Il primo ministro libanese Saad al-Hariri (praticamente il capo della maggioranza sunnita) è stato invitato a Ryad e – dalla capitale saudita – ha dato le dimissioni con un messaggio vocale, accusando l’Iran e dicendo che non tornava a Beirut perché il regime di Teheran attentava alla sua vita. Ciò, praticamente nelle stesse ore in cui il principe della corona Mohamed Bin Salman, il 34enne “impulsivo” (per i servizi germanici), faceva arrestare 11 principi suoi parenti, 4 ministri in carica e 38 ex ministri.
La dimissione di Hariri va dunque inquadrata in questa purga: in pratica il principe ha convocato il capo libanese per arrestarlo. I sauditi hanno qualche volta rimproverato Hariri (con quello che lo pagano..) di essere molle con Hezbollah; in un primo momento, dopo l’annuncio di Hariri da Ryad, s’era pensato ad un inizio della guerra civile libanese, coi sunniti finalmente (secondo i desideri sauditi) a prendere le armi contro gli sciiti libanesi.
Stranamente, pochi media hanno notato il vero motivo: il 3 novembre, a sorpresa, era sbarcato a Beirut un iraniano di grande prestigio, consigliere in politica estera della Guida Suprema, Ali Akbar Velayati . Ex ministro degli esteri al tempo di Khamenei, medico e scienziato di professione, eminenzza grigia per eccellenza, Velayati ha incontrato non solo Nasrallah il capo di Hezbollah, il che sarebbe normale, e il presidente Michel Aoun, cristiano e alleato di Hezbollah; ma anche Hariri, il referente sunnita, il che è eccezionale.
E cosa ha detto Velayati d Hariri? Secondo il quotidiano Al-Moustaqbal, questo: “Teheran ha spiegato alla sede del primo ministro: noi sosteniamo l’indipendenza del Libano”. Secondo An-Nahar, più esplicito: “Teheran accorda grande importanza al mantenimento al potere del governo Hariri – perché ciò servirà da riparo ad Hezbollah di fronte alle sanzioni Usa e perché si inquieta che le misure punitive del’Arabia Saudita ed altri paesi del Golfo che hanno di mira il governo libanese”. Ha riferito del recente incontro a Teheran di Putin con la guida, e che i due avevano definito “imperativo” il mantenimento della stabilità del Libano. Velayati aveva definito”buono, positivo e costruttivo” l’incontro con Saad Hariri.
Ed anche “Hariri era molto soddisfatto ed ottimista dopo l’incontro con l consigliere della guida suprema Velayati”, attesta l’informatissimo blogger Moujtahed. Insomma, là dove il Sauditi (e Israele) volevano lanciare i sunniti libanesi contro Hezbollah, si è chiaramente andata profilando una pacificazione fra le tre componenti etnico-religiose. Sotto l’egida, e quindi l’influenza, di Teheran l’arcinemico, e con Mosca sullo sfondo.
La sola cosa inspiegabile è perché Hariri, dopo aver ottenuto questo endorsment, è andato a Ryad a mettersi nelle mani di Bin Salman. Forse aveva da riferire una proposta di mediazione? Forse non può non obbedire quando Ryad lo chiama?
Bin Salman lo ha obbligato a leggere le sue dimissioni dall’estero. Se sperava di riaccendere la ferita aperta fra sunniti e sciiti in Libano, ha fallito. Nel suo primo discorso radiofonico dopo le dimissioni di Hariri, il leader di Hezbollah, Sayyid Hassan Nasrallah ha subito chiarito, sereno e pacato: “Non siamo stati noi a volere le dimissioni; in generale le cose andavano bene”, riferendosi al governo di coalizione, dove Hezbollah ha due ministri.
Nasrallah, lo statista
Con una calma da statista, ha invitato i libanesi a non rispondere a quell’evento con disordini. Ha invocato l’unità del Libano sotto i principi della pace e della costituzione. Adesso non si sa cosa sia successo al primo ministro nella sua visita in Saudia, ha detto, né perché non gli sia stato possibile o permesso di tornare in patria per pronunciare il suo discorso di dimissioni qui. Ha fatto notare che in quel suo discorso dalla tv saudita Al Arabyia, Hariri ha usato una terminologia che non era libanese, ma piuttosto saudita; era stato indotto a leggere un testo preparatogli da un saudita, dunque.
IN risposta a quanti hanno creduto che la mossa fosse il preludio di un attacco del Libano da parte saudita, Nasrallah ha chiesto retoricamente: e come?, con i complici dei sauditi sull’orlo della disfatta in Siria, dovrebbero attaccarci o dal mare, o dalla Palestina occupata. Due ipotesi del tutto “irrealistiche”.
Il già citato blogger Moujtahed ha citato un altro motivo: “Il principe ereditario vuole tenere Hariri in Arabia Saudita l per recuperare i suoi fondi all’estero”. Qualunque cosa ciò voglia dire, è un fatto che Bin Salman, ha fatto arrestare gli 11 principi i trenta ministri (oltre che i capi delle tv) sotto l’accusa di corruzione, opportuna, perché gli permette di sequestrare e incamerare le ricchezze degli arrestati: fra cui c’è il principe Al Walid Bin Talal, il sesto uomo più ricco del mondo, valutato fra i 18 e i 32 miliardi di dollari; e gli altri, tutti figli del defunto re Abdullah, non sono da meno. Quindi la purga e la retata concentra a nella mani del giovane futuro re una ricchezza finanziaria prima troppo dispersa, e di cui ha un gran bisogno: l’economia va a pezzi, i buchi di bilancio aumentano, la guerra in Yemen costa un occhio e va malissimo – proprio nelle stesse ore della è purga, gli Houti dallo Yemen hanno tirato un missile mirato all’aeroporto di Ryiad. L’antiaerea saudita – 4 missili americani Patriot manovrati da tecnici esteri – sembra sia riuscita ad intercettare il missile; ma il fatto stesso che i ribelli dispongano di un razzo della gittata di mille chilometri, e con cui hanno minacciato la capitale del regno, è stato un trauma per i sauditi e certo non ha contribuito ad innalzare la loro fiducia in Bin Salman.
Il quale ha bisogno di denaro anche per un altro motivo: Trump gli ha chiesto di quotare con on IPO (offerta pubblica iniziale) la Aramco, il conglomerato petrolifero proprietà del regno saudita. Con un tweet, come al solito:
Donald J. Trump @realDonaldTrump – 12:49 PM – 4 Nov 2017
Would very much appreciate Saudi Arabia doing their IPO of Aramco with the New York Stock Exchange. Important to the United States!
Piazzare a Wall Street quello che è probabilmente il conglomerato di maggior valore al mondo, rafforzerebbe la “copertura” petrolifera del dollaro, e metterebbe la compagnia-tesoro della Casa Saud sotto l’autorità regolatoria e legale degli Stati Uniti. Una mossa disperata, un alto prezzo per la protezione americana. Ma dunque la purga è un atto meno di forza che di debolezza del principe Impulsivo? Aspettiamo le prossime puntate.
Frattanto, va segnalato che la purga continua, ed assume risvolti violenti.
Prima, un elicottero che volava verso lo Yemen (in fuga?) è precipitato (o fatto precipitare?): era a bordo, con altri sette ufficiali e dignitari, il principe Mansur Bin Muqrin, il quale era figlio di Muqrin bin Abdulaziz: ossia il precedente principe della corona, il cui titolo gli fu strappato dall’attuale regnante Salman, anni 81 e con l’Alzheimer, che ha passato tutti i poteri reali all’amatissimo figlio Impulsivo, Mohamed bin Salman appunto, scavalcando altri pretendenti-parenti con più titolo.
Poche ore dopo, un altro principe, Abdul Aziz bin Fahd, è rimasto ucciso mentre le guardie di Bin Salman cercavano di arrestarlo, nella sparatoria ingaggiata dalle sue guardie personali..
Questo Abdulaziz Bin Fahd, 44 anni, era un importante socio di Saad Hariri. Adesso si apprende che l’Impulsivo ha diramato una “no-fly list” di principi e parenti e funzionari del più ò alto livello: non possono prendere il volo, nemmeno sui loro lussuosi aerei privati, Bin Salman li vuole dentro il Paese. E’ possibile che la purga saudita si allarghi e divenga più brutale. In qualche modo, ciò ricorda le purghe con cui Erdogan ha rafforzato il suo potere dopo il presunto golpe, con repulisti e licenziamenti in massa, quando non arresti, nella polizia, magistratura, università, media. E’ un grande ritorno all’alternanza di potere al modo islamico.
ultima, per ora: Bin Salman ha fatto anche arrestare Ahmed al-Jarba Riad Hijab, due politici siriani sunniti, ferocemente anti-Assad, su cui Ryiad aveva puntato nel progetto di prendere il controllo sulla Siria e ristabilirci un regime wahabita amico. I due non hanno mai avuto un vero seguito in Siria, ma la casa dei Saud li ha a lungo e generosamente finanziati come pedine dei loro progetti. Adesso, arrestati per “riciclaggio e contrabbando”. Il loro arresto “conferma che la purga di Mohamed bin Salman mira a riorientare radicalmente le priorità del regime saudita”, commenta l’analista Adam Garrie. Ma in quale direzione, non è ancora chiaro. Ha poi una direzione, la mente dell’Impulsivo?