiti di finanziamento più severi rispetto alle società con accesso diretto al mercato finanziario internazionale. Ciò preferirebbe impedire la trasformazione piuttosto che promuoverla.
Esiste la minaccia di un nuovo enorme mostro burocratico”, ha affermato il vicepresidente di IHK Johannes Winklhofer, settore auto. Infatti: la stessa Banca centrale europea ha perso le tracce di chi è ancora autorizzato a dare soldi in un’Europa verde e chi non è più autorizzato a farlo. Ha quindi invitato l’UE a redigere la “lista marrone” dei “peccatori ambientali”
Anche il vero pezzo da novanta testa pensante della teoria economica tedesca, il presidente dell’Ifo Clemens Fuest ha condannato l’ideona della Van der Leyen: “I problemi ambientali andrebbero affrontati attraverso misure di politica ambientale”. La classificazione in entità economiche “verdi” o “marroni” e le linee guida per dirigere i flussi di capitali in “verdi” ha come risultato “una doppia regolamentazione inefficiente”.
Clemens Fuest è anche quello che riconosce che all’Italia converrebbe lasciare l’euro, il che indica che l’irreversibilità della moneta unica non è data per scontata, negli ambienti che contano.
A ciò si aggiunga che la Federal Reserve, per bocca del suo nuovo governatore (a cui Trump ha storto il braccio), ha rigettato la teoria-base delle banche centrali, il dogma per cui il pieno impiego provoca inflazione.
Con ciò, “vediamo davanti ai nostri occhi lo sgretolamento accelerato del Washington Consensus”, commenta Sébastien Cochard, diplomatico dopo essere stato al Tesoro francese. “Ora, l’euro è l’incarnazione stessa del Washington Consensus: quindi collasserà”.
E noi non avremo niente da metterci, trovandoci con l’ultimo governo europeista rimasto senza UE.