«Il diavolo in Vaticano ha agito contro Benedetto XVI». Così Georg Gaenswein, arcivescovo-segretario di papa Joseph Ratzinger fino alla sua morte, in un’intervista a Ezio Mauro su Repubblica. Da prelato prudente, Gaenswein non fa nomi. Ma la sua denuncia è talmente clamorosa che, inevitabilmente, molti si chiedono chi sia questo diavolo, che nome abbia, e se sia un solo diavolo o più di uno. Sul web, mi hanno incuriosito alcuni interventi, soprattutto uno basato su una testimonianza personale.
Mi riferisco al generale in pensione Piero Laporta, che sul proprio sito e su Stilum Curiae dell’ex vaticanista Marco Tosatti ha postato il 3 gennaio un articolo intitolato: «La cerchia romana (e Usa…) che voleva far dimettere Benedetto».
Di questa cerchia, in base a ricordi personali di Laporta, facevano parte «un emissario di primo piano del governo Usa, con le mani in pasta nella finanza (dove è ancora) e nella politica italiana, e un personaggio dei piani alti della National Security Agency (Nsa) che andava vantandosi delle dimissioni alle quali presto sarebbe stato costretto Benedetto XVI, mentre scorrevano le prime settimane del suo pontificato. Lo fece con disinvoltura e protervia, dalla quale trapelò il disegno persino al di sopra della sua pur potentissima organizzazione». Un’allusione alla Casa Bianca.
Ratzinger è stato eletto papa il 19 aprile 2005 e si è dimesso il 28 febbraio 2013. Dunque, per il generale Laporta, già nel 2005 vi era un diavolo americano all’opera per far dimettere il papa appena eletto, che lavorava ai piani alti della Nsa, un braccio armato del governo Usa, considerata più potente della Cia.
Ma perché un papa come Ratzinger era considerato un ostacolo da eliminare per gli Usa? In fondo, era soprattutto un teologo che per 24 anni aveva retto in Vaticano la Congregazione per la dottrina della fede, un conservatore sul piano dottrinario, ma del tutto estraneo alle dispute politiche mondiali di quell’epoca.
Qualcosa di più, sotto quest’ultimo aspetto, è venuto alla luce solo anni dopo, quando nel 2020 lo scrittore Peter Seewald, autore di «Benedetto XVI. Una vita» (Garzanti), ha rivelato per la prima volta alcuni giudizi di Ratzinger su leader politici mondiali. Si scoprì così che Barack Obama, presidente Usa dal 2009 al 2017, aveva lanciato e portato avanti idee che il papa «non poteva condividere». Da presidente, e prima ancora da dirigente di primo piano del partito democratico Usa, Obama è stato l’antesignano dei «nuovi diritti» in materia sessuale e delle aperture legislative necessarie. Una linea ritenuta progressista, perseguita dalle élites Usa già nel 2005 (compresa la Nsa), e messa in atto da Obama durante il suo mandato, affiancato dal favore dei media mainstream e dal movimento Lgbt, che l’ha esportata in Europa. Una linea, però, bocciata da Ratzinger in quanto «relativista», in contrasto con la dottrina cattolica. Non a caso, nel mondo progressista e pro-Lgbt, Obama è stato usato come un controcanto di Ratzinger: l’ex presidente Usa indicato come un politico che «irradia speranza», mentre il papa tedesco, «preso dalla paura, vuole limitare il più possibile la libertà delle persone per imporre un’era di restaurazione». Per questo, come diceva a Roma l’agente della Nsa citato dal generale Laporta, un ostacolo culturale da eliminare fin dal 2005.
Le dimissioni di Ratzinger, annunciate a sorpresa, risalgono al 28 febbraio 2013. Il papa le giustificò con gli affaticamenti fisici della vecchiaia (ingravesciente aetate), ma in molti rimase il dubbio che la vera causa fosse un’altra, non detta. Ipotesi che trovò conferma in un articolo del sito belga Media Press Info del 5 aprile 2015, in cui fu rivelato che, nell’ambito del sistema Swift, che regola le transazioni di 10.500 banche nel mondo, distribuite in 215 paesi, «nei giorni che precedettero le dimissioni di Benedetto XVI nel febbraio 2013, tutte le transazioni della banca del Vaticano, lo Ior, furono bloccate. E senza aspettare l’elezione di papa Bergoglio, il sistema Swift è stato sbloccato subito dopo le dimissioni di Benedetto XVI». Aggiungeva Media Press Info: «C’è stato un ricatto venuto non si sa da dove, per il tramite di Swift, esercitato su Benedetto XVI. Le ragioni profonde di questa storia non sono state chiarite, ma è evidente che Swift è intervenuto direttamente nella direzione degli affari della Chiesa».
In buona sostanza, con l’esclusione dal circuito Swift, la banca del Vaticano non poteva più vendere né comprare, di fatto veniva trattata alla stregua delle banche degli stati canaglia (vedi Iran). Un blocco deciso dopo che nel marzo 2012 il Dipartimento di Stato Usa (presidente Obama, con Hillary Clinton alla guida del Dipartimento) aveva inserito il Vaticano tra i paesi suscettibili di monitoraggio per il riciclaggio di denaro. Blocco che, come per miracolo, è stato tolto subito dopo l’annuncio delle dimissioni di Ratzinger.
Che lo Ior e le finanze vaticane non fossero un modello di trasparenza era noto a tutti, quindi anche a Ratzinger, che di certo non condivideva i metodi, le spese, i lussi e gli sprechi della casta che le amministrava. Metodi e sprechi venuti alla luce a seguito di due scandali Wikileaks (2012 e 2015), il primo basato su documenti rubati dal cassetto di Gaensweien, che indagava per conto del papa, il secondo su altri documenti sottratti alla commissione d’inchiesta voluta da papa Francesco subito dopo la sua elezione. Vicende opache, come raccontano i libri di Gianluigi Nuzzi e di Emiliano Fittipaldi, mai chiarite fino in fondo nonostante un processo in Vaticano. Ora la testimonianza del generale Laporta sulla mano Usa dietro le dimissioni di Ratzinger aggiunge un dettaglio in più.