ANIMALISMO, ANTISPECISMO. NUOVE DERIVE ANTIUMANE.

di Roberto Pecchioli
L’animalismo, insieme con il suo sostegno culturale, l’ideologia antispecista, è un’altra delle derive dell’Occidente terminale. L’affermazione rischia di irritare molti lettori, costringe alla premessa difensiva, alla rassicurazione che chi scrive non solo non ha nulla contro gli animali, ma vuole loro bene, ricordando il proprio gatto o l’affetto per la capretta che mungeva da ragazzino, morta di vecchiaia nel suo stabbio, grazie a Dio.
Il punto, tuttavia, non è questo, né il diffondersi della presenza nelle nostre case di cani, gatti, furetti e altri animali da compagnia. Fatto salvo il rispetto dovuto a ogni essere vivente e il disprezzo per la crudeltà, compresa quella dell’industria zootecnica degli allevamenti intensivi, occorre suonare l’allarme per la diffusione di tesi il cui denominatore comune è la riduzione zoologica dell’uomo, il materialismo più greve, ateo e falsamente buonista, anzi, come diremo, “patosensibile”. L’idea da combattere, di cui l’animalismo è la vetrina accattivante per gli occidentali che si sono disfatti di ogni legame con la tradizione etica, civile e culturale di provenienza, è l’antispecismo.
Specismo è un vocabolo inventato dallo psicologo Richard Ryder, sostenitore dell’esigenza di smascherare “il più grave errore morale” della civiltà occidentale, ovvero il suo antropocentrismo. Non umanesimo, attenzione, ma antropocentrismo, da abbattere per il suo rifiuto di riservare un trattamento egualitario agli esseri viventi diversi dall’uomo, cioè per porre al centro la creatura uomo. Premesso che tutte le civiltà, non solo la nostra, hanno la comune caratteristica di considerare l’essere umano, noi stessi, ontologicamente superiore agli altri viventi, la prospettiva antispecista taglia i ponti con migliaia di anni di cultura. Queste sono le parole di Dio nel Genesi: (1,26) “facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza; dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame e su tutti gli animali selvatici”. Non diverso è l’approccio del Corano, nonostante diverse sure richiamino esplicitamente l’uomo – l’essere cui è destinata la rivelazione divina – al rispetto per gli animali. E’ noto il versetto in cui si afferma la dannazione per una donna che aveva rinchiuso e privato del cibo una gatta.
L’intera storia umana è dunque specista, come tutte le culture, con gradazioni differenti. Antispecismo e animalismo sono parenti stretti, in particolare dalla pubblicazione, nel 1975, di Liberazione animale dell’australiano Peter Singer. Vi si denuncia il “razzismo di specie” e si inaugura, tra l’altro, una nuova forma di vegetarianesimo morale, inteso come “il passo più concreto ed efficace che si può compiere per porre fine tanto all’inflizione di sofferenze agli animali non umani, quanto alla loro uccisione”. Spiccano, nella citazione, i due pilastri del pensiero antispecista, la riduzione dell’uomo a animale tra gli animali, e il debito con l’utilitarismo inaugurato da Jeremy Bentham, il primo che propose di includere in un’unica comunanza morale uomini e animali.
Singer, ateo radicale, oltrepassa Bentham nel considerare giusta l’azione volta alla soddisfazione del maggior numero di esseri senzienti, una categoria che include gli animali, poiché anch’essi hanno la capacità di soffrire. Ciò introduce il concetto di “patosensibilità”, ovvero l’attitudine di colui che si identifica con il dolore altrui, umano o animale. Per Singer, la differenza di specie è moralmente irrilevante, anzi è un indebito pregiudizio non diverso dal razzismo e dal sessismo. Una tesi ripugnante di Singer è quella della “sostituibilità”, ovvero la giustificazione dell’infanticidio, mascherato da eutanasia neonatale in caso di disabilità del bambino, con l’asserzione che “è preferibile sopprimere un bambino malato in fase neonatale e sostituirlo con un nuovo progetto creativo”. Progetto creativo? Un animale sano vale dunque più di un neonato malato! Il passo successivo dell’antispecismo animalista è l’azione detta biocentrica, ossia interessata alla vita nel suo complesso, estranea all’uomo, e la ipostatizzazione del concetto di Gaia, (James Lovelock), l’ipotesi che attribuisce alla terra una natura senziente, una sorta di regressione animista ostile all’uomo in quanto sfruttatore del pianeta e dominatore di quello che è vietato definire creato.
Il pensiero antispecista è alla base del veganismo, inteso come rifiuto di contribuire alla sofferenza di altre specie, utilizzando, nell’alimentazione e nell’abbigliamento, prodotti di origine non animale. E’ comune il rifiuto degli spettacoli, circhi, acquari e altre forme di intrattenimento che coinvolgano animali, oltreché la crociata contro la caccia, che, stranamente, non coinvolge quasi mai l’esercizio della pesca. Tra i progetti dell’antispecismo militante atti a rivendicare l’uguaglianza animale ce n’è uno assai singolare. Si chiama Grande Scimmia, è animato dallo stesso Singer e dall’italiana Paola Cavalieri, ed esige l’estensione dei diritti umani alle scimmie antropomorfe. Altri settori animalisti propugnano una completa rilettura dell’etica, fondendo evoluzionismo darwinista e antispecismo, allo scopo di riconoscere la rilevanza morale della continuità tra le specie.
Un altro aspetto dell’antispecismo è la confluenza nel pensiero transumanista, sulla base di un diritto al benessere di cui sarebbero titolari tutti gli esseri senzienti. Così recita la dichiarazione transumanista nel progetto Humanity+, facilmente reperibile in rete: “sosteniamo il benessere di tutti gli esseri senzienti, compresi gli esseri umani, gli animali non umani e qualunque futura mente artificiale, forme di vita modificate o altre intelligenze a cui il progresso tecnologico e scientifico possa dare luogo”. Tutto si tiene, tutte le derive del pensiero occidentale postmoderno hanno le stesse matrici: ateismo assoluto, negazione di ogni trascendenza e spiritualità, equivalenza generalizzata come estensione illimitata del principio di uguaglianza, aperto agli “animali non umani” e domani all’intelligenza artificiale e alla cyberumanità “aumentata”.
Il pericolo è mortale, come capiranno facilmente coloro che amano i loro animali da compagnia, i vegetariani e i vegani non ottenebrati dall’ideologia antiumana. Struttura in senso marxiano è la deriva antiumana, sovrastruttura i vari ambiti in cui si esprime, animalismo, antispecismo, ecologismo di Gaia, scientismo, transumanesimo, passaggi successivi dell’uguaglianza radicale cui non basta più l’orizzonte della specie umana.
Nell’esperienza quotidiana, sperimentiamo già l’ampiezza dei successi conseguiti dall’ideologia descritta, fortemente sostenuta da organizzazioni transnazionali, a partire dall’ONU e da Organizzazioni Non Governative dagli enormi mezzi finanziari. In Italia esiste da diversi anni un importante teoria del diritto improntata ai principi citati, il Trattato di Biodiritto di Stefano Rodotà, recentemente scomparso, politicamente impegnato per decenni nella sinistra radicale. L’idea è tuttavia trasversale, giacché animalista militante è l’ex ministro berlusconiano Michela Vittoria Brambilla, cui si deve l’apodittica asserzione che gli animalisti “sono la parte migliore del nostro paese. Generosi, altruisti, sensibili, solidali “. La solita lotta tra il Bene e il Male in cui sono maestri tutti i progressismi, una propaganda che sfocia nell’odio di sé.
A breve, il disprezzo dell’umanità per se stessa, taglierà un nuovo traguardo. Nello Stato americano di Washington, i resti dei defunti appartenenti alla specie umana – la precisazione è obbligatoria – potranno essere utilizzati come fertilizzante. Il compostaggio dei cadaveri è presentato dal senatore democratico proponente come un progresso e un elemento di libertà, giacché, oltre alla decisione sul proprio corpo, “abbiamo scoperto che ci sono modi di trattare i resti umani in modo più sicuro e rispettoso per l’ambiente “. Aveva intuito molte cose Ugo Foscolo nella sua invettiva contro gli antenati giacobini delle derive antiumane, che avevano imposto le sepolture fuori da città e paesi. “Dal dì che nozze e tribunali ed are/dier alle umane belve esser pietose/di se stesse e d’altrui/ toglieano i vivi/all’etere maligno ed alle fere/i miserandi avanzi che Natura/con veci eterne a’ sensi altri destina.”
In questo senso, ben più “umani” sono coloro che danno sepoltura in segno d’amore e rispetto anche ai loro animali. La fine del senso religioso, di un diritto rettamente inteso e del senso comunitario hanno portato alla polverizzazione dell’umano, la sua opacizzazione a favore di una estensione di presunti diritti agli animali e, per contro, un’indifferenza spaventosa per la specificità misteriosa dell’esperienza umana, della quale si vogliono cancellare tutte le tracce. Rifiuti da smaltire come i feti abortiti, i corpi che albergarono spirito, anima e la scintilla divina dell’intelligenza, possono essere restituiti alla terra come fertilizzante, letame umano biodegradabile, igienicamente trattato.
In alcuni paesi, partiti politici animalisti propongono diritti sociali per gli animali, ad esempio le otto ore di lavoro come gli “umani”. Noi restiamo convinti degli argomenti di un illustre cattedratico autore di numerosi testi, Alonso Sànchez Gascòn, per il quale gli animali giuridicamente (altra cosa è la dimensione morale e affettiva) non possono avere diritti in quanto non coscienti del rilievo etico delle loro azioni. Per lo stesso motivo non hanno obblighi, in quanto le loro condotte sono determinate dall’istinto. Per possedere diritti degni di tutela davanti alla legge – che è, non dimentichiamolo, un’invenzione degli “animali umani” – dovremmo immaginare che un asinello o uno scorpione siano in grado di valutare criteri umani come la dignità, amor proprio o autostima.
Diverso è sottrarre all’arbitrio dell’interesse economico taluni aspetti della vita animale. Non è insensato opporsi a certe tecniche zootecniche, tanto in ambito riproduttivo quanto nell’esistenza concreta degli animali, così come valutare caso per caso l’opportunità delle sperimentazioni condotte su varie specie. Lo scenario con cui ci confrontiamo è l’imposizione agli esseri umani di tali pratiche, con il pretesto della volontarietà e financo dell’altruismo, ad esempio nella gestazione surrogata, o utero in affitto.
L’albero scosso da Singer, Ryder, Marina Baruffaldi e altri ha cominciato a raccogliere frutti legislativi nel parlamento europeo e in diverse giurisdizioni a partire dalla seconda metà degli anni 90. Il cambiamento di paradigma avvenne allorché si produsse un processo di soggettivazione della natura, come se questa si fosse costituita in soggetto rivendicativo Si è venuto formando un nuovo orientamento del diritto solo apparentemente ecologico, poiché non è l’orso bruno a stabilire il limite del suo territorio, né il salmone a indicare coscientemente il suo habitat, ma militanti “umani” ertisi a difensori degli animali, che finiranno per costruire un mondo profondamente antiumano. Alcuni manifestano un vero e proprio totalitarismo animalista anche con atti di violenza, inteso a cambiare la relazione generale dell’essere umano con la natura secondo il criterio ideologico dell’uguaglianza/ equivalenza declinato in termini di diritti, smentito dalla biologia non meno che dal senso comune e da tutte le civiltà umane.
Ma per costoro è dell’uomo che occorre liberarsi, l’unico essere che valuta, giudica, agisce secondo criteri moralmente e razionalmente orientati. Al di là della legittima preoccupazione per l’ambiente, la salute animale e il futuro della terra, i più non si rendono conto di essere lo strumento inconsapevole di un progetto complessivo di riduzione dell’uomo a schiavo della minoranza oligarchica (umana, disumana) che promuove le derive ideologiche al fine di utilizzarle per uno scopo evidente a chi abbia occhi per vedere. Animalisti radicali, antispecisti allucinati, come in un altro ambito i teorici dell’ideologia di genere, sono gli utili, rancorosi idioti, il materiale umano scelto come truppa d’assalto dalle oligarchie dominanti, la cui maschera odierna è il progressismo libertario e l’egalitarismo assoluto ( eccetto il campo economico !) per dissolvere ogni tipo di legame, struttura culturale, principio comunitario e dominare un’umanità di atomi decerebrati sino al superamento definitivo dell’esperienza umana, da sciogliere nella transumana futura umanità.
Equivalenti agli animali, solo istinto e istante, una specie tra le tante. Siamo arrivati a crederci, nella terra del tramonto. Non è un caso se ci chiamiamo Occidente.