Riporto :
https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/italia/sovranisti-senza-idoli/
La morte del generale Soleimani ha scatenato le peggiori reazioni che ci si potesse aspettare da esponenti di punta della galassia sovranista.
di Giancarlo Cutrona – 9 Gennaio 2020
Pare che con il 2020 si sia già inaugurata una nuova stagione politica caratterizzata dal crepuscolo degli idoli. La morte del generale iraniano Soleimani, infatti, non ha creato scompiglio solo sul piano geopolitico ma anche e soprattutto all’interno della galassia dei sovranisti, che ora appare tardivamente delusa e inorridita dalla posizione e dal linguaggio assunto dai volti noti di quell’area.
L’auspicio, tuttavia, è che questa parte di elettorato, scoraggiata e momentaneamente orfana di punti di riferimento, non si stupisca e non si adiri più di tanto se d’ora in poi, ipso facto, sentirà qualcuno affermare – con la dovuta leggerezza del caso – che Salvini e le sardine (e tutta la fragorosa schiera di proseliti a loro seguito) sono in fin dei conti componenti della stessa matrice, note musicali diverse appartenenti a un solo e unico (s)partito. Esattamente come lo sono sempre stati il Pd e il Movimento 5 Stelle, Macron e la Le Pen in Francia, oppure Trump-Clinton-Soros-Bannon e le Ocasio di turno negli Stati Uniti.
Non si tratta di una blanda provocazione fine a se stessa, né di una divagazione dai contorni iperbolici: è solo un dato di fatto oggettivo, mero pragmatismo analitico. Gli uni dicono agli altri “sovranità”, ma con essa hanno inteso e intendono tuttora la sovranità dell’Occidente sul mondo, perché per loro non può esistere altro mondo all’infuori di questo (leggasi “mondializzazione”). Gli altri che “il mondo è di tutti” e che “tutti hanno il diritto di essere accolti in questo mondo”, ma per “mondo” essi intendono l’Occidente, o per meglio dire, solo l’Occidente – sia pure esso multietnico – che diventa il mondo di tutti e per tutti, rendendo subalterna o addirittura obsoleta ogni altra forma di esperienza umana, culturale e identitaria all’infuori di questa (di nuovo, leggasi “mondializzazione”).
Chiese differenti, stesso sermone, stessa filosofia di fondo. Spiace dunque per i delusi, per chi non ha più totem da idolatrare, ma tra costoro non vi è alcun alfiere coraggioso. Tutte pedine. Sono tutte pedine finite – in alto consapevolmente e in basso inconsapevolmente – dentro un gioco più grande di loro: la mondializzazione monopolare o, se preferite, la monopolizzazione mondiale. L’unico, vero obiettivo portato avanti dall’aristocrazia occidentale, il cui cuore strategico-militare risiede nel Pentagono.
Grande è l’inganno (semantico, politico, culturale, strategico). Molte le idee confuse. Come confuso è chi chiama terrorista chi i terroristi li ha combattuti davvero, facendone una missione di vita. Come confuso è chi, definendosi “intellettuale”, inneggia alla guerra e gioisce dinanzi al sangue, alla morte e al dipanarsi della barbarie al grido di “uno in meno”: dando così la spiacevolissima dimostrazione di come il proprio spirito non si sia elevato di un centimetro al di sopra di quello della scimmia.
Ma li chiamavano intellettuali, questi. Coloro che immaginano quel mondo lontano, quando invece esso è vicino, troppo vicino. Talmente vicino che le prime ricadute di questo war game – se oltre l’Iran consideriamo ciò che accadrà nelle prossime ore in Libia, con la presenza turca – le pagheremo noi come mediterranei, italiani, europei, quasi certamente in materia di flussi migratori – vedi il costante ricatto che Erdogan impone all’Europa – al netto delle recenti iniziative della Farnesina in politica estera.
Tutto questo culturame mondialista-italico-sovranista, che ciancia teorie su teorie ignorandone le conseguenze più elementari, vede questo, ancora, come il tempo della lancia e dalla spada, e crede di combattere contro una manciata di beduini tecnologicamente arretrati. Questo invece è il tempo della grande guerra asimmetrica, degli hacker e delle atomiche. Basta un pulsante, o quella che banalmente potrà sembrare un’innocua stringa di codice, per mettere in ginocchio un’intera nazione o per cambiare per sempre i destini del mondo (a tal proposito, il caso Stuxnet ci dice che non solo l’Iran sa come difendersi, ma anche come contrattaccare).
Quindi, in cosa credere dopo questo tramonto? In niente di diverso dalla salvaguardia della pluralità del mondo in tutte le sue forme, siano esse nazioni, popoli, culture o modi differenti di vivere la vita. Perché in mezzo ci siamo noi. C’è l’uomo obsoleto di Gunther Anders con la sua vergogna prometeica, la sua matrice, i suoi fantasmi e la sua esperienza di vita uniformata. E il mondialismo questo è: una visione folle della storia, che non prevede relazione ma coercizione che uniforma, e nella quale è banalmente nascosto il totalitarismo liberale planetario.
(MB – Non conosco personalmente l’autore. Ma posto questo suo articolo perché, nonostante qualche esagerazione, segnala in Salvini (e amici suoi) l’adesione ai miti e dogmi del mondialismo. Una adesione irriflessa e incolta alla cosa più delittuosa del Sistema: “Celebriamo un altro assassinio di successo!”. “Viva Israele!”)
Ora, un leader che prende i voti (e tanti) in nome del sovranismo (o quel che ne resta) dovrebbe essere cosciente delle poste in gioco. Sull’insufficienza mentale di Salvini a servire una causa ideologica cui parecchi di noi tengono e temono, ho già parlato.
Ovviamente lui può infischiarsi del voto di noi quattro gatti “intellettuali”, ritenendo gli bastino le “masse dei papete” e dei selfie della sua perenne propaganda di piazza, ormai troppo ripetitiva, le sue reboanti vanterie da baùscia milanese.
Inutile ricordargli l’autolesionismo con cui provoca la magistratura: “Non processeranno solo Matteo Salvini, ma processeranno la stragrande maggioranza degli italiani. … Mi processino, mi condannino e poi vediamo con chi sta il Paese”.
La “stragrande maggioranza” che si farà processare con lui? Le masse del papete e dei selfie? Vediamo quanti saranno, a “lottare”, quando i giudici lo tritureranno.
E come spiegargli che la frase “Voglio i pieni poteri!” andrebbe pronunciata come minimo dalla torretta di un carro armato, non da un video mentre mangia una pizza con peperoni e salame.
I furbissimi marpioni in ogni stanza dei bottoni istituzionali, l’hanno già soppesato e valutato scarso di peso; ovviamente cercheranno di distruggere non tanto lui come persona, ma le speranze che la sua figura ha bene o male incarnato: e sono quelle che io, personalmente, non voglio veder distruggere.
Vedo che lo stesso dubbio o esasperazione, aleggia in Luca Mussati…nemmeno questo lo conosco personalmente: mi basta sapere che è il curatore di “Scenari Economici”, la più lucida, intelligente e determinata tribuna “sovran-populista”
Orbene: sulla questione importantissima della rimettere le Autostrade nella disponibilità dello Stato, segnala la posizione del governatore del Veneto:
"Nazionalizzare le strade significherebbe la paralisi". [@LaStampa, 22 agosto 2018] pic.twitter.com/WUCtcAh9DU
— Luca Zaia (@zaiapresidente) August 22, 2018
Che Zaia fosse un liberista fanatico, era più o meno noto. Ma ora manifesta un programma di privatizzazioni e smobilitazione generale di tutti i beni comuni storici della sua regione, che dovrebbe allarmare soprattutto i veneti.
Zaia: “Venderemo anche valli da pesca e immobili in tutto il Veneto”
“Votateveli voi, questi”, conclude Mussati. Utile avvertenza: a coloro che, credendo di votare Lega, possono credere di votare le idee di Bagnai e Borghi, di Rinaldi, Zanni e Garavaglia sull’economia nazionale.
Non solo non è semplicemente così. Zaia non solo è un esponente di primo piano di quella “Lega Nord” che non ha mai avallato né mostrato di approvare mai l’avventura “nazionale” di Salvini, tanto che – è cosa nota – non hanno aderito alla “Lega per Salvini Premier”, restando nella “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”.
http://www.ilgiornale.it/news/politica/salvini-sdoppia-lega-due-partiti-leader-1550983.html
Non solo: Zaia e Fontana son molto più potenti politicamente di Salvini, se non altro perché governano le due regioni più importanti del Nord, e lui solo le folle delle sue illusioni; e sull’economia, saranno del “loro” scelte ad essere decisive: si resta nell’euro e nella UE, si lasciano le autostrade ai Benetton, si vendono a privati le Valli di Comacchio. E non aspettano che il primo insuccesso del Capitone per liberarsene. E’ una frattura interna che non aspetta altro di manifestarsi: come quella che sta facendo implodere il 5 Stelle, i in fondo per la stessa ragione: l’ambiguità del messaggio.
Da segnalare la eurodeputata leghista Gianna Gancia:
“Il #debitopubblico sfonda quota 135%, il livello più elevato della storia repubblicana. Nell’arco di 15 anni si arriverà con ogni probabilità al 160%. Questo significa, letteralmente, rubare il futuro ai nostri figli. La politica italiana? Non pervenuta.
“……Unica vera soluzione: un massiccio e costante taglio della spesa pubblica improduttiva, partendo, ad esempio, dai sussidi erogati a pioggia a fondo perduto e razionalizzare le spese della pubblica amministrazione”.
La signora ripete i luoghi comuni più vieti che sente a Bruxelles, senza nemmeno sapere che il “massiccio e costante taglio della spesa pubblica” è in atto da 30 anni, tant’è vero che lo Stato è in avanzo primario, ed è proprio questo il motivo per cui il debito pubblico è aumentato.
Ché se poi uno si orientasse a dare il suo voto a “Fratelli d’Italia”, sia almeno avvertito che Giorgia Meloni che in ogni occasione pubblica si è pronunciata per il “pareggio di bilancio”, anzi l’ha fatto scrivere in Costituzione (a cui non è mancato nemmeno i voto leghista, convinto così di tagliare i fondi al Meridione corrotto…)
Ma il guru di Giorgia Meloni è Giovambattista Fazzolari, che si autodefinisce “senatore e responsabile di Fratelli d’Italia” che fa proclami di questo genere:
Su questione deficit. La posizione di
è nota: zero deficit per spesa corrente e deficit entro il 3% ma solo per investimenti, infrastrutture, messa in sicurezze del territorio.
“Precisazione ai sovranisti della domenica: la ricetta più Stato, più spesa pubblica, più deficit è la ricetta della sinistra da diversi decenni. Noi vogliamo meno Stato, meno tasse, meno sprechi e deficit per fare investimenti, non il reddito di cittadinanza ai furbi”.
https://twitter.com/GioFazzolari/status/1213473828967452678
Penso sia un fenomeno di insufficienza culturale: questi non sanno nulla nemmeno della gestione dell’economia fascista, de deficit del 12 per cento annuo durante gli anni ’30, nulla dell’IRI. Palesemente fanno che ripetere a pappagallo i dogmi economici dettati dalla UE, a cui doppiamo la nostra rovina economica.
Votare per tale senatore, come per la leghista Anna Gancia, è esattamente come votare per Monti, per Cottarelli, per Mario Draghi. Anzi è probabile che siano già il blocco “di centro destra europeista per fare il nido a Draghi. Non è un caso se Giorgia Meloni è stata incoronata dal Times tra le 20 persone che possono cambiare il mondo.
Insomma l’etichetta di “sovranismo” e “populismo” può stare, oggi, su bevande dal gusto molto diverso.
Vedo che il Capitone ha allestito un convegno su “Le nuove forme di antisemitismo” a cui ha invistato la senatrice Segre. La quale ha rifiutato – negando a Salvini il facile successo che sperava – dicendo: “Ritengo che non si debba mai distinguere la lotta all’antisemitismo dalla più generale ripulsa del razzismo e del pregiudizio che cataloga le persone in base alle origini, alle caratteristiche fisiche, sessuali, culturali o religiose”. In pratica, insultandolo… Prova che Salvini capisce pochissimo: i “nostri valori” vengono a pacchetto completo. Forse può recuperare il favore della dea se partecipa ad un Gay Pride….?
Liliana Segre rifiuta l’invito al convegno della Lega: “Antisemitismo non disgiunto dal razzismo”