di Roberto PECCHIOLI
Viviamo in un manicomio a cielo aperto con sentore di patibolo. Osservarlo lascia un retrogusto amaro, qualcosa tra il lupanare e il cimitero industriale.
L’otto marzo, attivisti/e umanitari/e difensori della libertà e del diritto di cambiare sesso sin da ragazzini hanno insudiciato con slogan postribolari diverse cattedrali europee, tra le quali quella di Santiago di Compostela, uno dei simboli della cristianità europea. Ne citiamo uno tra tutti, con le scuse di chi scrive, rivolto al maschio eteropatriarcale: “io non sono uscita da una tua costola, tu sei uscito dalla mia f…”. Una lirica in linea con la sottigliezza filosofica del movimento. In compenso, ad Ancona una violenza sessuale non è stata condannata in base a una prova conclusiva: la presunta vittima non è per nulla attraente.
Nell’oscurità in cui viviamo, confondiamo termini e categorie: vittime e carnefici, generosi ed egoisti, violenti e coraggiosi, libertà e capricci. Da tempo celebriamo i vantaggi del suicidio. In Olanda, da quando l’eutanasia è legge, anche per i minori, i casi sono triplicati. Un quarto di tutti i decessi derivano dalla pratica della cosiddetta dolce morte. Alcuni medici si ribellano al destino da boia, mentre si estende una modalità per così dire precauzionale: si chiede la morte in previsione di malattie future. Non esiste profilassi migliore: ci ammazziamo per evitare di morire. In Scandinavia, dove vivere soli è la regola, c’è chi lascia bene in vista per gli efficienti funzionari dello stato socialdemocratico i soldi per il funerale. Che meraviglioso civismo, non gravare sul bilancio pubblico per l’ultimo viaggio.
Oltre i profumi che aiutano la seduzione e completano il fascino caduco della bellezza fisica, si fa strada l’acre odore della morte, l’orrore di una civiltà terminale per se stessa. In mezzo al pansessualismo di immagini sparate ovunque, si estende una grave astenia sessuale tra i giovani maschi, che hanno trovato nella pornografia una soluzione igienica priva di rischi per lo scarico quotidiano delle pulsioni e hanno rinunciato allo splendido ma rischioso esercizio della comunicazione e della conquista. Non è facile l’antico gioco della seduzione alle condizioni del contratto giuridico. Si rompe l’atmosfera suggestiva quando deve essere esplicito e diretto il consenso, con tanto di gesti permessi o vietati sotto pena di denuncia penale unita a richiesta di risarcimento civile.
In quelle condizioni, l’industria pornografica prospera, produce fiumi seminali, i più anziani non vogliono restare esclusi, investendo in preparati e pillole blu per restare performanti. Moltitudini silenziose sprecano così la vita, e si reclama un altro diritto, quello a servizi sessuali per i disabili. Qualche Stato- i più avanzati, ça va sans dire – organizzano l’assistenza e assumono il personale addetto. Chissà se occorre corrispondere un ticket, magari a seconda della prestazione fornita, con assoluto divieto di discriminazione per “orientamento sessuale”. I più giovani, dicono le statistiche, iniziano il consumo di mercanzia erotica verso gli 11 anni, alcuni, crescendo, soli e già debosciati, si astengono da ogni relazione reale. Solo sesso virtuale, prodotti provenienti dallo schermo. Pare che allo stesso ritmo con cui cresce l’industria pornografica, si ingrossi l’esercito dei senza sesso, per scelta, accumulo o sovraesposizione.
In altri ambiti, applausi ad alcune sentenze (il giudicato penale, oracolo di Delfi del diritto positivo, non si deve mai commentare negativamente!) che condannano vittime di furti e rapine a rifondere i malfattori feriti dalla reazione del derubato, screanzato villanzone che si permette di difendere la vita, il lavoro, la casa e la famiglia. Le prime sentenze divorzili sulla legge dei matrimoni omosessuali devono sbrogliare una delicata matassa: a chi spettano gli alimenti?
Il divieto di essere dalla parte della famiglia naturale – chiamata “tradizionale” con ostentato disprezzo progressista – impedisce al governo di dare patrocinio alla manifestazione pro famiglia di Verona. Un fine intellettuale pervenuto alle più alte cariche a poco più di trent’anni, l’Alessandro Magno del Vesuvio Giggino Di Maio, ha definito “sfigati” i difensori della famiglia. Più fortunati gli invertiti, ovviamente, oltre a celibi e zitelle riconvertiti in “single”. Il Di Maio-pensiero, sempre in grado di attingere vette negate ai comuni mortali, rincara la dose, vietando ai militanti a 5 Stelle di partecipare al raduno degli sfigati, parlando di “festa del Medioevo”. Uno vale uno, anche nell’ignoranza e nel luogo comune. Ami la famiglia? Vivi nel medioevo, non sappiamo se da valvassino o servo della gleba. Ti difendi dai rapinatori? Vuoi fare dell’Italia il Far West, ma qui il copyright, la proprietà intellettuale, è della sinistra pacifista, illuminata e riflessiva.
La stampa internazionale informa di un’ulteriore fobia di quest’epoca folle; dicono che stia crescendo in Occidente il timore che una tempesta solare distrugga la “civiltà”. Poco male, direte voi biechi reazionari, guardandovi attorno. Riteniamo però che la vera paura sia di non poter assistere all’evento in diretta tramite carta prepagata, giacché questa anticiviltà sembra sostenersi su un’industria nichilista di distruzione produttiva.
L’uomo moderno, dice Nicolàs Gòmez Dàvila, distrugge più quando costruisce che quando distrugge. Questa strana costruzione distruttiva ha potuto finora alimentarsi della sostanza storica di una solida civiltà ereditata. Adesso siamo al finale per consumo di tutta la realtà storica nonché di tutte le idee e realizzazioni concrete ricevute. Nell’ultimo atto, cala il sipario e la civilizzazione muore grazie alla sua enorme capacità di autodigestione: ingoia tutto, non si muove più, un immenso corpaccione informe. Il grottesco timore della tempesta solare procede dal suo probabile effetto negativo su reti elettriche, satelliti, sistemi di comunicazione. Dà persino sollievo fantasticare su questa ecpirosi, la conflagrazione universale immaginata dalla filosofia degli Stoici come fine del ciclo evolutivo cosmico, in attesa di palingenesi, la rinascita. E’ un sogno dolcissimo, di questi tempi, immaginare la fine della gigantesca macchina tecnologica che ha prima annichilito, quindi sostituito la realtà, una distruzione che contiene una promessa di rigenerazione,
Che l’atmosfera sia irrespirabile non è una metafora, ogni anno muoiono in Europa 800mila persone per malattie associate alla contaminazione atmosferica. Eppure, nessuno sembra comprendere che i disastri ecologici sono un fenomeno derivato dalla rovina spirituale di cui non ci accorgiamo più. La chiesa dell’eutanasia (Church of Euthanasia), organizzazione con tanto di sito Internet, ha un proprio decalogo, i comandamenti della dissoluzione. Uno di essi impone di non procreare, thou shalt not procreate, espressione diretta dell’antiumanesimo postmoderno, non più impegnato nella costruzione dell’Uomo Nuovo comunista o dell’Oltreuomo di Nietzsche, ma esplicitamente diretto alla fine dell’uomo.
La fine dei tempi, ovviamente, sarà visibile in televisione o in streaming, la potremo commentare in diretta sulle reti sociali. Qualcuno creerà la piattaforma migliore per vivere in tempo reale le delizie della catastrofe in ogni punto del pianeta. Sarà scaricabile una applicazione, la magica App che permetterà di contemplare il progresso della rovina – che è la rovina del progresso – con ogni dettaglio e all’istante. Ci piacerebbe chiamarla Appocalittica, un nome suggestivo di facile presa. Il mercato sarà in grado di soddisfare ogni esigenza per lo spettacolo finale. Ci saranno mille possibilità, incluso, per i più tecnologici, un pacchetto autolitico per la rapida distruzione delle cellule.
Fuori dall’amaro sarcasmo, apocalittica, con una o due P è lo stesso, è diventata la civiltà rovesciata nella sua fase convulsiva. La Madonna di Fatima mise in guardia un secolo fa, allorché disse ai pastorelli che la battaglia finale tra Dio e Satana si sarebbe combattuta sulla famiglia. La gente semplice e buona lo sa per istinto. Talora lo scorda la Chiesa, ex madre, una volta maestra. App…ocalittica.
ROBERTO PECCHIOLI