L’ultimo attentato-strage a Kabul, almeno 40 morti in un’agenzia di stampa e in un circolo culturale sciita, reca impronte digitali alquanto riconoscibili. Lo ha rivendicato l’ISIS Khorasan, una sigla multi-uso di cui gli stessi ribelli siriani dicono che è un’invenzione americana. La rivendicazione è avvenuta attraverso Amaq, la fantomatica “agenzie di stampa dello Stato Islamico” che rilascia le sue dichiarazioni ai media internazionali attraverso il SITE Intelligence Group, dove Rita Katz le traduce graziosamente in inglese.
Basterà ricordare che Amaq ha anche rivendicato all’IS la strage di Nizza del 14 luglio 2016, dotato di tutti i segnali significativi del caso: l’autista del camion assassino, un Mohamed Lahouaiej-Bouhlel che tutti i conoscenti giurano non fosse un fanatico religioso, che viene ucciso ma lascia i suoi documenti sul camion stesso, e la presenza fortuita del solito israeliano che filma la scena.
http://www.alterinfo.net/Attentat-a-Nice-un-Israelien-diffuse-une-etrange-video_a124092.html
Effettivamente negli ultimi tempi non passa mese in cui non si produca in Afghanistan una strage “islamica”, diretta contro inermi sciiti, di cui i talebani si dicono innocenti. Può darsi che ciò sia in relazione all’annuncio alla stampa che un contingente supplementare di truppe Usa sarà inviato in Afghanistan nel 2018, piuttosto nutrito, 6 mila uomini, che si aggiungeranno agli altri forse 15 mila già in loco. “istruttori” delle forze afghane, che non li hanno chiesti.
Cresce il sospetto che questo rafforzamento sia rivolto verso i nemici indicati come “revisionisti” nella nuova dottrina di Sicurezza Nazionale, Russia e Cina – senza dimenticare l’Iran . Il fatto che l’Afghanistan confini con questi tre paesi ne fa un centro altamente strategico di sovversione e destabilizzazione. Il paese è limitrofo a Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, nella sfera geopolitica della Russia. Ne sono anche il ventre molle, essendo governati da regimi impotenti che non controllano il loro stesso territorio, peraltro immenso ed impervio. Dopo la sconfitta in Siria, Washington può pensare di usare la carta della rivincita in Asia centrale. Può esercitare ogni tipo di pressioni sulla Russia da Sud.
Tanto più che nei prossimi mesi, fino alle elezioni che vedranno riconfermato Putin nel marzo 2018, c’è da aspettarsi un rialzo parossistico dell’ostilità anti-Mosca in Usa, e quindi anche in Europa: già abbiamo visto su “importanti giornali” italiani articoli che hanno l’aria di essere commissionati, per far grande scandalo dell’esclusione,da è parte dell’ufficio elettorale, del candidato Aleksei Navalny dalle presidenziali, per precedenti guai con la giustizia. Lo stesso tipo di esclusione, è stato notato, che è stato usato in Italia ed Europa contro Berlusconi con la legge Severino; in questo caso, nessuno ha espresso “i seri dubbi sul pluralismo politico in Italia”, mentre invece la Mogherini ha espresso “seri dubbi sul pluralismo politico in Russia” in difesa del candidato tanto caro a tutto l’Occidente.
Navalny come candidato è molto meno forte di Berlusconi, ma è anche un diplomato dello Yale World Fellows Program (insomma ha studiato a Yale con borsa di studio americana) e proprio sul sito di Yale risulta essere cofondatore del Democratic Alternative Movement, una spontanea creazione della “società civile” che ha ricevuto finanziamento dal National Endowment for Democracy, l’organo (pagato dal Congresso) delle rivoluzioni colorate all’Est e nel mondo.
Possiamo stare certi che nulla verrà lasciato intentato per rovinare le elezioni presidenziali russe da qui a marzo, nessuna provocazione anche militare, nessuna storia di anti-democrazia in Russia, nessun attentato terrorista che possa far apparire Putin impotente e incapace. L’attentato di Pietroburgo può essere benissimo un assaggio della anti-campagna che verrà. E dall’Afghanistan, attraverso la poco controllabile area Sud verso la Russia, molto si può fare.
Nello stesso tempo, la presenza Usa in Afghanistan può servire a ostacolare il progetto cinese One Belt-One Road, specificamente l’asse logistico e corridoio economico sino-pakistano. Le infrastrutture di questo corridoio necessitano della stabilizzazione e pacificazione dell’area afghana e dell’Asia Centrale. Pechino ha stretto già relazioni cordiali con Kabul; col Pakistan, le buone relazioni sono storiche – ma parte dell’infrastruttura One Belt One Road passerà lungo o a fianco delle aree tribali autonome e da sempre ribelli (fra cui il Kyber Pass). Gli Usa hanno un interesse decisivo ed evidente a impedire, o almeno a ritardare, che la Cina riesca a sboccare nell’Oceano Indiano (ha già ampliato in Pakistan il porto di Gwadar) per vie interne e non marittime, quindi fuori dal dominio navale anglo-americano. I prossimi mesi ci chiariranno meglio la funzione dei rinforzi americani in Afghanistan.