(Andrea Cavalleri)
Perché se una banca fallisce ci devono rimettere i correntisti?
In realtà bisognerebbe anche chiedersi perché una banca fallisce, ma qui il discorso diventa un po’ troppo tecnico, consiglio in merito di leggere le pubblicazioni del gruppo di studio inglese “Positive money” o di guardare i loro video con sottotitoli in italiano.
Torniamo quindi al nodo della questione che interessa il cittadino: se l’azienda bancaria fallisce logico che gli azionisti perdano tutto, logico che chi avanza dei diritti nei confronti della banca, come obbligazionisti e detentori di titoli vari, venga liquidato in percentuale a seguito della vendita delle residue attività, logico che vi sia una scala gerarchica nella ripartizione dei proventi fallimentari: lo Stato, i privilegiati, i chirografari.
Ma, si chiede il cittadino, perché io che ho messo i miei soldi in banca non posso riprendermeli e devo invece pagare per l’incapacità o la disonestà dei dirigenti dell’istituto?
Se io fossi un sarto, come Armani, e avessi depositato in un magazzino le mie giacche, in caso di fallimento del magazzino non sarei mai tenuto a rimborsare i creditori della logistica con i miei capi firmati, in banca non è lo stesso?
La risposta è no, non è per niente lo stesso, perché mentre Armani ha le sue giacche in magazzino, tu non hai i tuoi soldi in banca né potrai mai averli perché non esiste nemmeno la possibilità di “avere i propri soldi in banca”.
Il conto corrente bancario rientra in una fattispecie giuridica detta “deposito a vista” descritta dal
- 1834 del codice civile (quello italiano, comunque identico a tutti gli analoghi regolamenti bancari vigenti nel modo democratico, moderno e progredito, che tanto bene vuole ai suoi cittadini) che suona così:
Nei depositi di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante, con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi.
Dal testo risulta quindi che i soldi segnati nel conto corrente sono di proprietà della banca, in quanto il correntista glieli ha prestati all’atto stesso del deposito.
Due riflessioni in merito.
La prima: la legge non ammette ignoranza, dunque formalmente il rapporto cittadino-banca è perfettamente regolare e rispetta un contratto sottoscritto e approvato bilateralmente.
Però sostanzialmente, dato che, a essere ottimisti, un cittadino su mille conosce i termini della questione, i contratti bancari procedono da una circonvenzione di incapace e si configurano come falso ideologico e truffa di massa.
La seconda: la guerra al contante e l’obbligo sempre più massivo di effettuare ogni transazione passando da un conto corrente, ha come effetto quello di costringere la popolazione a prestare i suoi soldi alle banche. Dal punto di vista razionale e morale è una mostruosità senza precedenti, qualcuno mi può spiegare cosa significa “essere obbligati a prestare dei soldi”?
L’unica situazione analoga che mi viene in mente è quella di un “promotore assicurativo” dal forte accento meridionale, che forza imprenditori e commercianti a stipulare una “polizza di copertura contro rischi generici” magnificando la protezione attiva garantita dal general manager don Vito Corleone.
L’evocazione di don Vito ci riporta al secondo aspetto cruciale della questione, ovvero il perché i regolamenti bancari siano così anti intuitivi, contorti e poco spiegati al pubblico.
Forse la materia è così problematica che gli esperti non sanno trovare soluzioni migliori?
Direi proprio di no. Gli studi scientifici definitivi in materia risalgono al 1936 e sono dovuti al grande economista Irving Fisher (“Debt-deflaction theory” e “100% money” detto Chicago plan).
Questi spiegò che l’uso della riserva frazionaria (il metodo di gestione dei depositi a vista) non solo mette a rischio le proprietà del singolo correntista, ma che è la causa principale di tutte le grandi depressioni economiche, perché può provocare la scomparsa di ingenti quantità di moneta, precipitando il sistema in una gravissima crisi da deflazione. Nel caso della crisi del ’29, un terzo dei dollari di tutta la nazione americana scomparvero nel nulla, dollari che figuravano virtualmente sui conti correnti, ma che erano solo la proiezione di una serie di parametri bancari che, una volta compromessi, determinarono la volatilizzazione dei soldi.
Il rimedio a questo tallone d’Achille del sistema monetario è forse troppo complicato?
No, è banale!
Fisher spiegò chiaramente che bastava usare la “moneta intera” cioè moneta reale e non virtuale, ovvero permettere al cittadino di “avere i suoi soldi in banca”.
Ma allora perché non lo si fa?
E qui ritorna don Vito Corleone, cioè la persona umana dietro il sistema.
Dire che noi prestiamo i nostri soldi alle banche, significa, in ultima istanza, che noi diamo i nostri soldi ai banchieri (che poi ce li re-imprestano a interesse).
Questo andazzo, protratto ormai da qualche secolo, ha prodotto un accumulo incommensurabile di ricchezza e di potere nelle mani di una ristretta cerchia di banchieri e tra i poteri che queste persone si sono accaparrati c’è ovviamente quello di decidere sui regolamenti bancari e monetari.
Insomma il buon vecchio e sicuro conflitto di interessi elevato all’ennesima potenza.
Questa è la ragione per cui le migliori menti, studiano, escogitano metodi sicuri ed efficienti per garantire il benessere generale, magari ottengono dei riconoscimenti (come il premio Nobel a Tobin, quello della Tobin tax) ma poi non vedono mai applicate realmente le loro teorie.
Al contrario vengono regolarmente adottati i provvedimenti più assurdi, utilizzando come giustificazione teorie antiquate, inconsistenti e più volte smentite dai fatti, ma funzionali a garantire i privilegi di una ristretta casta dominante.
E’ così perché conviene a lorsignori. Conviene? Ma neanche, basta che piaccia.
Pensate che negli ultimi lustri si è sviluppato un sistema di scommesse detto dei “contratti derivati” che, pur con alcune eccezioni di utilità, è al 95% un giro di truffe e riffe da biscazzieri.
Ebbene in caso di fallimento di una banca i contratti derivati hanno una priorità rispetto ai conti correnti. Cioè quando il commissario liquidatore avrà racimolato il patrimonio derivato dalla cessione di tutti gli attivi, prima dovrà pagare le scommesse di lorsignori chiamate derivati e poi, nell’eventualità -impossibile- che avanzi qualche briciola, potrà ripartirla tra i correntisti.
Giustamente vengono prima i loro divertimenti e poi le nostre necessità.
Per concludere la logica vorrebbe che il bail in fosse la normale procedura fallimentare, ma con moneta intera, cioè coi “miei soldi in banca” e che non si toccano!
Per fare questo bisognerebbe pensare a una campagna referendaria per l’abrogazione del 1834 del codice civile, il che equivarrebbe a una rivoluzione e imporrebbe in pratica una costituente.
Il vecchio potere non acconsentirà mai, ma un tale referendum costituirebbe comunque la legittimazione giuridica e democratica dei forconi. Forconi che non devono andare in piazza, ma nei collegi degli azionisti di maggioranza delle banche, nelle fondazioni bancarie e nelle direzioni generali degli istituti di credito.
Con le buone maniere si ottiene sempre tutto.