Di Mirko Molteni
Almeno tre parti in causa si contendono la città martirizzata che paga la sua contiguità al confine turco da cui i più svariati traffici riforniscono regolarmente le milizie ribelli, siano o no alleate dell’Isis. Dal 13 aprile ricominciati nuovi negoziati a Ginevra, con Assad ormai in posizione di forza dati i successi sul terreno. Grazie ai Sukhoi di Mosca, e anche ai carri T-90.
13 aprile 2016, da Enduring Freedom
Dal 13 aprile 2016 sono ripresi i colloqui a Ginevra tra le fazioni dell’interminabile guerra civile siriana, a cui come noto partecipano i governativi del presidente Bashar El Assad e le varie milizie di opposizione accomunate dalla sigla, ormai alquanto posticcia, di Free Syrian Army, Esercito Siriano Libero, fra cui molte appoggiate dalle petrolmonarchie del Golfo Persico e dalla Turchia, poco meno jihadiste delle uniche altre formazioni la cui catalogazione come terroristi mette d’accordo tutti, cioè l’Isis e i fiancheggiatori di Al Nusra, i nemici illegittimi per i quali non valgono né le trattative in terra svizzera, né l’incerta tregua in atto dallo scorso 27 febbraio.
L’armata di Assad si ripresenta ai tavoli negoziali sfoderando i migliori risultati sul campo, e dunque un notevole peso contrattuale, avendo nelle ultime settimane liberato la famosa città archeologica di Palmira e, soprattutto, spezzato definitivamente l’assedio della importantissima città di Aleppo, dove pure i jihadisti del califfato appaiono quasi in rotta.
Il quadro della situazione tattica resta oltremodo complesso, per quanto possa essere riassumibile per linee generali, pur tenendo conto che i fronti possono cambiare anche nell’arco di sole 24 o 48 ore.
Ma quel che è sicuro è che le forze governative, grazie all’aiuto dei loro alleati, in primis russi e iraniani, ma anche i libanesi sciiti Hezbollah, hanno ampliato a partire dal 1° febbraio il loro già notevole territorio insinuato fino ai quartieri centrali di Aleppo con un saliente molto bizzarro, dalla sagoma vagamente a “ricciolo”, che si protende a partire da un corridoio di Sudovest collegato all’area di Hama e poi di Damasco da un territorio piegato a gomito verso Est.
Negli ultimi mesi quel “ricciolo” si è ampliato ancor di più, specialmente verso Est e Sudovest, non senza l’aiuto degli svariati alleati su cui conta il governo, non ultimi i curdi del movimento YPG.
La tregua che perdura da oltre un mese e mezzo fra le parti non ha semplificato la caotica situazione poiché, da un lato ci sono state violazioni della tregua, specie da parte di formazioni del fronte FSA contro i curdi, unite a una lotta nei settori settentrionali fra Isis e forze ribelli FSA.
Attorno ad Aleppo le posizioni dell’esercito di Assad sono in diretto contatto con i ribelli dell’opposizione non allineata al Califfato nei settori settentrionali, e con quelli dell’Isis a Est e Sudest, specie attorno alla zona dell’aeroporto di Kuweiris, nei sobborghi orientali della città. Aeroporto che fino allo scorso autunno risultava circondato, ma che è stato poi raggiunto da uno stabile corridoio aperto nelle schiere dell’Isis con l’appoggio aereo russo. I curdi sono spostati in parte alle spalle dell’Isis, a ridosso del confine turco, in parte più a Ovest, alle spalle delle altre milizie, ma sono presenti in forze anche in una grossa enclave urbana in Aleppo, il quartiere settentrionale di Sheikh Maqsood.
Tutti contro tutti
Le forze dell’esercito siriano dislocate nell’area di Aleppo sono stimate in un totale di 50.000 uomini, notevolmente aumentate rispetto ai 20.000 uomini di due-tre anni fa, e rispondono al comando del generale Suheil Al Hassan, assai giovane con i suoi 46 anni di età, la cui formazione precipua sono le forze speciali denominate “Brigate Tigre”, o Qawat Al Nimr in arabo.
Al suo fianco nientemeno che il fratello minore del presidente, il 49enne generale Maher El Assad, che comanda direttamente la 4° Divisione Meccanizzata, reparto di elite che raggruppa i migliori equipaggi carristi e i mezzi corazzati più efficienti rimasti al governo di Damasco, fra i quali, come vedremo, i nuovi carri armati T-90A forniti dai russi negli ultimi mesi.
Le forze governative sono affiancate da un numero di truppe alleate stimato in circa 8mila militi, fra Hezbollah, milizie popolari siriane lealiste tra cui le Forze Difesa Nazionale e truppe speciali iraniane, in particolare la 65° Brigata di Forze Speciali Aerotrasportate, parà altamente motivati e temibili, e in genere le Brigate Qods comandate dal generale Qasem Soleimani.
Per contro, la più ardua stima sugli avversari oscillerebbe da 30.000 a 60.000 uomini totali, di cui almeno 15/20.000 dei vari gruppi afferenti alla sigla dell’Esercito Siriano Libero, e il resto spartito fra Isis e Jabhat Al Nusra.
Una novità delle ultime settimane, comunque, risiede proprio nel fatto che l’Isis ha subito notevoli rovesci nel settore orientale dei sobborghi, oltre che in altre regioni della Siria, e per converso è diventato più preponderante il ruolo di Al Nusra, che ancora pochi mesi fa veniva valutata nell’area di Aleppo in 2.500 uomini ma ormai sarebbe arrivata a quasi 10.000.
Proprio il rafforzamento di Al Nusra di giorno in giorno preluderebbe a una sua prevista offensiva che, per ironia della sorte, sembra speculare a quella che fino a pochi giorni fa veniva considerata plausibile anche da parte dello schieramento filo-Assad. Rapporti informativi russi su Al Nusra sono stati divulgati già il 6 aprile dal Centro di riconciliazione siriana che trova sede proprio a Hmeimm, accanto alla pista degli aerei russi, ed è comandato dal generale Sergei Kurylenko. Il Centro dev’essere certamente in contatto col GRU, il servizio segreto militare russo, e avvalorava già quel giorno che Al Nusra si sta rafforzando nelle ultime settimane nello scacchiere di Aleppo, profittando del clima di lotta “tutti contro tutti” che evita una rotta totale dei gruppi terroristi distribuendo su altre compagini gran parte della potenza di fuoco liberata negli scontri.
Il Centro di Hmeimm parla espressamente di informazioni “di prima mano giunte dalla linea del fronte” secondo le quali “l’aumento di forze di Al Nusra, specie l’arrivo di 90 miliziani nel quartiere di Ashraf, provenienti dalla base di Bshantara, dimostra che i terroristi potrebbero essere intenti a preparare una controffensiva di vasta scala”. Erano solo le prime avvisaglie di un potenziamento emerso con maggior evidenza nella settimana successiva.
Non più tardi del 10 aprile 2016, lo stesso primo ministro siriano Wael Nader Al Halki ha annunciato all’agenzia russa Itar Tass e alla tv Al Arabiya che presto sarebbe iniziata una campagna aeroterrestre, in collaborazione fra l’esercito siriano e l’aviazione russa, “per liberare Aleppo e bloccare tutti i gruppi armati illegali che non hanno aderito al cessate il fuoco o che lo hanno violato”. Al Halki parlava di fronte a una delegazione di parlamentari russi della Duma, arrivati in Siria dal 9 aprile per verificare la consegna di una partita di aiuti umanitari alla popolazione. E senza dare ulteriori dettagli, il premier ha inoltre aggiunto: “La cooperazione tra i nostri eserciti sarà un successo e aiuterà molto la campagna ad Aleppo, per poi avanzare più tardi verso Deir Ez Zor”.
Nelle stesse ore il Ministero della Difesa russo ha inoltre diramato che anche Al Nusra si preparerebbe a sua volta a sferrare una puntata nel Nordovest della città, a partire dai villaggi di Muheym-Handrat e Ballirmun, dove i terroristi originatisi da una costola di Al Qaeda avrebbero radunato almeno 350 combattenti “freschi”, muniti di almeno “due veicoli blindati”, probabilmente ruotati, e 13 fuoristrada 4X4 con mitragliatrici pesanti sul pianale. Sui piani offensivi che parevano apprestati dall’alleanza filo-Assad si è fatto però dietrofront il giorno dopo, l’11 aprile, quando il generale russo Sergej Rudskoj, capo della direzione operativa dello Stato Maggiore di Mosca, ha negato la preparazione di una campagna generale contro tutti i gruppi ribelli, ammettendo solo sforzi congiunti “allo scopo di infrangere i piani delle bande di Jabhat Al Nusra”.
Il rimpallo di dichiarazioni fra Al Halki e Rudskoj potrebbe costituire un gioco coordinato per lanciare dapprima un avvertimento alle altre milizie ribelli, quelle che si siedono a trattare a Ginevra, ricordando loro che se scherzano col fuoco è pronto un nuovo colpo di maglio, ma poi riproponendo i jihadisti “illegali” quelli di Isis e Al Nusra come nemici giurati per offrire agli altri gruppi un’occasione di malleabilità diplomatica.
Negli ultimi giorni è sulla filiazione siriana di Al Qaeda che si concentrano le maggiori preoccupazioni dei russi e dei lealisti siriani, poiché, a detta di Rudskoj, almeno 9.500 miliziani di tale compagine sono stati dislocati nei territori attorno alla città pronti a iniziare un attacco di sfondamento delle linee siriane per tagliare il collegamento stradale fra Aleppo e Damasco. L’ufficiale russo ha così spiegato come le forze di Al Nusra siano state suddivise in due assembramenti principali, accreditando dati intuibilmente di fonte GRU.
“Secondo la nostra intelligence circa 8.000 militanti di Al Nusra sono stati dispiegati a Sud ovest di Aleppo, mentre altri 1.500 sono stati dispiegati a Nord della città. Abbiamo rapporti affidabili che segnalano la preparazione di una grande offensiva con l’obbiettivo di tagliare l’autostrada Aleppo-Damasco. Perciò, le truppe siriane e l’aviazione russa stanno operando per evitare il blocco delle regioni settentrionali della Siria”. A riconferma che il problema principe attorno a cui gravitano gli equilibri di Aleppo è sempre il rapporto con la vicinissima frontiera turca, Rudskoj ha aggiunto: “Nonostante i progressi nell’attuazione del regime di cessate il fuoco, le forniture di armi e militanti dalla parte turca del confine continuano a rafforzare i terroristi di Al Nusra, anche attraverso le zone controllate da gruppi di opposizione sostenuti dagli Stati Uniti”.
Nelle stesse ore da Ankara risuonava l’ammonimento verso Assad e Putin, accusati di “peggiorare la situazione umanitaria” man mano che riprendono il controllo di Aleppo. Opinione evidentemente condizionata dall’appoggio turco ai ribelli anti-Assad, verso i quali si vuole mantenere aperto il corridoio logistico.
Il portavoce del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, Ibrahim Kalin ha sostenuto che “da un’operazione del genere deriverebbe una nuova ondata di profughi”. Sempre l’11 aprile, l’agenzia iraniana Tasnim ha accennato alla morte di quattro militari iraniani delle forze speciali delle Guardie Rivoluzionarie, di cui si sa solo che sono caduti in combattimento in territorio siriano, ma senza ulteriori dettagli se nel calderone di Aleppo o in altre regioni del paese.
E’ comunque un ulteriore sintomo dell’impegno di Teheran a fianco di Damasco, tanto più che fra i caduti iraniani delle scorse settimane proprio nello scacchiere di Aleppo, la repubblica degli ayatollah ha citato e glorificato nientemeno che il generale Mohsen Ghajarian, già veterano della guerra Iran-Iraq del 1980-1988 e comandante in patria di un rinomato reparto di carri armati, la 21a Brigata Corazzata intitolata all’Imam Reza.
Inoltre il Centro russo per la riconciliazione siriana ha fatto un primo bilancio delle perdite di Al Nusra nel Sudovest della periferia di Aleppo fra il 3 e l’11 aprile, stimandole in 250 morti con la perdita di due carri armati. Tanto è costato il vano sforzo della brigata qaedista di riconquistare posizioni in quel settore.
Frattanto, quasi a voler attirare l’attenzione dei media mondiali, nei giorni immediatamente precedenti la ripresa dei colloqui in Svizzera, sono rispuntate le armi chimiche, il più delle volte associate alla violazione della tregua contro i curdi, da parte dei ribelli probabilmente istigati dalla Turchia.
Il 7 aprile è stato un gruppo islamista meno conosciuto, Jaish Al Islam, ad usare “armi proibite”, come le ha definite per sua stessa ammissione, contro i guerriglieri curdi del movimento YPG, che controllano il quartiere di Sheikh Maqsood e che si sono confermati negli ultimi tempi alleati de facto di Assad e dei movimenti sciiti che lo appoggiano, oltre che della Russia, tanto che proprio a Mosca i curdi siriani hanno voluto aprire il loro primo ufficio diplomatico estero. A lanciare granate di artiglieria caricate con gas di cloro sulle posizioni curde nel quartiere conteso è stato un comandante locale di Jaish che però, secondo i suoi superiori, ha preso un’iniziativa personale non autorizzata.
Così ha ammesso un portavoce della milizia islamica, tale Islam Alloush, secondo cui “il comandante ha violato le nostre regole interne e sarà da noi giudicato”. Meno scrupoli li ha avuti invece Ahrar al Sham usando più volte da marzo a oggi contro i curdi, sempre nella stessa area della città, proiettili caricati a fosforo bianco.
Ad aggiungere confusione, lo stesso giorno il rappresentante dei curdi in Europa, Senam Mohamed, sosteneva che era non solo Jaish, ma tutta la coalizone della cosiddetta “opposizione”, che comprende, tra le sigle più note, Ahrar Al Sham, Esercito della Conquista, brigate Sultan Murad, una non meglio specificata “Banda 16”, le Armate dei Mujaheddin, il movimento Fastqm, Nour Al Din Al Zenki, le Brigate delle montagne dei Falchi e le brigate Hamza, a condurre l’attacco con una congerie di ordigni che andava dai “razzi artigianali”, probabilmente simili ai Qassam palestinesi, ai razzi Grad, caricati con aggressivi chimici.
Sempre i curdi, a detta del loro portavoce Rezan Hiddo, sono stati attaccati in Aleppo anche da Al Nusra con gas che dalla descrizione sembrerebbe il “mostarda” classico conosciuto fin dal 1915: “Era un fumo giallo con uno strano odore, apparso subito dopo un bombardamento d’artiglieria di Al Nusra sulle nostre posizioni, poi molti sono stati ricoverati in ospedale con sintomi da intossicazione come spasmi, vomito e diarrea”.
Nelle sole due settimane dal 24 marzo al 7 aprile, secondo il generale russo Igor Konashenkov, ad Aleppo la tregua è stata violata abbastanza volte da uccidere 44 civili e ferirne 74, seppure l’ufficiale non abbia specificato quanti di essi siano da addebitare a Isis e Al Nusra e quanti agli altri gruppi. Poteva andare peggio.
L’asso nella manica
Ad Aleppo si combatte ininterrottamente dal luglio 2012, quando le posizioni governative sono state via via circondate e assediate dalle più svariate formazioni ribelli. E’ qui impossibile ripercorrere tutte le tappe di quattro anni di conflitto combattuto strada per strada.
Ci basti tratteggiare che per tre anni una guarnigione governativa ha occupato l’aeroporto di Kuweiris finché l’arrivo dell’aviazione russa nell’autunno 2015 ha permesso di sfruttare quel surplus di appoggio sufficiente a coprire l’avanzata di una puntata verso Est in grado di liberarla.
Dapprima, dal 18 novembre al 7 dicembre 2015 cinque villaggi sulla strada per Kuweiris sono stati presi quasi di slancio. In seguito il 30-31 dicembre l’armata siriana ha potuto chiudere l’anno facendo scudo alla propria stessa avanzata mediante l’occupazione di una catena di colline disposte a Nord dell’area contesa.
L’ulteriore avanzata sulla strada per l’aeroporto è stata compiuta dal 13 al 15 gennaio 2016 e dal 23 gennaio l’attacco è riuscito a consolidare la tenuta del territorio di Kuweiris saldandolo al distretto industriale Sheikh Najjar, nel sobborgo orientale di Aleppo.
Nel corso della lotta per consolidare la rottura dell’assedio alla base aerea a Est di Aleppo si è assistito anche a un ennesimo esempio di “guerra di mina e contromina”.
Sotto l’aeroporto di Kuweiris, infatti, Al Nusra aveva scavato una fitta rete di cunicoli. Alcuni di essi portavano a postazioni mascherate ai margini dell’aeroporto, da cui i cecchini potevano far fuoco con fucili e forse anche con lanciarazzi RPG, per poi dileguarsi nel sottosuolo.
Ma il proposito più temibile era quello di far saltare la caserma della locale guarnigione governativa, accumulando in segreto tonnellate di esplosivo in una cavità ricavata sotto la base nemica. Mentre i terroristi stavano ancora preparando la mina sotto la postazione, i soldati di Assad li hanno scoperti e hanno ingaggiato una vera battaglia sotterranea sgominandoli con gravi perdite da ambo le parti.
Dal 1° febbraio 2016 è inoltre scattata, dapprima verso Nord, poi verso Ovest, una nuova offensiva governativa che per primi ha travolto i ribelli della compagine FSA nei villaggi di Duwayr Al Zeytoun e Bashkoy e che nei giorni seguenti ha portato anche alla conquista di Ratyan, alla quale hanno collaborato i curdi che da Nordovest prendevano i ribelli anti-Assad tra due fuochi.
Entro il 6 febbraio il governo ha potuto strappare ai ribelli Al Khalidiyah, consentendo finalmente un collegamento continuo fra Aleppo e l’autostrada M5 per Damasco. Intanto Hezbollah aveva provveduto a occuparsi personalmente di liberare dalla pressione di Al Nusra alcuni villaggi a maggioranza sciita, specialmente Kafriya e Al Fuah. L’impegno dell’aviazione russa ha toccato una concentrazione di ben 500 missioni nei soli tre giorni dal 12 al 15 febbraio, massimo sforzo sui villaggi della cintura occidentale dell’area metropolitana, dove peraltro la 4° Divisione Meccanizzata ha premuto coi nuovi carri armati T-90A, debuttanti proprio in tale offensiva.
Le fonti concordano nel ritenere il T-90 (guarda il video) un vero “asso nella manica” per la riscossa dei governativi. Era novembre del 2015 quando il presidente russo Vladimir Putin decideva di inviarne alcuni esemplari, si dice almeno 15, come minimo, ma forse molti di più, appartenenti all’ultima versione T-90A, comparsa nel 2004. Impiegato per la prima volta in combattimento dall’esercito siriano proprio nello scacchiere di Aleppo con l’offensiva iniziata il 1° febbraio 2016, il T-90A si è rivelato in grado di resistere alle armi anticarro delle varie milizie, anche ai missili di fabbricazione americana BGM-71 TOW.
A riprova, proprio in febbraio ha cominciato a circolare su internet un video eloquente in cui si vede un T-90 siriano nei sobborghi di Aleppo che incassa senza troppi danni un missile TOW che impatta in piena torretta.
Abituati per oltre quattro anni e mezzo ad affrontare, o utilizzare essi stessi, carri più datati, dai T-55 ai pur non vecchissimi T-72 facenti parte del vasto arsenale siriano di origine sovietica, i jihadisti devono ora fare i conti con un carro da battaglia dotato di contromisure allo stato dell’arte che comprendono sia la più recente corazza reattiva Kontakt 5 a piastrelle esplosive, sia il sistema elettronico Shtora 1, fissato sulla torretta come un vero “guardiano” automatico.
L’apparato Shtora, che in russo significa “barriera”, è capace di rilevare in poche frazioni di secondo l’arrivo di missili a guida laser o infrarossa e di avvertire l’equipaggio, che può così girare la torretta nella direzione del missile, offrendo il lato frontale più protetto, nonché i proiettori di disturbo infrarosso dello Shtora medesimo, e sparare i fumogeni per annullare l’efficacia dei laser nemici di guida.
Può inoltre creare una vasta gamma di disturbi elettronici su uno spettro di frequenze infrarosse, mettendo in crisi gli attaccanti. Finora, pur tenendo conto che il T-90A è diventato operativo in Siria da appena un paio di mesi, non si ha notizia di esemplari distrutti, tutt’al più danneggiati.
E’ vero che il numero di questi nuovi carri da battaglia è molto limitato, in proporzione alla disponibilità di centinaia di esemplari ancora attivi dei vecchi tipi, ma, anche se non si hanno particolari in merito, è plausibile che agiscano scaglionati in piccoli plotoni carri insieme ai tipi più vecchi, avanzando come “apripista” mentre i “fratelli maggiori” T-72 li seguono sulle orme dei loro cingoli.
Più in generale, il comprovato successo del T-90, comunque discendente dalla famiglia del T-72, progettato e costruito nella medesima fabbrica Uralvagonzavod (cordialmente “la Vagonka”) di Nizhni Tagil, conferma quanto la scuola carristica russa continui a sfidare quella occidentale contrapponendole l’idea di un mezzo, più mobile e compatto, in grado sia di offrire un bersaglio più difficile, sia di essere prodotto con facilità in un gran numero di esemplari.
Per le strade in rovina dei sobborghi di Aleppo o dei villaggi vicini, in un territorio che vede alternarsi spianate, colline rocciose e agglomerati di edifici, l’agile T-90, con un peso di 46 tonnellate e un ingombro limitato a 6,9 metri di lunghezza dello scafo, 3,8 m di larghezza e soprattutto soltanto 2,2 m di altezza, si muove bene e può sfruttare la protezione e l’occultamento di macerie, muriccioli, collinette, rottami. Oltretutto il suo cannone da 125 mm può sparare fino a una gittata utile superiore ai 4 chilometri, più che sufficiente in prima linea o in situazioni come quella aleppina di fronti frastagliati e spesso a macchia di leopardo, con pochissima distanza tra i rivali.
Funge quindi anche da sostituto di una vera artiglieria campale. In effetti, già attorno al 15 febbraio alcuni T-90 venivano utilizzati proprio a mo’ di semoventi sparando colpi di interdizione su Tamura, una posizione dominante occupata dall’Isis su un’altura al di sopra dell’autostrada M5.
Come tutti i carri russi degli ultimi 50 anni, ha soltanto tre uomini di equipaggio, avendo abolito la figura del servente al pezzo, rimpiazzato dall’apparato di caricamento automatico del cannone. A differenza, come ben noto, dei carri armati occidentali, che in genere hanno mantenuto quattro uomini d’equipaggio e sono assai più massicci, ma perciò un po’ meno mobili e più ingombranti.
Se colossi come l’americano M1 Abrams, da 70 tonnellate, hanno dato il meglio di sé lanciati a tutta velocità sulle aride pianure dell’Iraq nel 1991 e anche nel 2003, resta da dimostrare la loro validità e flessibilità in teatri molto diversi, come quelli urbani o in genere dai terreni molto accidentati, come quelli tipici della guerra siriana.
Fra i risultati dell’esercito siriano, il 20 febbraio è stata riconquistata all’Isis anche una delle maggiori centrali termoelettriche della periferia di Aleppo, dopo che 30 miliziani sono stati uccisi e quattro dei loro carri armati distrutti. Già il 10 marzo, peraltro, l’agenzia iraniana Fars rilevava che alla periferia nord di Aleppo era stata trovata, e subito fatta saltare con dinamite, una lunga galleria che avrebbe permesso ai jihadisti di passare le linee e sbucare alle spalle dei soldati siriani presso gli acquartieramenti di Jamiyeh Al Zahra e Dawar Al Maliyeh.
L’11 marzo è stata completata la riconquista della strada strategica Khanasser-Aleppo-Ithriya, a Nord della città, iniziata il 29 febbraio e che ha segnato ulteriormente la fine dell’assedio e della discontinuità territoriale con le altre zone del paese rimaste al governo di Assad.
Per consolidare il controllo della strada, di per sé una striscia sottile, l’esercito ha dovuto ovviamente estendere una fascia di sicurezza in profondità sui due lati, presidiando cinque villaggi tutt’intorno a Khanasser. Importante in questo quadro anche la lotta per le risorse idriche. Dopo le interruzioni già registrate in febbraio, il 1° marzo l’Isis aveva interrotto l’erogazione delle pompe dell’acquedotto nel quartiere aleppino di Al Khafseh, alla periferia orientale. Ma già il 4 marzo il direttore degli acquedotti di Aleppo, Mustafa Malhis, una delle poche autorità di base rimaste nella martoriata città, poteva confermare che l’intervento dei governativi aveva rimesso in funzione gli impianti ripristinando le forniture d’acqua potabile per quella zona.
In quelle settimane si è inoltre provveduto alla pulizia dei principali canali di drenaggio, che portano in città l’acqua dai torrenti della zona, nonché dal bacino dell’attiguo lago Jabbul. Con la firma della tregua il 27 febbraio gli scontri sono certo diminuiti, ma non di molto.
Sembra esagerata l’affermazione fatta il 24 marzo dal segretario di Stato americano John Kerry, alla vigilia di un incontro a Mosca col collega Sergei Lavrov, secondo cui la tregua aveva “ridotto i combattimenti dell’85 o anche 90 %”. Isis e Al Nusra continuano ad affrontare, separatamente, gli altri due schieramenti i quali fra di loro si limitano a poche violazioni del cessate il fuoco, più ai danni dei curdi, come già detto, su probabile ispirazione da Ankara.
Il 21 marzo, per esempio, veniva denunciato da Rodi Osman, capo dell’ufficio estero dei curdi siriani a Mosca, sorta di “ambasciata”, che l’Esercito Siriano Libero stava violando la tregua nel quartiere Sheikh Maksoud, cercando di strappare anche solo pochi metri di strada con cannoneggiamenti che avevano ferito e ucciso vari civili. Sempre lo stesso quartiere a dominio curdo, il 5 aprile veniva bersagliati da tiri di mortaio dei ribelli che uccidevano ben 18 civili, fra cui una donna incinta e tre bambini.
I cosiddetti “ribelli democratici”, potrebbero del resto, col tempo, diventare preponderanti man mano che i rivali dello Stato Islamico dovessero essere messi in secondo piano, tornando a monopolizzare come tre-quattro anni fa l’opposizione ad Assad, specie nel caso fallissero i colloqui di Ginevra. Il Califfato siro-iracheno ha certamente sprecato un mucchio di uomini, se è vero che, utilizzo dei kamikaze a parte, i resoconti governativi insistono generalmente sul fatto che la maggior parte, se non tutti, dei miliziani impegnati in ogni azione, restano stecchiti sul terreno, soprattutto a causa del divario in armamento pesante, che consente ai governativi di risparmiare più vite al riparo di una potente cortina di acciaio e di esplosioni.
Anche a prendere con le pinze le fonti di Damasco, che ovviamente possono gonfiare le perdite nemiche a scopi propagandistici, è indubbio che le perdite dei jihadisti siano in proporzione più gravi di quelle dei loro nemici.
Che poi il fanatismo religioso li porti a diminuire il valore delle proprie perdite fino a sfiorarne la noncuranza, è un altro discorso. Emblematico l’episodio del 4 aprile, quando un distaccamento dell’esercito siriano appoggiato da una milizia filogovernativa delle Forze Difesa Nazionale ha preso e distrutto una vera e propria fabbrica artigianale che produceva esplosivi e munizioni per l’Isis, situata dentro un grosso silo industriale alla periferia della città. I governativi non sospettavano però che la postazione nemica nascondesse un impianto produttivo, come ha testimoniato un ufficiale della milizia FDN filo-Assad, Ibn Aliyat: “Abbiamo circondato i jihadisti ma non avevamo idea che celassero in quell’edificio una produzione di bombe. Hanno resistito fino alla fine”.
Fronti incrociati
Durante le ultime settimane nel settore settentrionale di Aleppo le milizie di opposizione ad Assad hanno contrastato il Califfato sostenute dalla coalizione occidentale, soprattutto da raid aerei effettuati dall’USAF anche con i noti velivoli d’assalto corazzati A-10.
Nel settore i gruppi principali sono il contestato Ahrar Al Sham, anch’esso in odore di jihadismo come accusano Damasco e i russi, nonché le brigate Sultan Murad e Al Mutasin. La fase più recente è iniziata il 10 marzo e già entro il giorno 19 questa compagine appena più “moderata” dell’Isis ha conquistato cinque villaggi dopo intensi scambi di artiglieria.
A loro sostegno, il 30 marzo anche l’artiglieria turca, da oltre confine, sparava su Jakkah per distogliere forze Isis. Lo scopo evidente, del resto, era tenere aperta la via logistica con la Turchia, sostenitrice sicuramente di questi gruppi, quando non anche dello stesso Isis, stando alle voci sul contrabbando di petrolio gestito dallo stesso figlio di Erdogan, Bilal.
Queste operazioni molto localizzate si sono susseguite con un’altalena di avanzate e ritirate di cadenza giornaliera, come la controffensiva che l’Isis ha fatto scattare il 1° aprile contro Mregel, ma che è stata rintuzzata da distaccamenti di Ahrar Al Sham e da una formazione nota come “Falconi del Monte Zawiya”, ormai al livello in cui diventa sempre più difficile dire dove finisce la formazione guerrigliera con una parvenza di titolarità politica e dove comincia la semplice banda di briganti.
Dal 3 aprile è iniziato un attacco più strutturato, portato dalle brigate Al Mutasin e Sultan Murad contro Al Rai, una cittadina di maggiore importanza, l’importante snodo interposto proprio sulla direttrice dei preziosi rifornimenti dalla Turchia. Non a caso, per annunciare la sua conquista, dopo cinque giorni di battaglia, si è scomodata perfino la “signora” dell’informazione britannica, la BBC. Le brigate anti-Isis hanno dapprima preso i 16 villaggi dei sobborghi, entro il 5 aprile, per poi iniziare la penetrazione in città.
Tutto col cospicuo appoggio tattico assicurato dagli A-10 americani, che pensavano a distruggere postazioni e veicoli dei seguaci del califfo Abu Bakr Al Baghdadi, riducendo il duello a un confronto di fanterie sparpagliate.
Il 7 aprile la maggior parte del centro abitato era in mano alle brigate Al Musatin, che lo hanno infine totalmente strappato al califfato entro la serata dell’8 aprile, seppure si annidino ancora qua e là terroristi incaricati di ostacolare gli attaccanti. A tal proposito uno dei comandanti delle formazioni Mutasin, Mohamed Hassan Khalil ha dichiarato alla BBC: “Nonostante il costante pericolo che ci viene posto dall’Isis con mine, attentatori suicidi e autobombe, il controllo di Al Rai ci permette di porre sotto assedio le posizioni del califfato a Nord di Aleppo e tagliare le loro linee di rifornimento. Sarà una base per una prossima offensiva contro i terroristi verso l’Est e il Sud”.
Le ultime parole famose, se si considera che nella mattinata del 12 aprile l’Isis è riuscita a ricacciare indietro gli avversari riprendendosi, non si sa per quanto tempo, Al Rai!
Più in generale, l’incertezza tattica della situazione, con formazioni che si avvicendano nell’arco di pochi giorni o settimane nel controllo di una zona, fa sì che, nella città di Aleppo e nei villaggi del circondario, i confini non siano mai netti. Come sempre in questi casi, quando una formazione si ritira, usa lasciare dietro di sé spie sotto mentite spoglie, cecchini che si annidano fra le rovine, predisposte con tunnel e varchi di collegamento, attentatori pronti all’azione suicida o all’attentato dinamitardo notturno.
Da tutto quanto emerge, appare chiaro che la filosofia è quella ormai della “guerra alla giornata”, quasi un gioco delle parti se si considera che gli stessi combattenti jihadisti, o dell’opposizione anti-Assad, sanno che ogni posizione persa può essere ripresa dopo pochi giorni, con le armi o anche con alleanza evanescenti.
Se l’asse Isis-Al Nusra sembra in pratica contendere alle milizie di opposizione la via settentrionale dei rifornimenti dalla Turchia, la cui posizione resta fumosa. Parrebbe quasi che ad Ankara, ma anche a Riad, si stia assistendo quasi compiaciuti al confronto diretto fra le due anime, quella più impresentabile (Califfato Isis e Al Nusra) e quella un pizzico più presentabile (gli altri ribelli) per valutare chi meriti di più il sostegno dal confine settentrionale.
Nell’arco dell’ultimo mese e mezzo, comunque, ha spiccato anche la vicenda travagliata di Tel El Ais, cittadina importantissima dei sobborghi di Aleppo, circa 20 km a Sudest dal centro della città e posizionata a ridosso delle colline incombenti sull’autostrada Damasco-Hama-Aleppo. Nella sola giornata dell’8 marzo quelli di Al Nusra e i loro complici della formazione minore Jund Al Aqsa ammettevano di aver perso 26 uomini in poche ore in inutili spallate contro le posizioni governative a Tel El Ais.
Dopo aver ripreso fiato, il 1° aprile le forze islamiste a guida di Al Nusra hanno iniziato una controffensiva nel Sud della zona, riuscendo a espugnare il villaggio, dopo due attacchi a ondata conditi con autobombe guidate da kamikaze. Fin dal primo giorno erano riusciti a uccidere 43 soldati siriani e 11 loro alleati libanesi di Hezbollah. Pochi chilometri più in là, i villaggi di Abu Ruwayl, Hawbar e Birnah sono stati invece conquistati solo per poche ore da Al Nusra, per essere ripresi subito dopo dall’esercito governativo.
L’armata siriana, aiutata da agguerrite forze speciali dei paracadutisti iraniani, ha atteso di reintegrare le sue scorte di munizioni, poi la sera del 3 aprile è passata al contrattacco penetrando nel villaggio ma non riuscendo ancora a impadronirsene.
I governativi, oltre che contare sull’appoggio aereo siriano e russo, hanno fatto largo uso di mezzi pesanti, carri da battaglia T-72 e T-90, e anche di lanciarazzi a saturazione, come confermato da varie fonti, compreso l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani e la stessa televisione di Hezbollah, Al Manar. Le difese di Al Nusra si sono rivelate sulle prime efficaci, tanto che il 5 aprile hanno abbattuto un Sukhoi Su-22 dell’aviazione siriana, il cui pilota, catapultatosi col paracadute, è stato catturato.
Sulla sorte di Tel El Ais, data la sua importanza tattica, si è sviluppata inoltre in quei giorni una piccola “guerra delle informazioni”, con fonti avverse che ribattevano a quelle filo-governative. Così, un esponente di Ahrar Al Sham, Hany al-Khaled, ha dichiarato all’agenzia britannica Reuters che la sua formazione “sta respingendo l’assalto causando gravissime perdite ai miliziani sciiti”. Al Nusra da parte sua ha cercato di sfruttare l’effetto propagandistico dell’abbattimento del caccia siriano mostrando in un video il pilota catturato.
Entro il 6 aprile, tuttavia, l’azione congiunta dei parà iraniani, dei carri armati siriani e dell’appoggio aereo governativo e russo, ha scacciato i jihadisti dalla maggior parte di Tel El Ais, consentendo negli ultimi giorni alle truppe siriane di avanzare oltre la città fino al villaggio di Zorba. L’esercito siriano ha inoltre fatto affluire un convoglio di camion nella zona, segno di un rafforzamento di posizione perché Tel El Ais diventi una base stabile per sferrare ulteriori attacchi.
C’è da aspettarsi comunque che i jihadisti, di ogni gruppo, tenteranno di migliorare le loro dotazioni anticarro e soprattutto antiaeree per cercare di ovviare a uno de fattori più decisivi nel cambiare le sorti del conflitto, cioè il monopolio governativo del dominio del cielo.
L’esperto Zafar Bangash del Centro sul Pensiero islamico di Toronto ha spiegato il 7 aprile che numerosi missili antiaerei vengono venduti dalla Turchia e pagati grazie a fondi di provenienza saudita e che “gli Stati Uniti sono sempre stati coinvolti in questo tipo di traffico, anche se non in maniera diretta”. “
E comunque – ha confermato – essendo Aleppo la maggiore città, grande anche più di Damasco, mai conquistata parzialmente finora dal Daesh e da Al Nusra, questi terroristi faranno l’impossibile per non perderla”.
Bangash è inoltre convinto, come comunemente si ipotizza, che l’ampliarsi delle difese antiaeree dei jihadisti, dimostrato dal recentissimo abbattimento dell’ultimo Su-22 su Tel El Ais, non avrà, tirate le somme, grossi effetti sulla padronanza del cielo russo-siriana. Al massimo si faranno più prudenti le procedure di avvicinamento dei cacciabombardieri ai bersagli, aumentando un po’ la quota di lancio degli ordigni per far guadagnare preziosi secondi in più ai piloti in termini di tempi di reazione e manovre evasive.
Tanto più che, comunque, i missili antiaerei lanciati da terra, partendo da fermi e dovendo sfidare la gravità verso l’alto, non raggiungono subito la loro velocità massima, lasciando già di per sé qualche secondo di scarto che può decidere della sopravvivenza o meno di un velivolo. Diversamente, come noto, dai missili aria-aria che vengono lanciati da aeroplani già in quota e che perdipiù vedono fin dai primi istanti la loro velocità risultante dalla somma della propria, autoprodotta, e di quella del velivolo-madre, a patto ovviamente che il missile proceda nella medesima direzione del caccia da cui si stacca.
Del resto, l’accuratezza dei bombardamenti non diminuirebbe sensibilmente all’aumentare della quota di sgancio, data la precisione delle bombe guidate russe calibrate sul Glonass, il corrispettivo del GPS occidentale.
Che le difese antiaeree restano di tanto in tanto insidiose, anche se non sufficienti a impensierire le squadriglie siro-russe, lo hanno confermato il 12 aprile l’abbattimento di un ulteriore aereo siriano, lontano però da Aleppo, vicino alla base aerea di Dumeyr, più a Sud, verso Damasco, nonché, forse, la distruzione di un elicottero russo da combattimento Mil Mi-28N schiantatosi a Homs durante una missione notturna, nelle tenebre fra l’11 e il 12 aprile, con la conseguente morte dei due uomini dell’equipaggio.
Episodio che Mosca ritiene, per ora, un “incidente”, ma che non è da escludersi sia dovuto a fuoco ostile da terra. Solo il passare delle settimane potrà dirci se gli intricati eventi attorno ad Aleppo prenderanno una piega ben precisa o se la estenuante altalena di attacchi e contrattacchi non sancirà una fase di stallo destinata a durare molto tempo.
Foto: James Harkin/Newsweek, Getty Images, SANA, AP, AFP, Fronte al-Nusra, Stato Islamico, Defence Blog e Airliners.
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Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all’Università Statale di Milano e collabora coi quotidiani “Libero”, “Italia Oggi” e con riviste specializzate. Per la casa editrice bolognese Odoya ha scritto nel 2012 “L’aviazione italiana 1940-1945: azioni belliche e scelte operative”, seguito nel 2013 da “Un secolo di battaglie aeree: l’aviazione militare nel Novecento”. Nel 2014 è uscito per il medesimo editore il suo ultimo lavoro: “Storia dei grandi esploratori: dagli Egizi a Magellano”.