Da AtlanticoQuotidiano, un capolavoro
di Musso
Ci siamo già occupati della diatriba sul cosiddetto stato di diritto: prima parlando del relativo Regolamento; poi spiegando come si fosse giunti a tanto; poi ancora una tregua provvisoria; infine osservando lo stesso meccanismo usurpativo nel caso dell’Ungheria.
Torniamo alla Polonia, alla luce di una sentenza della Corte costituzionale. Alla quale il governo di Varsavia aveva chiesto di pronunciarsi sull’interpretazione della Costituzione, dopo aver subito pronunciamenti avversi da parte della Corte di giustizia europea (CGUE). La sentenza non pare essere già stata pubblicata e ci affidiamo ad un resoconto della lettura orale. Apparentemente, quattro articoli dei Trattati europei vengono dichiarati in contrasto con la Costituzione polacca.
1(1 e 2)Tue in combinato disposto col 4(3)Tue – la Corte sembra negare che fra le “competenze per conseguire i loro obiettivi comuni” che gli Stati hanno attribuito all’Unione e, dunque, fra gli “obblighi derivanti dai trattati” ovvero i “compiti” dell’Unione, vi siano norme in contrasto con la Costituzione polacca. In altri termini, la Polonia non può aver autorizzato l’Unione a fare cose diverse da quelle che la Costituzione polacca prevede.
19(1§2)Tue da solo – la Corte sembra negare che fra “i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”, vi possano essere rimedi in contrasto con la Costituzione polacca. Come l’applicazione di norme già cassate dal Parlamento polacco o la Corte costituzionale polacca. In altri termini, la Polonia non può aver autorizzato l’Unione ad imporre di fare cose diverse da quelle che la Costituzione polacca consente.
Il 19(1§2)Tue e il 2Tue – la Corte sembra negare che ai “valori” sui quali “l’Unione si fonda” sia stata attribuita la capacità giuridica di emendare la Costituzione polacca. Come nella parte nella quale essa regola la nomina dei giudici e la nomina del locale Consiglio nazionale della magistratura. In altri termini, la Polonia non può aver autorizzato l’Unione a regolare la giustizia in modo diverso dalla Costituzione polacca.
Insomma, la Corte costituzionale starebbe invero dichiarando in contrasto con la Costituzione polacca: NON quattro articoli dei Trattati … bensì la interpretazione che a Bruxelles e Lussemburgo viene data di tali quattro articoli.
Differenza non di lana caprina, bensì capitale: qualora la Corte avesse dichiarato non applicabili i quattro articoli, allora parleremmo di Polexit (l’uscita della Polonia dalla Ue). Ma, siccome la Corte ha invero offerto una lettura vera dei quattro articoli, ebbene: non c’è alcuna Polexit e, anzi, la Polonia starebbe difendendo i trattati. Tra i due casi c’è tutta la differenza che passa fra una guerra di secessione ed una guerra di successione.
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Con ciò ben a mente, leggiamo la prima reazione della Commissione europea. Comincia riaffermando: “il diritto dell’Unione ha il primato sul diritto nazionale, comprese le disposizioni costituzionali”. Varsavia è come avesse già risposto: quale diritto? quello dei trattati va bene, non quello che vi inventate voi a Bruxelles.
La Commissione aggiunge che: “tutte le sentenze della CGUE sono vincolanti per le autorità di tutti gli Stati membri, compresi i tribunali nazionali”. Ma che si fa se la CGUE che sta al Lussemburgo si inventa dei trattati che non esistono? Varsavia è come avesse già risposto: interviene la Corte costituzionale nazionale. Esattamente come aveva risposto la Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe, il 5 maggio 2020:
“se gli Stati membri dovessero astenersi completamente dal condurre qualsiasi tipo di scrutinio ultra vires, concederebbero agli organi dell’Ue un’autorità esclusiva sui Trattati, anche nei casi in cui l’Ue adottasse un’interpretazione giuridica che equivalga essenzialmente a una modifica del Trattato o a un’espansione delle sue competenze”.
Così pure Alessandro Mangia e così pure Todero su Atlantico: “se i giudici polacchi hanno rivendicato il diritto di valutare la compatibilità dell’ordinamento europeo con quello interno, hanno affermato un principio corretto che appartiene già alla cultura giuridica di tutte le Corti costituzionali nazionali”. E tanto basti.
La Commissione conclude: “i diritti degli europei sanciti dai trattati devono essere tutelati, indipendentemente dal luogo in cui vivono nell’Ue”. Ma tali diritti degli europei non possono che essere quelli fissati nei trattati. E dov’è che i trattati regolano le procedure di nomina dei giudici nazionali? Varsavia è come avesse già risposto: da nessuna parte.
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Vedremo in un altro articolo chi potrebbe aver ragione e chi torto. Per il momento, ci basta osservare che a cianciare di Polexit è l’opposizione politica al governo di Varsavia: Donald Tusk in particolare, un altissimo papavero federalista già presidente del Consiglio europeo. Egli ha messo giudici e governo tutti nello stesso secchio e scandito: “vogliono uscire dall’Ue”. Tusk è pure presidente del Ppe e ne ha fatto intervenire il responsabile giustizia (tal Jeroen Lenaers, sconosciuto europarlamentare olandese): “difficile credere alle autorità polacche quando affermano di non voler porre fine all’adesione della Polonia all’Ue. Le loro azioni vanno nella direzione opposta”. Tusk ha pure colto l’occasione per mestare nel torbido, affermando che la sentenza avrebbe dichiarato “che i Trattati Ue non sono compatibili con il diritto polacco”. Oltre, naturalmente, definire la Corte come “illegittima” e il governo come un “autocrate”. Il tutto debitamente strombazzato dalla stampa italiana.
Tutto al contrario i nemici di Tusk. Il primo ministro Morawiecki: agli Stati membri, la Ue non può “imporre … soluzioni legali che siano incompatibili con il loro ordinamento giuridico” … laddove è ovvio che si parla di nuove soluzioni giacché, se tali soluzioni fossero vecchie, esse sarebbero già nei trattati e non sarebbe necessario imporle giacché sarebbero già state accettate. Pure il duro ministro della giustizia Zbigniew Ziobro, ha come obiettivo difendere il Paese dai diktat dell’Europa “in materie nelle quali essa non ha il potere di interferire” … e se non ce l’ha, non ce l’ha.
Certo, Tusk può contare su Bruxelles e sulla Corte del Lussemburgo, ma tutto ciò che può cavarne è un contestato titolo ad irrorare sanzioni pecuniarie (che si aggiungerebbero alla minaccia di sospendere la partecipazione ai fondi europei ed alla non approvazione del Recovery Plan polacco). Cui Varsavia potrebbe reagire disapplicando parti diverse della normativa comunitaria, per esempio in tema ambientale. Sino al punto da spingere altri Stati membri (ad esempio la Germania, estremamente interessata alla permanenza della Polonia nel mercato unico ed anch’essa con una Corte costituzionale presa di mira da Bruxelles e Lussemburgo) ad intervenire. Plausibilmente proponendo un nuovo testo del Trattato che, alla mera condizione la Polonia resti nel mercato unico, la liberi dai fronzoli federalisti.