L’Apocalisse – parola traducibile semplicemente come Rivelazione o, meglio ancora, atto dello Svelare inteso come il gesto di togliere il velo che copre il Reale – non è soltanto una profezia degli eventi escatologici ultimi ma rivela il dramma storico dell’umanità posta di fronte alla scelta tra il Sommo Bene e la suadente tentazione dell’autocostruzione del proprio destino, la tentazione del potere umano che crede di essere onnipotente. In questo senso l’Apocalisse narra la vicenda di ogni secolo, di ogni generazione, di ogni epoca. Quindi anche della nostra. Tuttavia l’Apocalisse non tratta solo del destino escatologico del genere umano nel suo complesso. Essa svela anche, forse soprattutto, il destino escatologico di ciascun essere umano preso nella sua singolarità. In altri termini riguarda il nostro personale destino di salvezza o perdizione. L’eschaton, infatti, attiene alle “cose ultime”, alle “cose definitive”. In tal senso si tratta dell’orizzonte ultimo sia della storia umana, quindi dell’intero genere umano, sia della vicenda temporale di ognuno di noi, quindi dell’orizzonte eterno che ciascuno in qualche modo, con le sue opzioni di vita (perché esse ci seguiranno anche nel post-mortem), sceglie per sé aprendosi o chiudendosi all’Amore Infinito che è Oltre qualsiasi dimensione intermedia e terrena, che pure sono benedette in quanto create.
L’orizzonte dell’esistenza umana, come genere e come singolo, tuttavia non si dipana lungo una linea che progressivamente va dal primitivo al perfetto secondo uno schema evoluzionistico. É questo che afferma, erroneamente, molta teologia moderna evidentemente a digiuno delle prospettive metafisiche ben presenti, invece, ai Padri della Chiesa come ai Dottori medioevali. Se è vero che «Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine» (Apocalisse 21,6) è allora evidente che, contrariamente a qualsiasi visione lineare della vicenda storica umana, alla Fine (la quale, certo è anche il Fine, il Telos) ritroveremo il Principio, l’Uni-Trino dell’Origine. Ciò che, piuttosto, differenzia la Rivelazione di Giovanni dalle concezioni extra-abramitiche della ciclicità ininterrotta e ripetitiva, costruite sulla ciclicità del tempo naturale che tuttavia non è la stessa cosa del tempo storico (solo l’uomo, non le altre creature, conosce la dimensione della storia), è l’Unicità dell’Evento dell’Incarnazione che postula l’Unicità della Vicenda di Creazione, Redenzione, Realizzazione del Disegno Divino.
Lasciando, per ora, sullo sfondo questa dimensione in qualche modo cosmica svelata dal Libro della Rivelazione e tornando all’orizzonte personale che riguarda strettamente da vicino ciascuno di noi, la lettura dell’Apocalisse, ad una intelligenza attenta, appare chiaramente “duale” laddove nello scenario dell’Evento Universale è inserito l’orizzonte dell’evento personale. In un intreccio inseparabile, certamente, ma al tempo stesso chiaramente distinguibile. Se prendiamo, ad esempio, il Capitolo 7, nel mezzo di un dramma cosmico – che vede potenze angeliche segnare con il sigillo di Dio l’immensa moltitudine dei salvati mentre altre potenze angeliche si apprestano a devastare il mondo ormai corrotto per preparare «un nuovo cielo e una nuova terra» (Ap. 21) – viene introdotta l’immagine di “coloro che hanno reso candide le loro vesti col sangue dell’Agnello”
«Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: “Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?”. Gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”. E Lui: “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col Sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap. 7, 13-17).
Questo passo può e deve essere inteso anche in riferimento al nostro destino personale. Chi nella sua vita avrà attraversato la propria “grande tribolazione”, ovvero avrà lottato e vinto sulle tendenze al male della sua natura ferita dal peccato, purificandosi nel Sangue dell’Agnello ossia mediante l’Eucarestia che lo unisce misticamente al Sacro Cuore ed al Sangue di Cristo, che è la sola sorgente della Grazia kenotica offerta dal Cielo all’uomo, potrà entrare nel Santuario celeste dove non sarà più soggetto ai limiti ed alle sofferenze della vita naturale. Perché gli sarà restituita la dimensione perduta all’Origine, quando l’Eden trascendente – quello dal quale si irradiavano le fonti delle acque dell’Immortalità attraverso l’Albero della Vita – rifletteva la Luce Divina sull’Eden terreno. Sottraendo, in tal modo, l’Adamo, ossia l’Uomo, che pure viveva anche nella dimensione carnale e naturale (in sé, prima del peccato ovvero prima della pretesa umana di autosufficienza, cosa buona e quindi benedetta, come dice il Genesi), ai limiti ed ai dolori ai quali sono sottoposte le altre creature e necessari per conservare, nell’attuale stato pre-escatologico, l’equilibrio della Creazione.
Luigi Copertino
dalla pagina FB dell’autore